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giovedì 4 febbraio 2021

Eppure i fondamenti della nutrizione umana sono piuttosto semplici, nonostante i proclami di certa "dietologia" naїf

 


 Post di Fabio Vomiero


La questione scientifica, descrizione ed evidenze:

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) una sana ed equilibrata alimentazione può essere in grado di ridurre significativamente l'incidenza e la prevalenza delle principali patologie cronico-degenerative, concetto peraltro ben noto almeno fin dai tempi di Ippocrate. La promozione e l'implementazione di adeguate abitudini alimentari dovrebbero pertanto essere delle priorità assolute sia per quanto riguarda il singolo individuo, che per il sistema sociale nel suo complesso.

Ma per tentare di capire, almeno a grandi linee, quale potrebbe essere il tipo di alimentazione per noi più appropriato, è necessario però chiarire che al di là dei gusti, delle tradizioni, delle culture e naturalmente degli interessi economici, dobbiamo guardare prima di tutto alla nostra fisiologia e alla nostra storia biologica, facendo comunque attenzione a non cadere nell'imprudenza, purtroppo molto comune, di trarre delle conclusioni affrettate e definitive dai relativamente pochi elementi sicuri di cui disponiamo.

Anche noi umani, infatti, esattamente come tutte le altre specie, siamo sottoposti a dei precisi vincoli biologici che stabiliscono sempre limiti e possibilità. Possediamo infatti un certo tipo di dentatura, di stomaco, di intestino, di enzimi salivari e digestivi, di microbiota intestinale, come elementi di un corredo fisiologico sostanzialmente di tipo onnivoro plasmato da una storia biologica di milioni di anni, fatta di continui cambiamenti ambientali e di conseguenti adattamenti nutrizionali determinati principalmente dalla disponibilità delle risorse.

Tuttavia, alcune evidenze scientifiche iniziano oggi ad emergere forti e chiare dalla stragrande maggioranza degli studi scientifici e in particolare dai lavori di meta-analisi più recenti.

La prima, per esempio, riguarda senz'altro la necessità, almeno nel caso della nostra attuale società occidentale palesemente ipertrofica, di una generale restrizione calorica, concetto che si traduce sostanzialmente nella raccomandazione di adottare una dieta più sobria, frugale, prevalentemente vegetariana e con il pesce eventualmente da preferire alle carni.

Seguono poi le indicazioni più squisitamente pratiche, come quelle di evitare, per quanto possibile, gli zuccheri semplici aggiunti, i dolci industriali, le bibite zuccherate, i succhi di frutta, di limitare al massimo l'uso di carni trasformate e lavorate (gli insaccati per capirci, classe 1 della classificazione IARC delle sostanze ritenute cancerogene), di moderare il consumo di carne in generale e in particolare di quella rossa (classe 2A, probabilmente cancerogena), di limitare il consumo di bevande alcoliche (l'alcol è tossico, psicoattivo e cancerogeno), di consumare regolarmente frutta e verdura (cibi ricchi di micronutrienti, vitamine e sali minerali), senza esagerare con la frutta perchè ricca di zuccheri, e di consumare regolarmente anche legumi, frutta a guscio e olio extravergine di oliva di buona qualità. 

É possibile anche variare l'apporto proteico con una moderata introduzione di prodotti lattiero-caseari, per i quali i dati attuali non evidenziano alcuna relazione dannosa dimostrata sulla salute, e delle uova, alimento molto interessante e ultimamente rivalutato proprio da studi molto recenti. Un'altra interessante e promettente indicazione, anch'essa emersa recentemente, è il consiglio di cercare di limitare il tempo in cui si distribuisce la nostra alimentazione giornaliera ad un massimo di 12 ore, lasciando pertanto un altrettanto intervallo di tempo disponibile per un digiuno pressochè completo.

