giovedì 13 settembre 2012

L'acrostico Iris: per la buona gestione dei rifiuti



L'acrostico Iris
Un libro di Antonio Cavaliere
Pulsar edizioni

La postfazione di Ugo Bardi



Quando ho cominciato a studiare chimica, molti anni fa, certe cose mi sono sembrate veramente difficili. Formule, equazioni, reazioni di ogni tipo; per non parlare di soggetti astrusi come la termodinamica statistica e la meccanica quantistica. Con gli anni, poi, ne ho trovate di cose difficili da capire durante la mia carriera di chimico. Ma credo che il campo che mi è parso veramente il più difficile di tutti l'ho trovato quando ho cominciato ad occuparmi di rifiuti. In confronto, la meccanica quantistica è poco più di un cruciverba domenicale della settimana enigmistica.

Vedete, trattare i rifiuti è una cosa che normalmente richiede qualche tipo di impianti: inceneritori, gassificatori, compostatori, eccetera. Ora, gli impianti non sono poi una cosa tanto complicata. Da una parte entrano i reagenti, dall'altra escono i prodotti – dentro l'impianto succedono cose molto complicate che, però, sono di solito sotto controllo. E' così che funziona, per esempio, una raffineria. Da una parte entra petrolio detto “greggio”, dall'altra escono tutti i prodotti da destinare al mercato: benzina, gasolio, kerosene, bitume, eccetera. La composizione del petrolio greggio varia a seconda della provenienza ma prima di buttarlo dentro la raffineria, lo si analizza e lo si caratterizza per bene. Se poi dalla raffineria esce qualcosa che non dovrebbe uscire, sai che c'è qualcosa che non va, ma di solito riesci anche a capire che cosa e a prendere dei provvedimenti.

Gli impianti destinati a trattare i rifiuti, spesso non sono nemmeno tanto complicati, perlomeno in confronto con una raffineria. Questo è il caso, per esempio, degli inceneritori che sono arnesi che dovrebbero semplicemente bruciare i rifiuti. Ma il grosso problema è che non sai mai con precisione che cosa entra dentro l'impianto e, come conseguenza, non è ovvio prevedere che cosa esce. In effetti, quello che noi chiamiamo “rifiuti” è qualcosa la cui composizione varia a seconda della provenienza, della stagione, della situazione economica, di cosa va di moda, di chi decide, a un certo momento, di buttare in un cassonetto qualcosa che non ci dovrebbe assolutamente buttare: da un barattolo di vernice a una scatola di insetticida.

A seconda del tipo di trattamento, le diverse composizioni in ingresso possono non dare nessun fastidio oppure causare grossi danni. Un inceneritore, teoricamente, brucia tutto quello che gli arriva ma, in pratica, non sempre ce la fa a digerire tutto quello che gli viene scaraventato dentro. Non succede nulla se l'inceneritore è moderno, se i filtri sono ben mantenuzionati, se si evita di buttarci dentro rifiuti tossici; insomma se tutti fanno perfettamente bene il loro mestiere. Come ci possiamo immaginare, questo non è sempre il caso e qui ci sono alcune storie dell'orrore che è probabilmente bene tacere.

Se l'inceneritore è una macchina onnivora che, nel complesso, digerisce un po' tutto, ben peggio possono fare impianti più delicati che mal sopportano l'eterogeneità del materiale in ingresso. Con i vari digestori, gassificatori, dissociatori, eccetera il problema si pone. Come, del resto, si pone in modo particolare per gli impianti di compostaggio che già sono ben oltraggiati dal ricevere lattine, vetro, carta, plastica e di tutto un po' e che, decisamente, non sopportano l'occasionale barattolo di vernice che ogni tanto gli arriva.

Queste considerazioni evidenziano solo uno dei vari problemi della gestione dei rifiuti, ma illustrano la peculiarità del “problema rifiuti.” Lo comparavo all'inizio alla meccanica quantistica in termini di difficoltà ma, in realtà, è molto, molto più difficile. Per la meccanica quantistica, ci sono delle equazioni da risolvere – non certamente equazioni facili ma perlomeno sai cosa devi fare. Ma per i rifiuti, per prima cosa non sai mai esattamente da cosa parti e, non solo, non sai nemmeno esattamente dove vuoi arrivare. Cosa ne dobbiamo fare dei nostri rifiuti: bruciarli, seppellirli, differenziarli, recuperarli, buttarli in mare o che altro?

