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giovedì 28 maggio 2015

L'Università di fronte alla crisi delle risorse: un intervista con il candidato rettore dell'Ateneo di Firenze, Elisabetta Cerbai






Si svolgeranno a breve le elezioni per il nuovo rettore dell'università di Firenze. Chiunque sia eletto troverà una situazione difficile: l'università di Firenze, come tutte le università italiane, soffre della crisi sistemica forse più di tutto il resto del paese e si trova stretta in un'endemica mancanza di fondi, oltre a essere strangolata da una burocrazia totalmente senza senso. Dopo il post di qualche giorno fa, dove intervistavo il candidato Rettore, prof. Luigi Dei, adesso riporto le risposte alle mie domande ricevute all'altro candidato, la prof. Elisabetta Cerbai



Effetto Risorse: La tesi di fondo del blog "Effetto Risorse" è che siamo di fronte a una crisi sistemica correlata al graduale esaurimento delle risorse naturali non rinnovabili. Questa crisi si riflette su tutti i settori della società e, ovviamente, anche sull'università. Ci potrebbe per favore dare un suo parere su questa nostra interpretazione?

Elisabetta Cerbai: Caro Ugo, conosco e seguo da tempo il tuo blog da quando era denominato Effetto Cassandra. Spesso noi scienziati siamo visti come Cassandre che lanciano ingiustificati allarmismi. Però poi la realtà ci dà ragione perché le nostre argomentazioni sono basate su dati e non su opinioni.

La crisi sistemica correlata al graduale esaurimento di risorse non rinnovabili dimostra che la Scienza usata entro sistemi economici miopi spinge all’esaurimento incontrollato delle risorse e al degrado della biosfera.
La Scienza, nei suoi vari rami naturalistici, tecnologici, sociali, umanistici,
bio-medici, offre però anche soluzioni che, se usate in modo responsabile e solidale, ci possono portare fuori dalla crisi.

Occorre progettare sempre di più l’Ateneo e le sue strutture come Università sostenibile, anche per offrire alla Società soluzioni a lungo termine, che i brevi tempi della politica e dell’economia non riescono purtroppo a prospettare, e nemmeno a immaginare.

Per svolgere questo ruolo l’Università deve essere forte e autorevole, libera da condizionamenti connessi a interessi particolari e di breve termine, aperta al confronto internazionale sui grandi temi ambientali e di sviluppo.

ER Se siamo di fronte a una crisi sistemica, come può l'università del futuro preparare una risposta per mezzo delle sue funzioni principali: ricerca e formazione? Quali prospettive, secondo lei, per i giovani che escono dall'università e come può l'università prepararli meglio per quello che li aspetta?

EC L’Università di Firenze comprende nei suoi Dipartimenti una varietà di specializzazioni e competenze che, se opportunamente collegate, definiscono una grande tematica di ricerca, formazione e innovazione sul tema della sostenibilità ambientale, nei suoi vari aspetti: valutazione della crisi sistemica, delle sue cause e delle possibili soluzioni o difese. Questa tematica, insieme a poche altre di ricchezza e complessità comparabile, deve emergere nel prossimo futuro come una grande specializzazione che caratterizza il profilo nazionale e internazionale dell’Università degli Studi di Firenze.

La formazione di competenze trasversali attraverso didattica curriculare ed extra-curriculare ha già significative articolazioni entro la nostra Università. Così come ne abbiamo sul fronte dei rapporti con imprese ed istituzioni sul fronte della protezione ambientale e dell'innovazione, anche attraverso la creazione di spin-off universitari (es. carbon sink, pnat, ecc.)

ER Come pensa che si possa costruire una "Università sostenibile"?

EC. E’ certamente necessario orientare gli investimenti di manutenzione e rinnovo delle strutture edilizie, energetiche e della mobilità dentro e intorno all’Università nel segno della sostenibilità.

Università sostenibile significa recupero e riqualificazione in campo edilizio, zero consumo di suolo e impatto ambientale ridotto, in armonia con le politiche nazionali, regionali e comunali in materia.

Università sostenibile significa anche efficienza energetica degli edifici e gestione intelligente di illuminazione e riscaldamento, con un grande piano di micro-interventi per il miglioramento energetico e con competizione virtuosa fra le strutture di Ateneo sul risparmio energetico

Università sostenibile significa anche mobilitazione di tutte le risorse possibili per evitare sprechi e per sperimentare soluzioni innovative.

Università sostenibile significa anche raccolta differenziata integrale, rinegoziazione in tal senso degli appalti, coordinamento con Scuole, ONLUS e ONG per una riutilizzazione intelligente delle attrezzature informatiche dismesse.

