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venerdì 16 dicembre 2011

Costruire il futuro guardando le cose dall'alto



Guest post di Antonio Turiel da "The Oil Crash" dell'8 Novembre 2011
Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti





Cari lettori,

nel programma di Radio Libertad di giovedì scorso Juan Carlos Barba ha annunciato che questa settimana avremmo parlato delle misure che si dovrebbero prendere per adattarsi al futuro della Grande Scarsità. Siccome c'è stato un cambio di invitati (io stesso non potrò partecipare questa settimana), è possibile che ci sia anche un cambio di dibattito, anche se il tema in questione finirà un giorno per essere discusso. Inoltre, è una domanda assai logica che già è solita emergere nei discorsi sull'Oil Crash e che, semplificando e abbreviando, si potrebbe formulare in questo modo: che raccomandazioni farebbe al Governo (o ai Governi) per gestire l'Oil Crash, se l'ascoltassero?

Mi preoccupa abbastanza mettermi in questo pasticcio, quello cioè di dare consigli o linee d'azione, perché più che in altri ambiti, mi rendo conto dei miei limiti o carenze. Non so praticamente nulla di economia e nemmeno delle difficoltà di gestione della cosa pubblica, per non parlare di come legiferare correttamente. Un errore fatale in qualsiasi di questi o altri indirizzi e le nostre migliori intenzioni lastricheranno il cammino per l'inferno. Ma, d'altro canto, non sarebbe onesto da parte mia eludere completamente la responsabilità di fare osservazioni dure che avranno bisogno di elaborazione, e non poca, prima che si possano interpretare in chiave di azione politica. D'altra parte, credo che in questa missione, quella di definire adeguate linee guida di attuazione, i diversi commentatori che sono soliti leggere questo blog apporteranno i loro diversi punti di vista e, sicuramente, dal dibattito che un post come questo susciterà, si potranno tirar fuori idee interessanti di fronte a quello che potrebbe essere un piano di Governo di Transizione. Perciò, credo che possa essere utile ed istruttivo, in particolare per me stesso, aprire finalmente questo dibattito e vedere cosa possiamo mettere in chiaro.

Naturalmente altri prima, e con maggior merito e conoscenza, hanno affrontato questo compito: ecco, per esempio il Real New Deal del Post Carbon Insitute. A livello più locale, c'è il piano di Transizione elaborato dall'associazione galiziana Véspera de Nada (guardate sulla colonna di destra della sua pagina web, Misure per far fronte al picco del petrolio), che mi ha fatto l'onore di chiedere la mia opinione. Io, senza arrivare ai particolari di quest'ultima, vorrei raccogliere alcune idee che credo debbano far parte di questo piano di transizione governato dall'alto. Ecco alcune di queste idee chiave:


Lasciare il BAU (Business as usual, continuare come al solito)

Questo è il più difficile dei compiti da intraprendere e quello che ha più implicazioni. Dobbiamo far comprendere ai nostri governanti che il BAU, il modo di fare degli ultimi decenni, non ha senso in un mondo dove le risorse sono limitate, in diminuzione e non sostituibili. Lo abbiamo discusso molte volte: l'accesso sempre più limitato al petrolio, in particolare, e all'energia in generale implicano il fatto che questa crisi economica non finirà mai, perché all'interno del nostro sistema economico dobbiamo sempre crescere a un certo ritmo; questo è il motivo per cui la nostra società è chiamata “la società dei consumi” ed il motivo di tanto spreco. I nostri leader reagiscono sulla base di ricette economiche apprese durante gli ultimi cento anni, secondo le quali la crescita è la miglior garanzia per avere un alto tasso di impiego ed evitare rivolte sociali, oltre che per accontentare e soddisfare i poteri economici e industriali. Tutta la politica attuale di tagli della spesa pubblica e la diminuzione dello stato sociale è diretta a risparmiare sulla parte non produttiva della società per concentrare il flusso economico sulle parti produttive, con la speranza che queste si riprendano, generino un nuovo ciclo di crescita economica e nuovo impiego, così si potrà far marcia indietro nella politica dei tagli che mette tanto a disagio il cittadino medio. Il problema è che la premessa è falsa: destinare maggiori risorse per concentrarsi nel riscatto del settore finanziario e nell'alleviare la pressione delle imposte nel settore industriale e dei servizi non ci porterà ad una nuova crescita dell'economia, perché andando avanti l'energia ed i materiali consumati saranno più cari e più scarsi. E non per mancanza di investimenti nella loro estrazione e produzione, ma per ragioni fisiche e geologiche di cui tante volte abbiamo discusso in questo blog. Tuttavia, c'è tanta teoria economica sviluppata ignorando il fatto che non si può crescere per sempre, e contrastare questa idea falsa ed autoconvincersi della necessità di un cambio di paradigma, di schema mentale, ci prenderà molto, molto tempo.

