martedì 13 luglio 2010

Morire di Caldo


Questa immagine (da ScienceDaily) riassume i risultati di uno studio recente pubblicato sul PNAS. Sono le temperature che potrebbe raggiungere il pianeta in certe ipotesi - estreme ma non impossibili - se il riscaldamento globale continua. Le temperature sono "wet bulb", "a bulbo umido." Per un essere umano, è impossibile vivere a lungo a temperature a bulbo umido superiori a circa 36 °C. In questo scenario la maggior parte del pianeta diventerebbe inabitabile. 


La cosiddetta "temperatura di bulbo umido" si misura con un termometro avvolto in una garza bagnata e sottoposto a un flusso d'aria. E' una indicazione di quanto una condizione di calore e umidità è accettabile per gli esseri umani. Il corpo umano ha una temperatura interna di circa 37 °C, quella della pelle è un paio di gradi inferiore. Sudando, si possono sopportare temperature anche alcuni gradi più alte di 36 °C, ma solo se l'aria è secca. Ma se la temperatura di bulbo umido è di 36 °C - o più alta - sudare non serve. E' una questione di termodinamica: non è possibile raffreddare un corpo per evaporazione a temperature più basse di quelle di bulbo umido. Più di qualche ora in quelle condizioni e non c'è scampo. E' la morte per ipertermia.

Oggi, in nessun posto del mondo si arriva - normalmente - a temperature di bulbo umido tali da uccidere. Questa immagine è presa dall'articolo di Sherwood e Huber citato prima e mostra i massimi di temperatura di bulbo umido misurati oggi: 



Come vedete, i massimi sono intorno ai 30-31 °C di bulbo umido nell'India del Nord, in certe aree dell'Indocina, dell'Amazzonia e dell'Africa centrale. Vivere in queste zone in estate è possibile, anche se non certamente confortevole. In contrasto, i valori delle temperature di bulbo umido sono molto più bassi in luoghi caldi ma secchi, come il deserto del Sahara o l'Arabia Saudita.

La domanda che si sono posti Sherwood e Huber nell'articolo citato è se il riscaldamento globale potrebbe portare le temperature planetarie a livelli tali da rendere invivibile una frazione importante della superficie. Per rispondere, non basta parlare di "aumento medio", dato che sappiamo che il riscaldamento globale si manifesta soprattutto ad alte latitudini. Occorre fare una completa simulazione, cosa che gli autori hanno fatto. Questi sono i loro risultati principali:

"Concludiamo che un riscaldamento globale di circa 7 °C creerebbe piccole zone dove la dissipazione del calore metabolico diventerebbe impossibile per la prima volta, mettendo in dubbio la possibilità di sopravvivenza per gli esseri umani. Un riscaldamento di 11-12 °C espanderebbe queste zone a comprendere la maggior parte della popolazione umana di oggi."

Il risultato per un riscaldamento di 11-12 °C è mostrato graficamente nella figura all'inizio di questo post, che comunque ripeto qui per chiarezza:


In questa simulazione, tutta la fascia tropicale del pianeta è inabitabile per gli esseri umani, anche se non necessariamente per tutti i mammiferi, molti dei quali hanno temperature corporee più altre delle nostre.

Quali concentrazioni di CO2 occorrerebbero per arrivare a queste temperature? Questo lo discute Stuart Staniford nel suo blog "Early Warning". Si stima oggi un fattore di circa 3 °C di aumento medio delle temperature globali per ogni raddoppio della concentrazione di CO2 a partire dalla concentrazione pre-industriale di 280 ppm. Questo vuol dire che 2 raddoppi, ovvero circa 1000 ppm di CO2, ci porterebbero alle condizioni di quel mondo inabitabile di cui ci parlano Sherwood e Huber.

Secondo gli scenari dell'ultimo rapporto IPCC, sarebbe possibile arrivare a 1000 ppm di CO2 verso la fine del secolo XXI. In questo caso, ci troveremmo vicini alla condizione simulata da Sherwood e Huber. E' improbabile che continueremo a bruciare carbone fino a quel momento, ma va notato che non è strettamente necessario. L'aumento di temperatura di cui stiamo parlando potrebbe essere causato da altri gas serra, come il metano che potrebbero essere emessi all'improvviso e in grande quantità se superiamo il "tipping point" della decomposizione degli idrati. Neppure possiamo escludere che il fattore di sensibilità dell'effetto della CO2 sia sottostimato. Potrebbe essere più alto di 3 °C per raddoppiamento. Infine, notiamo che stiamo parlando di eventi fisicamente possibili, dato che sono già avvenuti. Temperature come quelle di cui stiamo parlando c'erano nel  Paleocene e nel cosiddetto "PETM" (Paleocene-Eocene thermal maximum) che si è verificato circa 55 milioni di anni fa.

Insomma, non si può escludere che il pianeta diventi in gran parte inabitabile per gli esseri umani in qualche secolo, o forse anche prima della fine di questo secolo. I pochi sopravvissuti - posto che ce ne fossero - potrebbero soltanto vivere in zone vicine ai circoli polari; Siberia, Groenlandia, Canada e - forse - Antartide. Tutto questo sa di film dell'orrore o di catastrofismo super-spinto. Vero, però non è catastrofismo quantificare anche l'ipotesi peggiore; e questa certamente lo è.

D'altra parte, non c'è nemmeno bisogno di arrivare alle condizioni estreme considerate da Sherwood e Huber per trovare condizioni di temperatura tali da rendere difficile la vita umana; anche se non immediatamente mortale. Uno dei problemi è che abbiamo costruito gran parte della nostra edilizia residenziale senza minimamente preoccuparci del cambiamento climatico: moltissimi appartamenti moderni in Italia e nel sud-Europa in generale sono invivibili in estate senza l'aria condizionata. E se c'è un black out e l'aria condizionata manca per qualche giorno? E se uno non se la può permettere? Beh, allora è male per chi è anziano o non è in buona salute; di caldo si può benissimo morire. Succede, ed è già successo, per esempio, con la grande ondata di calore del 2003 che causò almeno 30.000 morti in Europa.

Certo, non possiamo attribuire uno specifico evento come l'ondata di calore del 2003 al riscaldamento globale ma, con il graduale aumento delle temperature, le ondate di calore sono destinate a diventare sempre più frequenti e più intense. E allora non ci resta che l'aria condizionata per proteggerci. Peccato che per avere aria condizionata bisogna bruciare petrolio e che quindi si contribuisce al riscaldamento globale......


Nota: l'articolo di Sherwood e Huber è disponibile soltanto a pagamento. Credo però che sia corretto scambiarselo nell'ambito del "peer to peer". Chi non ha un'abbonamento a ScienceDirect e ne vuole una copia, mi scriva pure (ugo.bardichiocciolaunifi.it) che glie la spedisco.