Tutte queste linea guida sono oggi sostenute da decine di articoli scientifici peer review di tipo prevalentemente osservativo, epidemiologico e caso-controllo, i quali, nonostante tutte le difficoltà legate alle cause multifattoriali e alle variabili confondenti, ci offrono comunque un quadro quantomeno attendibile. É comunque sempre possibile consultare una buona sintesi di quanto viene formalmente accettato e raccomandato dalla comunità scientifica di settore, accedendo in qualche modo ai LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed Energia per la popolazione italiana) o alle loro rappresentazioni grafiche (piramidi alimentari), se divulgate da fonti attendibili. Si tratta di documenti di consenso, periodicamente aggiornati, che espongono la posizione condivisa dal mondo della ricerca in campo nutrizionale.

Da questi documenti si possono ricavare, per esempio, le frequenze giornaliere o settimanali con cui è consigliato consumare alcuni tipi di alimenti (una porzione di pasta o di riso al giorno, meglio se integrali, va generalmente bene) e, soprattutto, importantissimo, le quantità, cioè a quanti grammi di alimento ci si riferisce quando si parla di porzione. Per esempio, per quanto riguarda la pasta o il riso, si parla di 80 gr., per la carne 100 gr., il pesce 150 gr., l'insalata 80 gr., la verdura cotta 200 gr. e così via, parametri naturalmente indicativi, ma certamente sempre molto utili per tentare di dare un senso pratico alle cose.

Per quanto riguarda invece l'apporto calorico giornaliero dato dai macronutrienti, esso viene indicativamente suddiviso in un 55% circa derivante dal consumo di carboidrati prevalentemente complessi e meglio se integrali, un 15% dalle proteine, con prevalenza di quelle vegetali e un 30% dai grassi, perlopiù monoinsaturi e caratteristici dell'olio extravergine di oliva.

Conclusioni:

La dieta è quindi un fattore estremamente importante e controllabile nell'ambito di uno stile di vita orientato al miglioramento e alla tutela del proprio stato di salute generale, il quale dovrebbe prevedere, tra l'altro, anche l'attività fisica, sociale e cognitiva, la riduzione dello stress e l'abolizione del fumo di tabacco.

Riuscire a stabilire una dieta ottimale non è per niente facile e probabilmente nemmeno possibile, anzi, pare ci siano dei buoni motivi per ritenere che, nell'ambito di una sorta di griglia di possibilità tracciata indicativamente dalla nostra predisposizione biologica, ci possano essere comunque dei discreti margini di tolleranza per l'implementazione di schemi alimentari anche diversificati, ma ugualmente efficaci. Alla fine, è sempre una questione di buon senso, equilibrio, consapevolezza e sostenibilità.

Dobbiamo perciò diffidare di tutte quelle diete troppo rigide e matematizzate, che tendono per esempio ad escludere totalmente importanti categorie di nutrienti, oppure, al contrario, a mitizzarne altre. Parlando di carboidrati, per esempio, recentemente al centro di accesi dibattiti non sempre privi di venature ideologiche, bisogna precisare che c'è una sostanziale differenza tra un carboidrato complesso (polisaccaride) introdotto con il consumo di cereali, pane, pasta, riso, cibi che apportano oltretutto anche proteine di origine vegetale e soprattutto fibra, e uno zucchero semplice, come per esempio il saccarosio (normale zucchero), in quanto le risposte glicemiche e le sollecitazioni ormonali (produzione di insulina) indotte dalla loro digestione e assorbimento sono infatti molto diverse e naturalmente molto peggiori per lo zucchero. Inoltre, una buona quantità di carboidrati deve essere comunque garantita per evitare lo stato di chetosi e di ipercatabolismo delle proteine tissutali e assicurare soprattutto ai neuroni, agli eritrociti e alle cellule muscolari, la giusta quantità di glucosio necessaria per potere svolgere le loro importanti funzioni vitali.

Ma così come l'eccesso di carboidrati va certamente evitato, anche tutte le diete, peraltro oggi molto di moda, che tendono a preferire grassi e proteine a discapito dei carboidrati, non sono esenti da rischi: l'eccesso di questi macronutrienti, infatti, può produrre dei sottoprodotti o intermedi metabolici potenzialmente dannosi, come i corpi chetonici nel caso dei grassi e l'urea nel caso delle proteine.

