domenica 3 settembre 2017

Il Paese dei Polli Bagnati


Non so se vi è mai capitato di vedere un pollaio quando comincia a piovere. Di solito, i polli non sono furbi abbastanza da capire che possono ripararsi da qualche parte e se ne stanno sotto l'acqua, un po' perplessi, al massimo arruffando le penne.

Questa cosa dei polli bagnati mi è venuta in mente pensando a come la storia dell'Uragano Harvey è stata percepita in Italia. Sapete che Harvey ha avuto un grosso impatto negli Stati Uniti, non solo per i danni che ha fatto, ma per come ha stimolato il dibattito sul cambiamento climatico.

Tutto il "mainstream" negli USA si è perlomeno domandato se c'era un legame fra il disastro e il riscaldamento globale, spesso concludendo che, si, questo legame esiste. Questo ha fatto imbestialire lo zoccolo duro dei negatori della scienza del clima che hanno risposto nel solito modo, senza rendersi conto che più si dibatte sul clima, più la verità viene fuori e questo non è bene per loro.

Qui da noi, invece, l'uragano Harvey è stato un flop clamoroso. Forse è soltanto una mia impressione, ma, a parte il minimo dovuto, non si è visto nessun dibattito sui media nazionali sul come è perché l'uragano è stato rinforzato dal riscaldamento globale. Che la storia di Harvey non interessasse a nessuno, l'ho visto più che altro da un post che ho pubblicato sul "Fatto Quotidiano". Non vi so dire quanta gente lo abbia visto, ma l'interesse si vede dal numero di commenti e qui ce ne sono stati meno di 40, ben pochi rispetto alla media dei miei post. Per esempio, il mio post sulla falsa petizione sul clima di Zichichi ne aveva avuti più di 700.

E qui mi sono venuti in mente i polli bagnati. Ancora, è una mia impressione, ma forse sarete d'accordo che qui in Italia il dibattito sugli argomenti seri è quasi completamente svanito dai media, sia da quelli "social" come da quelli "mainstream". Così, il dibattito (se così lo vogliamo chiamare) è tutto una serie di insulti: alla Boldrini, agli immigrati, ai musulmani, ai furbetti, alla Merkel, all'Euro, ai vaccini, e così via. Il resto, semplicemente non esiste. Gli Italiani sembrano veramente dei polli sotto la pioggia che non sanno dove ripararsi; anzi, dei polli che non si rendono nemmeno conto che sta piovendo.

E, in particolare, non esiste il problema del cambiamento climatico. Quest'estate, quando c'erano 42 gradi a Firenze, ho provato a domandare a qualcuno se non gli sembrava che ci fosse qualcosa che non andava. La risposta è stata normalmente qualcosa tipo, "perché? Non siamo in Estate?" E avanti come se niente fosse.

Speriamo almeno che piova un po' dopo questa terribile estate.




venerdì 1 settembre 2017

Zichichi Furioso

Questo non è il Prof Antonino Zichichi, ma in qualche modo sembra un'immagine appropriata per questo post. 



Vi ricordate la storia della "falsa petizione" sul cambiamento climatico che Zichichi aveva fatto surrettiziamente firmare ai suoi colleghi, senza spiegargli che cosa stavano firmando? Potete leggere la storia su questo blog.

Visto che il suo trucco era stato scoperto, il prof. Zichichi non l'ha presa bene, decisamente. Ecco un suo commento che è apparso su "Libero Quotidiano". Pesantino, non vi pare? Si vede proprio che abbiamo colpito nel segno.



In merito alla sua petizione contro le eco-bufale, alcuni siti come «Climalteranti» hanno dimostrato che i 20 scienziati internazionali da lei coinvolti a sostegno delle sue tesi o non le conoscevano o non le condividevano. Come è nato l’equivoco?