A ulteriore complicazione di una scienza già assai difficile dal punto di vista tecnico, si aggiunge la questione legislativa. L'Italia è un paese curioso per molte ragioni, una delle quali è la farraginosità e l'estensione del sistema legislativo. Si sa che abbiamo probabilmente tre- quattro volte più leggi di quante non ne abbiano gli altri paesi europei, ma non è tanto questo il problema principale. Il problema è la diffusa cultura che tutti i problemi si possano risolvere con nuove leggi. Ad ogni problema che viene fuori sulla stampa, in effetti, c'è sempre un politico che sorge ad annunciare una nuova legge che proibirà questo o quest'altro mentre renderà obbligatorio quant'altro e altro ancora. In pratica, la situazione legislativa del paese è fuori controllo. L'astratto concetto del “legislatore” si incarna nella realtà in un coacervo di lobby e interessi particolari che si combattono fra di loro e che si coalizzano per combattere gli onesti tentativi di quelli che cercano di fare qualcosa di buono e di utile. In pratica, il sistema legislativo attuale è un peso spaventoso per tutto il paese.

Questa pesantezza della legislazione è particolarmente dannosa per quanto riguarda la gestione dei rifiuti. Se è vero che il quadro legislativo attuale è stato realizzato sulla base di alcuni buoni e sacrosanti principi (per esempio, la tracciabilità dei rifiuti) è anche vero che il rifiuto è un entità variabile che mal si sottopone a regolazioni draconiane. Il risultato sono dei costi amministrativi e burocratici spaventosi per chi tratta rifiuti. Questi costi sono totalmente incompatibili con l'obbiettivo che dovrebbe essere di recuperare le materie prime e rimetterle nel ciclo produttivo. Va a finire poi che il cittadino non capisce né la logica né gli scopi delle varie leggi e le concepisce soltanto come delle imposizioni destinate a farlo pagare di più e ad avvelenarlo (alle volte, non completamente a torto).

Alla fine dei conti, per gestire i rifiuti urbani devi essere allo stesso tempo un chimico, un biologo, un ingegnere, un politico, un avvocato, uno psicologo della comunicazione e altre cose in più. Ci mancano persone che abbiano una preparazione sufficiente per averne una visione complessiva. Spesso ai vari convegni sui rifiuti, assistiamo a una piccola fiera di forni e combustori di vario tipo, presentati da ingegneri espertissimi nella scienza della combustione ma che della “scienza dei rifiuti” sanno ben poco. Oppure, troviamo  burocrati che non si rendono minimamente conto del peso economico che certe interpretazioni della legislazione pongono su chi cerca di fare qualcosa di utile con i rifiuti. Per non parlare dei vari comitati contro questo e contro quello, come pure di certi politici che non hanno altro obbiettivo che farsi belli tagliando il nastro di qualche nuovo impianto che, poi, non si sa se funzionerà davvero e per quanto tempo (e, anche qui, ci sarebbero dei racconti dell'orrore che è meglio tacere)

Per queste ragioni, avremmo bisogno di qualcosa che potremmo definire un “nuovo rinascimento” nel campo dei rifiuti. Occorrono menti di ampio respiro, come ne avevamo nel rinascimento, da Brunelleschi a Leonardo, per inquadrare il problema: i rifiuti non sono qualcosa di cui ci dobbiamo liberare per non vederli più. Sono qualcosa di cui abbiamo disperatamente bisogno per chiudere il ciclo delle materie prime e mantenere in vita quella cosa che chiamiamo “civiltà”. Su questo punto, Antonio Cavaliere si rivela una di queste menti aperte e capaci di vedere i problemi al di là degli interessi particolari. Questo suo libro ispirato al concetto del fiore dell'Iris ci da un quadro generale del problema dei rifiuti e ci propone delle soluzioni per risolverlo.