Naturalmente poi, per avere anche un riscontro oggettivo che possa servire a "dimostrare" in qualche modo che il modello alimentare a cui si fa riferimento sia effettivamente salutare e che non si tratti soltanto di una convinzione soggettiva, basterebbe semplicemente guardare al proprio peso, alle proprie forme, al proprio stato di salute e di forma generale sul lungo periodo (non dopo una settimana o un mese) e ai propri valori ematici sentinella, principalmente la glicemia, il colesterolo, i trigliceridi e le vitamine D e B12, eventualmente da integrare.

Infine, i gravi problemi ecologici ed ecosistemici che si stanno rapidamente palesando ed accumulando, impongono necessariamente una riflessione anche sulla sostenibilità. Una dieta come quella attuale, infatti, basata per esempio su un eccessivo consumo di carne, oltre che ad essere molto probabilmente pericolosa per la nostra salute, è assolutamente deleteria in termini di produzione di inquinanti, di contributo al riscaldamento globale e di tutela del benessere animale. In una maniera o nell'altra, quindi, essa dovrà comunque essere ripensata attentamente, sia sotto il profilo nutrizionale, che quello, non meno importante, delle questioni ecologiche ed etiche.




Bibliografia:

1) Mariani, Costantini, Cannella, Tomassi,"Alimentazione e nutrizione umana", 2016

2) Telmo Pievani, "La vita inaspettata", 2011

3) Umberto Veronesi, "Longevità", 2012

4) Valter Longo, "La dieta della Longevità", 2016

5) Filippo Ongaro, "Fino a cent'anni", 2016

6) Dale E. Bredesen, "La fine dell'Alzheimer", 2018

7) John Coetzee, "La vita animale", 2000

8) SINU Società Italiana di Nutrizione Umana

9) IARC International Agency for Research on Cancer




mercoledì 16 febbraio 2011

Il clima e i nostri corpi III: Il mito vegetariano.


Questo post fa parte di una serie dedicata al concetto che il corpo umano somiglia al sistema climatico nel senso che sono entrambi "sistemi complessi." Ovvero, sono sistemi dominati da interazioni che si rinforzano o si smorzano fra loro, generando un comportamento difficile da prevedere e da gestire. Mediamente, non siamo molto bravi a capire come funzionano i sistemi complessi e questo lo si vede sia da come gestiamo il clima terrestre, sia da come molti di noi gestiscono i propri corpi. Questo post, in particolare, è dedicato a una discussione del libro di Lierre Keith "Il mito vegetariano".
(altri post di Ugo Bardi su questo argomento si trovano qui e qui)


Con gli anni, mi sto convincendo sempre di più che c'è soltanto una cosa che ci può salvare dal pasticcio in cui ci siamo messi per tante cose; dal cambiamento climatico all'esaurimento delle risorse. E' il metodo scientifico; quel pensiero rigoroso che ci può far capire cosa succede in un mondo che, altrimenti, non può che apparire insensato.

Il metodo scientifico non basta da solo, certo. Ci vuole anche quella cosa che si chiama etica per farci agire come esseri umani. Ma, pensateci un attimo, l'etica da sola, cosa sarebbe senza una guida che ci dice se quello che stiamo facendo è veramente la cosa buona che pensiamo che sia?

Un esempio: non credete che nel passato ci siano state persone che credevano in buona fede che le streghe esistessero? E se uno crede una cosa del genere, non deve concludere che ammazzare le streghe è necessario per il bene di tutti? Cosa ci tiene a distanza dal legare a un palo delle donne e bruciarle se non le cose che sappiamo di come funziona il mondo reale, delle leggi della fisica?

Per fortuna, bruciare le streghe è una cosa che è passata di moda, ma la nostra società rimane profondamente ignorante dal punto di vista scientifico. Per via di questa ignoranza ci stiamo comportando come il classico rinoceronte nel negozio di bicchieri. Facciamo danno al pianeta e a noi stessi senza neanche rendercene conto. Alle volte, lo facciamo credendo sinceramente di far bene, come quando si bruciavano le streghe.