«Lei cita sorgenti di informazione nelle quali non c’è una sola persona che sia autore di scoperte e di invenzioni. Sono persone che parlano di Scienza senza averne mai fatta. Enrico Fermi insegna che queste persone sono esempi di Hiroshima culturale e non meritano risposte. Se poi qualcuno ha sottoscritto un documento senza leggerlo, impari a leggere prima di firmare. Gli scienziati che partecipano ai Seminari di Erice sono pienamente a conoscenza delle mie tesi come dimostra la testimonianza dell’Ingegnere Pracanica. E le mie critiche scientifiche ai modelli climatologici sono nei volumi pubblicati dalla World Scientific, la più prestigiosa casa editrice scientifica».


giovedì 31 agosto 2017

Morire di Caldo



42 gradi centigradi misurati dal termometro della mia macchina nella piana di Sesto Fiorentino questo agosto

Sembra che, miracolosamente, questa torrida estate stia per finire con le piogge in arrivo. E speriamo che non ci arrivi addosso qualche altro disastro climatico causato dalla troppa acqua, come è successo a Houston. In attesa della pioggia, vi ripropongo un mio articolo apparso il 6 Agosto sul "Fatto Quotidiano".  (UB)


Quarantadue gradi misurati a Firenze durante l’ondata di calore dell’inizio di agosto del 2017. L’ondata di calore che ha investito l’Italia in questi ultimi tempi fa nascere la domanda se, a lungo andare, il cambiamento climatico ci potrebbe far morire di caldo. E’ possibile? Alcuni studi hanno cercato di rispondere a questa domanda in funzione di una misura che si chiama “temperatura di bulbo umido” che imita il meccanismo umano di raffreddamento per sudorazione. In pratica, si misura la temperatura con un termometro, su cui si spruzza acqua, facendola evaporare. Si sa che se la temperatura di bulbo umido è superiore a 35° C, un essere umano non riesce più a disperdere il calore per sudorazione e finisce per morire di ipertermia in qualche ora al massimo.

Quanto siamo lontani da queste temperature, in Italia? Per fortuna, abbastanza lontani. Mi diceva il mio collega, Luca Lombroso, che ha fatto qualche misura a Bologna durante l’ultima ondata di calore, trovando che per una temperatura “normale” di circa 40° C, la temperatura di bulbo umido era 22,5° C. Non si moriva di ipertermia a Bologna, anche se di certo non era la giornata giusta per farsi una passeggiatina rilassante in centro verso le due del pomeriggio.

Tuttavia, le cose stanno cambiando e continueranno a cambiare. Alcuni studi (uno del 2010 e uno del 2017) hanno trovato che il progressivo riscaldamento globale potrebbe portare molte regioni della fascia tropicale dell’Europa e dell’Asia a raggiungere temperature di bulbo umido superiori a 35 °C, rendendole inabitabili. Questo potrebbe accadere verso la fine del secolo. Nessuno di questi studi ha esaminato l’Italia in particolare, ma è chiaro che siamo nella fascia di rischio.

E’ possibile che un giorno l’Italia diventi desertica e inabitabilecome lo è oggi il deserto del Sahara? Forse, e visto come siamo messi con la siccità questo inizio di Agosto, ci potrebbe sembrare addirittura probabile. Ma, ovviamente, ci sono tante incertezzein queste previsioni a lungo termine. Piuttosto, il problema è che già oggi siamo nei guai. La frequenza e la forza delle ondate di calore nelle capitali europee è in continuo aumento.

Non solo le temperature massime diurne sono aumentate ma anche, e in maggior misura, quelle notturne, incrementando il disagio e lo stress per gli esseri umani. Secondo uno studio recente, si prevede un aumento di un fattore 5-10 della frequenza delle ondate di calore devastanti nei prossimi decenni. In un articolo recente apparso su Lancet si parla senza mezzi termini di un aumento di un fattore 10 del numero delle vittime causate dalle ondate di calore in Europa nei prossimi due decenni. Questo numero è destinato a peggiorare nei decenni successivi. E questo vale per l’Europa in media, la situazione si prospetta peggiore nei paesi del sud Europa, ovvero da noi. Così, se vi siete domandati se era soltanto un’impressione che faccia più caldo oggi di una volta, adesso sapete che non lo è.