Università sostenibile significa anche semplificazione burocratica, dematerializzazione effettiva, drastica riduzione del consumo di carta e di toner, forniture a chilometri zero con superamento della burocrazia e degli sprechi delle centrali uniche per gli approvvigionamenti.

Università sostenibile significa anche mobilità intelligente, incentivazione all’uso di mezzi pubblici e di biciclette, compensazione delle emissioni e gestione verde degli automezzi di servizio

L’Università deve saper mobilitare le proprie competenze interne in primo luogo entro le proprie strutture, come laboratorio e vetrina di quello che si può fare.

Nel mio programma, vi è un gruppo di linee strategiche chiamato “Smart Hub”. Come nelle città si parla della prospettiva di “Smart City” per l’erogazione di servizi intelligenti e personalizzati sulla base di un’integrazione di dati e servizi, per il supporto allo sviluppo di nuove professionalità, per la sostenibilità ambientale e sociale, così si deve pensare allo sviluppo di una prospettiva di Università “Smart Hub”.

Nella mia idea, che fortunatamente condivido con tanti colleghi, l’Università non è solo motore di progresso sociale, economico e tecnologico, è anche presidio di civilità: per noi oggi questo significa una sfida sul fronte della cultura, per affermare il ruolo della scienza come paladina della reazione alla crisi ambientale.

ER. Come vede, lei, il futuro della ricerca Italiana (e non solo italiana) in questo momento di crisi?
EC. La crisi sistemica ambientale di cui sopra è intimamente legata anche alla crisi economica, finanziaria e sociale del nostro Paese. Le cause sono infatti le stesse: l’incapacità di innovare e di trovare modelli di sviluppo adeguati al nuovo contesto geopolitico ed economico globale. Se si pensa che il rilancio dell’Economia italiana possa essere fondato ancora sul petrolio significa che siamo rimasti negli anni ’60.

La ripresa e la crescita economica e sociale dell’Italia devono basarsi su ricerca, sviluppo e cultura, con un bilanciamento intelligente di tradizione e innovazione.

Purtroppo in Italia gli investimenti pubblici e privati in ricerca non sono adeguati, né alle nostre passate tradizioni, né a quanto è necessario oggi alla Nazione. La crisi economica e finanziaria attuale non è solo crisi, è una transizione verso modelli economici e sociali differenti. La Ricerca, se adeguatamente sostenuta, non solo in termini di finanziamento ma anche in termini di miglioramento del contesto normativo ed organizzativo, può dare un grande contributo a una transizione verso modelli migliori e più sostenibili. Nella situazione attuale di restrizione delle risorse statali e di incertezza normativa, occorre continuare a lottare per preservare il patrimonio di conoscenze e lasciare leve e spiragli ai miglioramenti.


martedì 11 marzo 2014

Il cambiamento climatico spiegato ai miei studenti

Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR



Di Ugo Bardi



 Questa è una versione scritta di qualcosa che ho detto qualche giorno fa ai miei studenti in una lezione per la scuola di “Sviluppo Economico e Cooperazione Internazionale” (SECI) dell'Università di Firenze

La domanda: Professore, ma ho sentito bene quello che ha detto? Lei dice che il cambiamento climatico ci porterà dei problemi nel giro di decenni? Ora, io sapevo che gli scienziati stavano parlando di secoli o tempi anche più lunghi. Com'è possibile?

La mia risposta: Lei ha sentito bene: ho detto “decenni”, non secoli, ed avrei potuto dire anche “anni” - anche se forse decenni è una scala temporale più corretta per i problemi che ci aspettano – e voi in particolare, visto che siete così giovani. Ora, capisco anche il perché avete l'impressione che il cambiamento climatico sia una questione di secoli, qualcosa con cui avranno a che fare le future generazioni. Questo è il risultato del modo in cui sono presentati certi dati, in particolare dal IPCC. Sono molto cauti, cercano di evitare di dare l'impressione di essere “catastrofisti” e il risultato è che il cambiamento climatico, secondo il modo in cui lo presentano, sembra che sia molto dolce e graduale e che vada avanti per secoli. Non è necessariamente così.

La scala temporale del cambiamento climatico dipende da cosa consideriamo. Alcuni effetti sono molto lenti: se pensiamo, per esempio, alla calotta glaciale dell'Antartide che fonde e scompare, be', ci vorranno secoli o anche millenni. Ma se si considera la calotta glaciale dell'Artico, si vede che sta fondendo rapidamente e sta fondendo ora! E la conseguenza è un grande cambiamento negli schemi meteorologici dell'emisfero settentrionale – è una cosa che stiamo vedendo tutti in termini di siccità, uragani, tempeste di neve e cose del genere.