Un nuovo ordine sociale

Una volta compreso che il BAU non può continuare, si devono ristabilire le priorità, perché la priorità fino ad ora è stata sempre la crescita, poiché da essa derivavano le soluzioni alla gran parte delle necessità, come corollario. Se non c'è una crescita, bisogna tornare a fare una politica della verità e decidere cosa si deve fare a come. A mio parere, la prima priorità è quella di garantire il lavoro in modo generalizzato come mezzo fondamentale per preservare la pace sociale – per intenderci: dare impiego alla gente di modo che si possa guadagnare da vivere degnamente. Alcune persone obiettano che la pace sociale non sia importante, che la sola cosa che interessa al poteri economici (che usano i leader politici per attuare il loro programma) è guadagnare sempre più denaro, anche se per far questo devono sottomettere con la forza tutta la popolazione. Evitando di metterci a discutere se questa sia o no l'intenzione di questi poteri economici, un tale metodo non è sostenibile a lungo termine: oggi come oggi il potere economico si basa sul vendere molti prodotti a molta gente, ma se la gente perde la capacità economica perché è disoccupata o sottoccupata è evidente che i benefici precipiteranno e molte grandi imprese sprofonderanno, come di fatto sta già accadendo ora (quale credete che sia il futuro a breve termine della BMW o, a più lungo termine, della Apple?). Altro è che alcune persone ben posizionate intendano garantirsi una posizione di privilegio in un nuovo ordine feudale che potrebbe sopraggiungere, anche se, a mio parere, analogamente a quanto accadde nel Medioevo, se sopraggiungesse il caos anticipato dai sostenitori di questo futuro, avrebbe più possibilità di diventare un neo-barone un capo di un gruppo di comando elitario che non un banchiere grasso che agita mazzette di dollari senza più valore o brandendo carissimi ed inutili pezzi di oro e argento. Ma, infine, supponiamo che i nostri leader abbiano compreso l'impossibilità del BAU e cerchino ciò che è socialmente più conveniente. Come dicevo, la prima cosa è stabilire un sistema che dia impiego a tutti e questo in un contesto di un'economia che non cresce. Cosa che non appare facile, anche se non impossibile.
 

Economia stazionaria


Se gli introiti non possono crescere, come sembra, la smaterializzazione assoluta dell'economia non è un obbiettivo possibile (e, soprattutto, efficacie) a breve termine, è chiaro che ad un determinato momento l'economia debba smettere di crescere e tornare stazionaria, vale a dire di dimensione costante, e questo probabilmente dopo un periodo di decrescita. Un'economia stazionaria ha approcci completamente diversi da una di crescita. La forza lavoro non può modificarsi sostanzialmente durante il tempo, né il numero di fabbriche, né i mezzi di produzione in generale. Peggio ancora, si deve stabilire un qualche tipo di pianificazione su grande scala (non sulle attività specifiche, ma sul consumo generale di risorse sì) per evitare che si producano grandi scompensi. La competitività nel tempo in cui si impongono restrizioni è un compito che trovo piuttosto complicato. In ogni caso, le variabili da controllare sono fisiche (energia consumata, tonnellate di materiale) e non monetarie. Se possibile, la miglior unità di misura di questa economia è l'energia di lavorazione o, meglio ancora, l'exergia.

Funzione del lavoro

Si deve ripensare il lavoro, la sua funzione sociale e il grado di soddisfazione che si potrà dare alle necessità umane, quelle reali e quelle percepite. E' fondamentale garantire cibo, acqua, vestiario e alloggio alla popolazione. E' conveniente e rilevante fornire anche educazione e sanità. A partire da lì, è naturale lasciare che la gente sviluppi la propria iniziativa personale, per ragioni buone e convincenti; il come lo stabiliranno le persone con più capacità e conoscenza. Ciò che non è facile né banale è garantire la produzione con mezzi sostenibili di questi beni fondamentali. E' pertanto importante identificare le risorse locali, le capacità locali di produzione e verificare come mantenere reti sufficienti per il commercio di quei prodotti di cui ciascun territorio sia deficitario o abbia un'eccedenza. Avendo accesso a quantità di petrolio e gas in diminuzione a medio termine ed a nessuna quantità a lungo termine, è importante decidere come si può mantenere la meccanizzazione dell'agricoltura e dei trasporti. Si deve stimare qual è la quantità di biocombustibile che sia ragionevole produrre senza compromettere l'alimentazione umana ed animale e dove risulta più conveniente. Si deve anche decidere quanti animali si possono ragionevolmente allevare, come distribuire la popolazione sul territorio, come evitare l'erosione del suolo, come assicurare l'acceso all'acqua per l'irrigazione ed il consumo umano e animale, come potabilizzarla e ripulirla avendo accesso a minori quantità di prodotti chimici specialistici e via ancora un lunghissimo eccetera di questioni tecniche che richiederanno lunghi studi specialistici e che devono essere adeguatamente coordinati.