La buona educazione vuole che quando si parla di un grave problema, si concluda prospettando qualche soluzione. Ma, in questo caso, non ci sono vere e proprie “soluzioni” a un cambiamento ormai largamente irreversibile. I vari trattati a livello internazionale, tipo quello di Parigi, cercano di rallentare il fenomeno del riscaldamento globale con l’idea di bloccarlo a lungo termine. Ma, per i prossimi decenni, il riscaldamento è destinato ad aumentare e con esso le ondate di calore. Così, la raccomandazione principale è di non prendere il problema sottogamba. Non viviamo più sullo stesso pianeta in cui vivevano i nostri nonni. E’ un pianeta diverso e sta cambiando rapidamente.

Così, a parte le soluzioni drastiche, tipo emigrare al Nord, cominciate a pensare a come affrontare le future ondate di calore pericolose, specialmente se non siete più giovanissimi e avete qualche problema di salute. La cosa più semplice è avere l’aria condizionata in casa: vi può salvare la vita. Potete anche fare un isolamento termico alla casa; di per sé non fa molto contro il caldo, ma aumenta l’efficienza del condizionamento. Se avete modo, cercate anche di installare un impianto fotovoltaico sul tetto: vi ripagherà il costo delle bollette causato dal condizionatore e non peggiorerete le cose emettendo ulteriori gas serra. E se potete piantare qualche albero che faccia ombra alla casa, anche quello aiuta.

Non sono soluzioni entusiasmanti, certo. Ma ci sono alternative?Certamente sì. Potete chiudere gli occhi e gridare qualcosa tipo: “Non ci sono prove” oppure, “E’ il sole, non l’uomo” o anche “Sta per arrivare la nuova era glaciale”. Può anche aiutare molto leggere le fesserie sul clima che vi raccontano alcuni. Poi arriverà Settembre e vi dimenticherete del caldo che avete sofferto in estate. E se a Natale ci saranno 20° C direte “Come si sta bene”. In fondo, l’estate del 2018 è ancora lontana.



domenica 27 agosto 2017

Mandare gli Studenti in Discarca




Portare gli studenti a visitare la discarica. Si accorgeranno di quanto è sofisticato e complesso l'impianto di trattamento dei rifiuti. E anche di come si riesca a partire da un cumulo di schifezze, che includono ogni possibile robaccia buttata dai maleducati, per farci un terriccio che poi si può utilizzare in agricoltura. L'impianto puzza? Certo, ma è l'economia circolare, bello mio!












Ringrazio gli Studenti del corso di "Tecnologia dei Materiali Avanzati del corso di laurea in Chimica dell'Università di Firenze

giovedì 24 agosto 2017

Uccidere l'orso, uccidere se stessi

Wild Brown Bear in the Carparthian Mountains


Un fantasma si aggira per il mondo: l'incapacità degli esseri umani di capire cosa stanno facendo all'ecosistema e, di conseguenza, a se stessi. E' un concetto che si sta facendo strada sotto il nome di "Ecosystem Services." (servizi ecosistemici) E' un termine che va preso con attenzione; l'ecosistema non è e non è mai stato al servizio degli esseri umani. Piuttosto, sono gli esseri umani che dipendono dall'ecosistema. Si sta facendo strada l'idea che stiamo sovrasfruttando l'ecosistema, prelevando nel breve termine molto di più di quanto l'ecosistema può fornire a lungo termine. Il che vuol dire, a lungo andare, suicidarsi in un modo particolarmente doloroso. Così, ammazzare un orso, come è stato fatto in Trentino, è una dimostrazione dell'ignoranza spaventosa che regna su questo concetto fondamentale: anche l'orso è parte dell'ecosistema, anche l'orso è una delle cose che fanno vivere l'ecosistema di cui facciamo parte anche noi. E' un classico esempio di "segare il ramo dell'albero che ti sostiene".

Qui, molti se la sono presa con Ugo Rossi, presidente della Provincia di Trento. Ma Rossi non ha fatto niente altro che il suo mestiere di politico: ha fatto i suoi conti e ha visto che ammazzare l'orso gli porta più voti che lasciare l'orso vivo. Ed ha agito di conseguenza. A giudicare dai commenti che si vedono in qualsiasi discussione sui social media su questo argomento non gli si può dare torto. Sono commenti che dimostrano un'ignoranza profonda, incancrenita, aggressiva, contro la quale lottare è impossibile.