Il libro di Lierre Keith, "Il Mito Vegetariano" è centrato proprio su questo punto: su un comportamento che parte da ottime intenzioni dal punto di vista etico, ma che si scontra spesso con la realtà fisica delle cose. Keith dice esplicitamente: "la mia divergenza con i vegetariani non è per ragioni etiche, ma è un fatto di dati"

Ci sono molte ragioni per essere vegetariani o anche vegani - la versione estrema del vegetarianismo che rifiuta ogni alimento di origine animale. C'è chi sostiene che la dieta vegetariana e quella quella vegana sono salutari e fanno stare bene e vivere a lungo. Ma, quasi sempre, c'è un forte fattore di tipo etico che spinge a essere vegetariani. Comunemente, si ritiene che una dieta vegetariana impatti di meno sull'ecosistema planetario. Quest'ultima argomentazione è sostenuta dall'osservazione che la produzione di calorie di origine animale è meno efficiente di quella delle calorie di origine vegetale. Allora, l'idea è che, se tutti fossimo vegetariani, in teoria, potremmo produrre più cibo e aiutare chi non ha abbastanza da mangiare. E', in fondo, una versione a lungo raggio del comandamento cristiano "dar da mangiare agli affamati."

Sono argomentazioni piuttosto comuni, ma il libro di Keith le sottopone a una critica approfondita. Quello che è interessante di questa discussione non è tanto lo specifico quanto il metodo. Keith ha capito bene come ci sia qui un conflitto di fondo fra il metodo scientifico, che ci dice che cosa siamo biologicamente strutturati per mangiare, e una certa visione etica sostenuta dalle buone intenzioni, che ci dice che cosa dovremmo mangiare. Le due cose non sono facilmente compatibili.

Da quello che si sa del metabolismo umano, è abbastanza ovvio che la nostra specie non si è evoluta per una dieta vegetariana. Abolire completamente i cibi di origine animale vuol dire rischiare di privarsi di proteine essenziali per la nostra salute. Ciononostante, con molta attenzione, è possibile vivere da vegetariani. Più difficile, ma forse non impossibile, è vivere da vegani. Ma impegnarsi in diete del genere senza conoscere le basi della scienza dell'alimentazione è rischioso; soprattutto se ci si basa soltanto su un'ideologia mascherata da etica.


Lierre Keith è stata vegana per 14 anni e ne ha ricavato danni irreversibili alla salute. Ci sono molti altri casi del genere, tipo quello di Robb Wolf che, nel suo libro "Paleo solution," ci racconta la sua odissea alimentare da vegetariano a onnivoro. Un altro caso è quello di Sara Miller, che racconta come ha dovuto smettere con la sua dieta vegana su consiglio dei suoi stessi maestri spirituali. Insomma, la dieta è una cosa importante, e fare certe scelte con leggerezza rischia di rovinarci la vita e la salute.

Ma, se il fatto di essere vegetariani o vegani è una scelta, molta gente si trova a fare diete totalmente sbagliate per ragioni di ignoranza o anche semplicemente economiche. Una delle ragioni principali dell'epidemia di obesità che affligge gli Stati Uniti (e parzialmente anche l'Europa) è la dieta sbagliata, specialmente per le fasce più povere della popolazione. A parte qualche hamburger e qualche hot dog, questa dieta somiglia a quella vegetariana nel senso che è basata su un forte eccesso di carboidrati, soprattutto in forma di cereali. I risultati sono disastrosi: un terzo della popolazione americana è classificata come afflitta da obesità. Il corpo umano è un sistema complesso; va gestito con attenzione ed è facile fare dei grossi danni.

Quindi, la dieta vegetariana e, in ogni caso, diete ad alto contenuto di carboidrati, non sono ottimali per la salute. Ma uno dei ragionamenti che stanno dietro l'idea vegetariana si basa su un concetto completamente diverso. Certo, abbandonare le proteine di origine animale comporta un certo rischio e un certo sacrificio, ma questo è compensato dal valore etico della scelta. Se tutti fossero vegetariani ci sarebbe più cibo e risolveremmo il problema della fame. Encomiabile, ma ne siamo veramente sicuri?