Pianificazione e limitazione nell'accesso alle risorse

Il fatto che le risorse siano finite (nel senso di limitate, ndT) e, ancora più importante, la disponibilità limitata delle stesse a causa dell'impossibilità di incrementarne la produzione (e distribuirle da parte dei produttori), implica che tanto per cominciare si devono lasciar perdere certi usi superflui delle risorse non rinnovabili (quelli che le bruciano o le disperdono fino a renderle irrecuperabili), incluse quelle risorse rinnovabili per le quali non si sono ancora trovati usi di interesse generale – in previsione che in futuro possano essere importanti. Si dovrà assicurare sia il risparmio sia il riciclaggio dei materiali, il che implica un cambiamento della progettazione (quindi l'abbandono dell'obsolescenza programmata, ndT) per facilitare la riparazione ed il recupero dei materiali, anche se ciò implicasse la produzione di beni meno efficienti di quelli attuali. E questo richiede uno sforzo ingegneristico su grande scala in tutta la società, sforzo che porti a ripensare completamente i cicli di vita dei prodotti.

Un punto complicato è la necessaria pianificazione, più o meno centralistica, dell'accesso ai materiali, sia quelli rinnovabili, sia quelli non rinnovabili, perché anche i secondi hanno dei limiti e mal gestiti possono deteriorarsi e diminuire (di questo abbiamo molti esempi oggigiorno, dall'erosione del suolo coltivabile all'esaurimento dei bacini di pesca). L'ideale sarebbe lasciare al libero mercato la regolamentazione di questo accesso, ma l'esperienza ci dimostra che, forse per l'imperfetta psiche umana, il libero mercato è solito portare a squilibri ed abusi di potere da parte di coloro che hanno di più, e ciò snatura il mercato da libero a ostaggio dei loro interessi. Ma anche un sistema di pianificazione è tendente all'abuso, soprattutto se chi lo gestisce approfitta della propria posizione per ricevere prebende o favorire i propri interessi. Non sembra esserci una soluzione semplice in questo caso.

Libertà e informazione: democrazia piena

Uno dei grandi problemi che ha la nostra società occidentale è la tendenza all'opacità nei temi chiave della gestione politica; peggio ancora, si è arrivati al punto che una parte importante della popolazione creda che alcuni temi siano troppo complicati perché l'opinione di un cittadino comune possa contare. In realtà, la cosa logica sarebbe informare quel cittadino perché possa avere un'opinione informata, anziché prescindere da essa. In più, non è vero che le grandi linee concettuali siano tanto complicate da capire come spesso si vuol far credere: molte volte si ingrandiscono i dettagli più astrusi perché sembrino sostanziali anziché secondari. Manca una gestione onesta che rappresenti i grandi indirizzi politici riassumendo i dettagli e le difficoltà senza complicare e pasticciare le discussioni (che è ciò che oggi fanno i nostri politici e che fa sì che sopra lo stesso tema tirino fuori statistiche apparentemente contraddittorie, anche se in realtà dicono la stessa cosa, al fine di aumentare la confusione del pubblico). 


E' importante che in un futuro complesso e che in alcuni momenti richiederà importanti sacrifici, la gente abbia consapevolezza chiara di quali siano i veri problemi e che possa verificare, senza sensazionalismo né cortine di fumo, che le misure che si sono prese stiano andando a buon fine e quelle che si rivelino sbagliate possano essere corrette rapidamente senza confusione né denunce incrociate. Insomma, è importante coinvolgere di più i cittadini, cioè quel popolo da cui emana l'unica sovranità, nella gestione e nella decisione, il che si può ottenere soltanto attraverso un'informazione chiara e vera e che non venga confusa con migliaia di sciocchezze senza senso.


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Il lettore si renderà conto che questo programma di attuazione è molto vago e generico e non si focalizza sui dettagli. Ma anche così implica cambiamenti strutturali profondi da fare nella nostra società, cambiamenti che saranno molto difficili da realizzare partendo da dove ci troviamo ora. Soltanto con molta costanza e con l'informazione si può provare a girare pagina ed avanzare in direzione del cambiamento necessario, un cambiamento di cui non dovranno essere protagonisti né i politici professionisti di oggi, né i tecnici come me, che siamo solo di aiuto, ma dalla popolazione stessa.



Saluti,

AMT