E allora? E allora andremo a finire dove dobbiamo andare a finire: c'è un dirupo di Seneca in attesa per chi distrugge l'ecosistema di cui è parte.

Di seguito, un bell'articolo di Natan Feltrin su questo argomento. (UB)

Strangolando ogni cuore selvaggio: il caso dell’orsa KJ2 (demografie aspeciste)

 Di Natan Feltrin

Quando il pericolo sale sopra una certa soglia, si procede all’abbattimento anche per garantire la sicurezza delle persone” (presidente della Provincia di Trento Ugo Rossi)[1].    Così sembra girare il mondo quando si nasce incarnati in un corpo selvaggio, in un corpo “sbagliato”. Basta poco, niente, una colluttazione accidentale e non desiderata, a scatenare il panico e a far brandire torce e forconi, e ad innescare una nuova spietata caccia al mostro.
Non conta affatto la razionalità in questo genere di episodi, non conta l’etologia, non conta l’ecologia, non conta la conoscenza del proprio territorio, non conta più il buon senso, siamo nell’ambito delle paure ancestrali del rimosso, di quel sonno della ragione che genera mostri “umani troppo-i umani”[2]. Così, ancora una volta, un animale colpevole solo della propria natura, talvolta “ingombrante”, è stato sentenziato a morte pochi giorni fa in provincia di Trento.
Per proteggere persone umane la via più facile non sembra mai essere quella di educarle, di responsabilizzarle e prepararle ad una convivenza, forse non sempre semplice, con l’alterità animale. Semmai quella gigantesca campana di vetro che brama di essere il “primo mondo”, l’occidentale, ogni voce di dissenso, ogni possibile scheggia impazzita vuole eradicarla senza se e senza ma. I soggetti non umani, se non sono oggetti di uso nel mondo antropocentrico o innocue presenze a scopo ornamentale devono essere automaticamente debellati per l’incolumità anche del più irresponsabile dei Sapiens. Una logica paradossale che porterebbe all’abbattimento di un esemplare di pachiderma se solo un folle di turno decidesse di suicidarsi con un sonnellino all’ombra della sua zampa.  Due pesi due misure, ovvio. La teriofobia, forse parente di qualche ancestrale esigenza adattativa, ora diviene strumento cognitivo di una spietata biopolitica ai danni di tutto ciò che il moderno Homo consumens non può fagocitare senza imprevisti. Senza tediare la riflessione portando innumerevoli dati, comunque facilmente reperibili in rete, ovunque nel mondo le interazioni non pacifiche tra umani e grandi predatori sono in aumento (orsi neri in Nord America, grandi felini in India, alligatori negli States…) portando vittime da entrambe le parti e lasciando trionfante solo l’ignoranza etologico-ecologica delle nostre moderne società.
In ultima istanza, ogni controversia tra ciò che rimane dei rappresentanti del wilderness e gli sfortunati e spesso ingenui Sapiens è frutto di due dinamiche che se perseguite renderanno questo splendido Pianeta e la sua biosfera un deserto:
  • L’aumento vertiginoso della popolazione umana oltre la soglia dei 7 miliardi e dei suoi, spesso futili ma sempre crescenti, desideri materiali legati ad una distorta nozione di ben-essere[3].
  • L’incapacità di pensare alla Natura come ad una entità né da demonizzare né da sottovalutare, ma come un grande contenitore di possibilità portato ad agire attraverso dinamiche, non negoziabili, al di là del bene e del male.
Questa mancanza di comprensione-accettazione di una prospettiva antroposcopica e aspecista (o biocentrica) è il frutto di quel dominio immanente e trascendentale, materiale e simbolico dell’intero spazio-mondo da parte di una sola vorace specie. L’animalità per re-esistere deve farsi sottile, deve essere compressa e schiacciata in lager funzionali ad alimentare sempre nuova biomassa umana. Altrimenti deve essere scacciata tout court dalla propria dimora, come accade a tutte le specie ancora selvatiche di animali, piante e non  solo, per far posto a quel comodo e privo di imprevisti giardino-mondo che esiste al solo scopo di entertainment. In altre parole, parcere subiectis et debellare superbos!