Un esame di cosa potrebbe succedere se tutti fossimo vegetariani e stato fatto da Bob Holmes su "The New Scientist" in un articolo intitolato "perché mangiare vegetali non salverà il pianeta" La sostanza del suo ragionamento è che, si, è vero che abolendo gli allevamenti intensivi avremmo più spazio per la coltivazione di cereali per consumo umano. Tuttavia, questo non risolverebbe nessun problema. Al momento, non è che non stiamo producendo abbastanza cereali per tutti; il problema è che li stiamo producendo in modo non sostenibile.

L'agricoltura di oggi si basa principalmente sui combustibili fossili per fertilizzanti, pesticidi, irrigazione e meccanizzazione. Via via che esauriamo i fossili, saremo sempre più in difficoltà a produrre a sufficienza. Ma non è solo questo il problema: l'agricoltura industriale distrugge il suolo fertile genera la desertificazione di vaste aree di territorio. E il suolo fertile, una volta distrutto, richiede secoli per riformarsi. Non nascondiamoci dietro una foglia di fico: i vegetariani che fanno la spesa al supermercato non fanno altro che favorire ulteriormente l'agricoltura industriale e contribuire un altro po' a scorticare un intero pianeta.

Certo, la scelta vegetariana è spesso accoppiata a una scelta più oculata dell'origine degli alimenti. Si cerca di ottenerli da un'agricoltura che usa metodi meno impattanti sull'ecosistema: un'agricoltura sostenibile che rispetti il suolo. E' quell'agricoltura che viene detta "biologica" o "organica," basata per esempio sul concetto di "permacoltura." E' un punto molto dibattuto se questo tipo di agricoltura possa produrre altrettanto cibo per unità di area dell'attuale agricoltura industriale. Ma, a parte questo, un'agricoltura veramente "organica" non può fare a meno degli animali come produttori di fertilizzanti e distruttori dei parassiti. Così, d'altra parte, erano strutturate le fattorie di 100 anni fa, che erano sistemi integrati di produzione alimentare che comprendevano sia animali che piante. E' un'illusione romantica pensare che si possa coltivare qualcosa senza includere l'allevamento di almeno alcune specie animali. La permacultura, infatti, mira a riprodurre gli ecosistemi naturali e - ovviamente - gli ecosistemi naturali includono sia animali che piante.

Allora, se parliamo in termini di massimizzare la produzione di questi sistemi, è una sciocchezza non utilizzare anche gli animali che, oltretutto, forniscono proteine di alta qualità. Attenzione che questo non vuol dire che dobbiamo continuare con gli allevamenti industriali che sono forse anche peggiori dell'agricoltura industriale in termini di impatto sull'ecosistema. Vuol dire, però, che possiamo - anzi, dobbiamo - utilizzare delle forme di allevamento sostenibile in modo oculato come una sorgente alimentare che ottimizza la produzione agricola.

Il problema di armonizzare etica e scienza non si applica solo alla nutrizione. Lo vediamo in tantissimi campi, dove le buone intenzioni non bastano a risolvere i problemi. Questa è la tesi di fondo di Lierre Keith in un libro che è una preziosa revisione di quello che sappiamo oggi della nutrizione umana. E' un libro veramente bello e interessante; occasionalmente un po' troppo polemico, ma ricco di spunti di riflessione e di dati utilissimi per chi cerca di orizzontarsi nella complicata faccenda di cosa mangiare e che dieta seguire.

Come è ovvio, non tutti hanno apprezzato il messaggio di Lierre Keith: il risultato è che si è beccata in faccia una torta infarcita di pepe di cayenna da parte di alcuni fanatici imbecilli. Fortunatamente, non ha sofferto gravi danni. L'etica parte con buone intenzioni, ma quando si scontra con la realtà spesso diventa ideologia e l'ideologia non ammette opinioni contrarie. Come ha detto Poul Anderson, il male è soltanto bene che è marcito.