Ma è anche vero che non moriremo per il cattivo tempo e la probabilità che voi anneghiate a causa di un mega-uragano è piuttosto bassa, specialmente se vivete in Italia. La domanda è più specifica e la capisco molto bene: quale sarà l'importanza del cambiamento climatico per persone come voi, che avete poco più di vent'anni?

Vediamo di riformulare la domanda per renderla più chiara. Potrei dire che, dal mio punto di vista personale – ora ho 61 anni – potrei organizzare la mia vita sulla scommessa che il cambiamento climatico non mi condizionerà troppo per il tempo che devo ancora passare su questo pianeta. Probabilmente è una scommessa ragionevole per me (ma è una scommessa). La domanda è, quindi, è ragionevole che voi scommettiate allo stesso modo? Io penso proprio di no e lasciate che vi spieghi il perché.

Vediamo... l'aspettativa di vita alla nascita in Italia è di circa 80 anni, quindi avete più di mezzo secolo davanti a voi, in linea di principio. Ma diciamo che non vi interessa il fatto di arrivare a essere decrepiti e colpiti dal morbo di Alzheimer. Volete solo arrivare, diciamo, a 70 anni in buona salute. Quindi avete ancora circa 40 anni; questo è il lasso di tempo di cui vi dovete preoccupare, supponendo, naturalmente, che non vi importi nulla dei vostri figli e dei vostri nipoti il che sembra essere il modo di pensare standard intorno a noi: dopo tutto, cosa hanno fatto i miei discendenti per me? Dati questi presupposti, in che modo il cambiamento climatico è rilevante per voi?

Se si guardano gli scenari belli e addomesticati del IPCC, vedrete che in 40 anni da adesso, parliamo di 1-2°C di aumento di temperatura. Detto così, sembra un effetto davvero piccolo. Che differenza fa un grado e mezzo? Solo un piccolo fastidio. D'estate  accenderemo in nostri condizionatori e in inverno risparmieremo un sacco di soldi nel riscaldamento. La stessa cosa vale per l'aumento del livello del mare: l'IPCC  parla di circa 20 cm per la metà del 21° secolo; cosa sono 20 centimetri? Possiamo costruire un muro di 20 centimetri per tenere lontane le acque in men che non si dica. Quindi non c'è niente di cui preoccuparsi troppo? Ho paura che le cose non siano così semplici.

Il vero problema ha a che fare con la resilienza della nostra società. Forse avrete sentito il termine “resilienza” in vari contesti – fondamentalmente è la capacità di un sistema di resistere ai cambiamenti, in particolare a cambiamenti rapidi o persino violenti. L'opposto di resiliente è “fragile”. Per esempio, un bicchiere di vetro è duro, ma non molto resiliente, naturalmente; è fragile. Il trucco quando si parla di resilienza è che spesso è il risultato di un compromesso con le prestazioni. Se si vogliono avere alte prestazioni – diciamo – per una macchina sportiva, allora questa macchina sarà più propensa alle rotture: pensate di usare una Ferrari F1 per andare al supermercato a fare la spesa.

Questo tipo di problema esiste anche per cose molto più grandi: il modo in cui funziona il nostro mondo, diciamo, industria, commercio, trasporti e agricoltura. Ora che ho detto questo, pensate a quanto sia fragile l'agricoltura moderna. Avrete probabilmente sentito parlare della “Rivoluzione Verde”, il nuovo modo di produrre cibo che sta sfamando più di sette miliardi di persone su questo pianeta. E' vero, c'è stata una rivoluzione del genere nella seconda metà del ventesimo secolo. Si è basata sull'ibridazione delle piante in un modo tale da ottenere prestazioni sempre migliori. Il grano che viene coltivato oggi ha un rendimento di almeno 10 volte di quello che veniva coltivato uno o due secoli fa. E' veramente la Ferrari dei cereali.

Sfortunatamente, il fatto che la nuova generazione di grano è un tale miracolo, non significa che sia anche resiliente. Infatti non lo è. Come tutte le varietà di cereali ingegnerizzate, questa è fatta per essere coltivata in condizioni specifiche. Ha bisogno d'acqua, di fertilizzanti e di meccanizzazione. Il che va bene; finora siamo stati in grado di provvedere l'agricoltura con tutto questo e in questo modo siamo in grado di sfamare 7 miliardi di persone. Be', non proprio 7 miliardi. Nonostante i cereali miracolosi che abbiamo, molta gente ha fame tutti i giorni, ho letto che sono intorno agli 850 milioni, il che significa che più di una persona su dieci, oggi, non ha abbastanza da mangiare. In un certo senso è un successo, perché anni fa la situazione era peggiore, ma durante gli ultimi anni questo numero non è sceso – il successo della Rivoluzione Verde sembra essersi gradualmente esaurito. Ciononostante, il problema oggi è più una questione di distribuzione che di produzione. In linea di principio, la nostra agricoltura sarebbe perfettamente in grado di sfamare 7 miliardi di persone – probabilmente anche di più, anche se sembra che ci stiamo avvicinando ai limiti fisici di quello che può essere prodotto in una certa area di terreno.