Queste sono solo brevi e amare considerazioni che necessiterebbero di ben più lunga stesura e ben più coraggioso dire, ma nascono da uno spontaneo senso di disgusto nel vedere messo in scena in uno squallido teatrino mediatico la violenza istituzionalizzata su di un altro essere senziente, mascherata come buon senso ed esempio di razionale gestione del wilderness. La vita selvaggia, oramai, sta scomparendo, il bosco non può più essere che interiore poiché i suoi abitanti non sono più ben accetti nella nuova ontologia dell’Antropocene. Perdendo il bosco, però, perdiamo noi stessi, perdiamo la nostra grande occasione di vedere nell’altro dell’altro rispetto ad un oggetto d’uso o ad un nemico da annichilire. Perdiamo la possibilità che il bosco ed i suoi legittimi abitanti ci rammentino la nostra fragilità e caducità ricordandoci come la natura ed il cosmo non siano fatti a misura dei nostri desideri e ci insegnino a portare rispetto verso ciò che non è solo nostro, poiché laddove manca il rispetto non vi è civiltà ma solo macerie a compiersi.
La violenza contro il diverso è cifra di tutta la parabola umana, ma non per questo siamo esenti dal doverci impegnare in un cammino di emendazione. In siffatta prospettiva dobbiamo comprendere la necessità di ripensare alla demografia in termini aspecisti, poiché se una regione verde come il Trentino-Alto Adige estesa per 13 606,87 km² ed avente più di un milione di abitanti non riesce ad accettare una popolazione di plantigradi composta da soli 48-54 elementi, qualcosa palesemente non funziona. Questi numeri sono un emblema dell’insaziabilità di Homo sapiens  in quanto a spazio e risorse. Se ha davvero un senso il concetto di eccesso di legittima difesa, esso dovrebbe essere applicato allo scopo di definire crimine ecologico ogni abbattimento a scopo preventivo, senza dimostrazioni incontrovertibili di non avere alcuna alternativa praticabile.               
L’orsa KJ2, figlia del prezioso progetto Life Ursus[4],  è l’ennesimo cuore selvaggio che si è spento per mano dell’uomo. Immemori di essere anche noi figli ancestrali della foresta, di essere stati anche noi un tempo in manifesta balia della necessità e di una natura soverchiante, abbiamo ricusato che il mondo non è né un supermercato né un parco giochi e che i pericoli esistono e sempre esisteranno. Diradata questa coltre di ignoranza, un sano realismo ci impone la conoscenza e la prudenza come  scelta primaria per affrontare la vita onde evitare un troppo comodo e sempre immorale spargimento di sangue.
Per concludere questo paper che ha per me il sapore di un epitaffio, voglio ricorrere alle parole di uno dei miei maestri lungo l’infinita via della comprensione: “La debolezza, la fragilità, la vita senza colpa ci inorridiscono: addio KJ2, sigla di un’esistenza senza nome, simbolo di una violenza senza ragione[5].

[2]“Ciò che fa paura è semplicemente l’oggetto di una rimozione, ciò che deve essere sacrificato, addomesticato, respinto o, al limite, eliminato perché lo spazio dell’esperienza umana possa chiudersi e compiersi senza resti, ostacoli, disturbi. La civiltà poggia su una contrapposizione tra umano e non-umano che struttura sia materialmente che simbolicamente ogni aspetto dell’esperienza umana”. Maurizi M. 2012, Teriofobia in Asinus Novus: https://asinusnovus.net/2012/05/02/teriofobia/ .
[3] Per avere un’idea della crescita demografica e di quella dei consumi: http://www.worldometers.info/world-population/ & http://www.footprintnetwork.org/our-work/ecological-footprint/ .


[5] Pubblicato da Caffo L. su FB il 13 agosto 2017.

lunedì 21 agosto 2017

Clima: Il problema con i grafici



Il tweet di cui sopra arriva da Claudio Cerasa, direttore de "Il Foglio". Di lui, leggiamo:

Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio da dieci anni e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

E, aggiungiamo, non sa interpretare un grafico cartesiano. Il problema è che non è il solo.