domenica 24 gennaio 2010

Paolo Granzotto continua a rifiutarsi di mettere l'occhio al telescopio




In un post precedente, avevo criticato Paolo Granzotto paragonando il suo atteggiamento riguardo al riscaldamento globale a quello degli oppositori di Galileo Galilei. Ai quei tempi, c'era chi si rifiutava di guardare dentro il telescopio e negava le scoperte di Galileo soltanto sulla base dei loro arzigogoli filosofici.  Allo stesso modo, Granzotto si rifiuta di prendere in considerazione i dati e nega il cambiamento climatico sulla base dei propri arzigogoli mentali.

Devo aver colpito nel segno, perché Granzotto si sente ora in dovere di rispondere (vedi sotto) a "un tal Ugo Bardi, presidente, niente meno, che dell'associazione per lo studio del picco del petrolio"

Ahimé, nella sua risposta, il povero Granzotto non riesce a far di meglio che aggrapparsi alla leggenda del giorno. Secondo lui, gli "unici dati" sono "quelli del famigerato IPCC" (curiosamente scritto "Ipcc"). Eh, no: queste sono proprio panzane. L'IPCC - famigerato o no che sia - non ha dati propri. Si limita a riportare i dati raccolti da migliaia di ricercatori indipendenti e centri di ricerca che non sono, certamente "al suo servizio". L'IPCC (scritto in maiuscolo) non ha la possibilità di influire sul lavoro di queste migliaia di ricercatori; non più di quanto il "tal Ugo Bardi" abbia la possibilità di influire su quello che si pubblica, per esempio, su "Il Giornale."

Insomma, Granzotto continua a basarsi sull'ideologia, rifiutandosi  di guardare dentro il telescopio climatico. Ma, alla fine, la scienza di Galileo l'ha avuta vinta e lo stesso succederà per la scienza del clima.

Devo dire però anche qualcosa a favore di Granzotto che, perlomeno, non rifiuta il confronto. In questo tipo di dibattiti, la strategia fondamentale è quella di far sparire l'avversario nell'invisibilità mediatica; ignorandolo. Questo, Granzotto poteva farlo facilmente sfruttando il potere mediatico del "Giornale" che è infinitamente superiore a quello del blog del "tal Ugo Bardi". Granzotto, se non brilla per competenza, peraltro dimostra un certo coraggio. Onore al merito!

Non c'è dubbio, in effetti, che ci vuole un gran coraggio a sostenere che il mondo non si scalda di fronte all'evidenza. Per esempio, questo francobollo che illustra il ritiro dei ghiacciai; emesso dalle poste svizzere  (e non dall' "Ipcc"!)




(Ringrazio Leonardo Libero per la segnalazione dell'articolo di Granzotto e per l'immagine del francobollo delle poste svizzere)
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Ecco l'articolo di Granzotto pubblicato su Il Giornale di sabato 23 gennaio 2010


Il global warming sta cuocendo nuove «bufale»

di Paolo Granzotto
Caro Granzotto, un amico mi ha riportato questa battuta: «tranquilli, del riscaldamento globale si tornerà a parlare in luglio». Ma è poi una battuta?
e-mail

Da come si stanno mettendo le cose è probabile che sì, resterà una buona battuta di spirito. Non credo infatti che al disgelo gli sciamani del global warming rialzeranno la cresta e, approfittando del solleone, la rimenino col surriscaldamento climatico. Essi temono d’esser presi a pernacchie, come capita già da adesso (gli Usa sono sempre all’avanguardia) al loro idolo Al Gore, incessantemente sbertucciato da stampa e tivvù di un’America sepolta sotto una coltre di neve, attanagliata da temperature polari. La verità è, caro Mascielli, che «è sempre più sottile il ghiaccio su cui camminano i climatologi», come scriveva la brava Elena Dusi sulla Repubblica (quotidiano che ha sposato, ma forse converrebbe dire che sposò, la visione apocalittica del pianeta che sta finendo arrosto). Ghiaccio che finirà presto per cedere, sprofondando negli abissi del ridicolo il global warming, i suoi sostenitori e i fanatici adepti della religione ambientalista, degli adoratori di Gea, la Terra Madre. Prima lo scandalo del climagate, la più grande truffa scientifica dai tempi di Cagliostro, con le famose e-mail che i climatologi si scambiavano per concordare aggiustamenti, ritocchi e tarocchi ai rilevamenti delle temperature medie, alzandole di qualche grado per conformarle alla favola del riscaldamento globale. Poi la storia dei ghiacciai dell’Himalaya che secondo il Rapporto dell’Ipcc, il comitato dell’Onu che si occupa dei cambiamenti climatici, si sarebbero sciolti del tutto entro il 2030. Una balla grande come una casa che tuttavia fruttò all’Ipcc il Nobel e fece piangere di dolore e di rabbia Al Gore, smentita dallo stesso capo del comitato, il miliardario indiano Rajendra Pachauri.


Eppure, le tremende mazzate alla credibilità della sala comando del riscaldamento globale sembra non turbino le coscienze dei più cocciuti fra coloro che quella bufala abbracciarono con fideistico entusiasmo. Essi seguitano a ripetere la stessa litania e cioè che stando ai dati raccolti «il riscaldamento del clima è inequivocabile e sta avvenendo a ritmi molto sostenuti» (il virgolettato è di Giampiero Maracchi, professore di climatologia all’Università di Firenze). Chi, rabbrividendo dal freddo, rifiuta di crederci viene poi liquidato come «negazionista», cioè individuo indegno, colpevole di mortale peccato civile. Come fa, a esempio e chiamandomi in causa, un tal Ugo Bardi, presidente, niente meno, che della «Associazione per lo studio del picco del petrolio». Anche il Bardi è di quelli che insistono nell’affermare che «i dati veri, documentabili, pubblicati su riviste internazionali» parlano chiaro confermando che fa caldo, sempre più caldo. Ma quali sarebbero questi dati «veri»? Gli unici a far testo, gli unici a far aggio sono quelli del famigerato Icpp che ha al suo servizio migliaia - dicesi migliaia - di scienziati e di «esperti» i quali si dedicano solo ed esclusivamente a controllare l’andamento climatico. Ed è sulla base dei dati e dei rapporti dell’Ipcc, non di altri, che fu lanciato l’allarme, decretata l’emergenza per il surriscaldamento del pianeta, formulato il Protocollo di Kyoto e concordata la road map della recente conferenza di Copenaghen. Bene, quei dati sono risultati falsi. Quei rapporti (dove si leggeva che in base a rilevamenti scien-ti-fi-ci i ghiacciai dell’Himalaya avevano gli anni contati) sono risultati inattendibili se non proprio fraudolenti. E chi sostiene il contrario è un negazionista, ecco che cos’è.


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