Allora, qual'è il problema? E' che le alte prestazioni normalmente sono ottenute con una bassa resilienza e questo è vero anche per l'agricoltura. I cereali miracolosi della nostra epoca hanno grandi prestazioni ma bassa resilienza. Sono stati sviluppati per una situazione in cui il clima era relativamente stabile, ora è diventato instabile, è un'altra storia. Siccità periodiche e alluvioni sono ovviamente molto dannose per l'agricoltura e persino un cereale miracoloso è inutile senz'acqua; è come una Ferrari senza dei buoni pneumatici. E pensate a come le alluvioni dilavano il suolo fertile necessario per le piante, per non dire nulla dei danni provocati dagli incendi.

Non prendetemi per un agronomo, non lo sono. La produzione di cibo è una materia complessa e potrebbero succedere molte cose che migliorano (o peggiorano) la situazione. Sto semplicemente osservando che il cambiamento climatico potrebbe impattare fortemente – quasi letteralmente – sul ventre molle dell'umanità: l'agricoltura. Ma non si tratta solo di questo. Pensate alle malattie infettive, spesso trasmesse da insetti come le zanzare, la cui distribuzione dipende da piccoli cambiamenti di temperatura. Pensate alle migrazioni di massa generate dalla desertificazione di grandi porzioni di terreno. Poi, accoppiate il cambiamento con l'altro grande problema che abbiamo, l'esaurimento delle risorse, e vedrete che i due problemi si rinforzano a vicenda. Abbiamo detto che un paio di gradi centigradi non sono nulla se abbiamo il condizionatore; bene, ma per avere il condizionatore serve energia, e quell'energia – oggi – proviene dai combustibili fossili. Ma i combustibili fossili si stanno rapidamente esaurendo: avrete energia a sufficienza per il condizionatore fra 30-40 anni? Forse, ma non ci scommetterei.

Torniamo quindi alla domanda iniziale. Vi stavo dicendo che avete molto di che preoccuparvi a causa del cambiamento climatico durante la vostra aspettativa di vita di circa 40-50 anni. Non significa necessariamente che non arriverete alla mia età, ma che non è ovvio che ci arriverete. Prima ho detto che ci sono circa 850 milioni di persone malnutrite su questo pianeta e non sarei sorpreso se diventassero una percentuale più grande del totale nel prossimo futuro. Il vostro problema principale, in questo caso, è se sarete o meno parte di quella percentuale.

Come ho detto, agire in vista del futuro è come scommettere su qualcosa. Se io fossi in voi, non scommetterei sul fatto che il futuro sarà come il passato (non lo è mai, in realtà). Così, penso che sarebbe una cattiva idea per voi quella di passare i problemi che verranno a causa del cambiamento climatico alla prossima generazione, proprio come ha fatto la mia generazione con voi. Ad un certo punto, qualcuno deve essere lasciato fuori al freddo (più correttamente, al caldo) ed ho paura che ci siano buone possibilità che sarà la vostra generazione.

Questo porta alla domanda di cosa fare per evitare di diventare un dato delle statistiche sulla malnutrizione (se possibile, evitando che chiunque diventi parte di quella statistica) ma questa è una lunga storia di cui parleremo in un'altra occasione. Per il momento, lasciate solo che vi dica che questa discussione mi ha ricordato una cosa che ha detto Marco Aurelio. Citando a memoria, era qualcosa tipo “Tutti vivono solo nel momento fugace, si potrebbe vivere per molte migliaia di anni e questo non farebbe alcuna differenza (*)”. Quindi non preoccupatevi troppo di quanti anni avete ancora da vivere. Non potete saperlo. Ma sapete che avete molto lavoro da fare se volete fare qualcosa di utile per voi e per tutti gli altri. Quindi è meglio che cominciate a farlo adesso.




(*) Ricorda che anche se dovessi vivere per tremila anni, o trentamila, non potresti perdere nessuna altra vita di quella che hai e non ci sarà altra vita dopo di quella. Quindi le vite più lunghe e le vite più corte sono la stessa cosa. Il momento presente è condiviso da tutte le creature viventi, ma il tempo passato è andato per sempre. Nessuno può perdere il passato o il futuro, perché se non ti appartengono, come ti possono essere rubati?  Marco Aurelio (121-180)