lunedì 21 aprile 2014

L’UNICITA’ DELLA SPECIE UMANA NE DETERMINA IL FATO? Parte 4 – Spes, ultima Dea.

Parte quarta (e conclusiva) della serie di Jacopo Simonetta sul destino della specie umana


Prima parte.
Seconda parte.

Terza parte




         

di Jacopo Simonetta



Come reagiremo, collettivamente, alla situazione di carenza di risorse e crescita esplosiva della popopolazione - come delineato nei post precedenti?  In altri termini, come potranno quattro caratteristiche fondamentali della specie umana ci porteranno ad agire e con quali presumibili conseguenze?

Ricordiamole:


1 – Estrema polifagia.   Indubitabilmente continuerà lo sfruttamento di risorse qualitativamente peggiori, man mano che quelle migliori diverranno insufficienti. Già oggi lo vediamo, ad esempio,  con lo sfruttamento dei cosiddetti “petroli non convenzionali” e del carbone, oppure con l’allevamento industriale di insetti e batteri a scopo alimentare.   Sicuramente ciò sta contribuendo a posticipare il collasso globale che incombe, ma solo al prezzo di aggravarlo in quanto ogni giorno che passa la popolazione aumenta, mentre la capacità di carico globale diminuisce.   In pratica, è come ottenere una rateizzazione di un debito impagabile a fronte di un ulteriore incremento degli interessi passivi.

2 – Evoluzione culturale.   La totalità delle risorse disponibili è dedicata ad uno sforzo letteralmente titanico per sviluppare tecnologie più aggressive ed efficienti, ma sempre sulla base di scoperte e brevetti di base datati, perlomeno, di parecchi decenni.  Ad esempio, le tecnologie fondamentali per l'informatica contemporanea sono brevetti militari degli anni '50; il fracking deriva da un brevetto degli anni '40; l'Ucg (recupero di gas da carbone bruciato in posto) data addirittura dalla fine del XIX° secolo. Sembra che siamo in grado di perfezionare anche di molto quello che abbiamo, ma che non siamo capaci di inventare qualcosa di veramente innovativo come furono, ai loro tempi, il motore a vapore o quello a scoppio.   In parte, forse perché la scoperta “cornucopia” che cerchiamo non esiste, mentre la ricerca di un approccio radicalmente diverso alla situazione è lasciato a settori marginali della società.

In parte, certamente, perché il progresso tecnologico è in buona misura una funzione dell'energia disponibile al netto delle attività economiche vitali, in primis l'estazione e raffinazione dell'energia.   Un margine che si sta rapidamente erodendo con il peggioramento qualitativo delle fonti disponibili.
Inoltre, l’aumento vertiginoso dei volumi e della velocità di informazione pongono problemi crescenti di sintesi, di comprensione e di reazione anche a personale altamente qualificato.    Gran parte della classe dirigente (sia politica che economica) pare aver già raggiunto un livello di “overflow” oltre il quale prevalgono comportamenti istintuali e/o abituali sulla capacità di analisi razionale.   Questo potrebbe spiegare almeno in parte perché, pur essendo perfettamente informati dei danni, dei rischi e delle principali cause della crisi attuale da almeno 40 anni, non abbiamo intrapreso alcuna azione efficace per evitarla.   Di fatto, il comportamento complessivo dell’umanità non si sta dimostrando più “intelligente” di quello di una muffa; è  come se la sommatoria di 7 miliardi di cervelli pensanti fosse tendente a zero.

3 – Incremento della complessità.   Finora è stata una strategia vincente perché la disponibilità di risorse e la stabilità degli ecosistemi erano sufficienti a sostenere strutture progressivamente più costose in termini di risorse ed inquinamento.   Ma dal momento in cui la disponibilità di energia ha cominciato a declinare (perlomeno in termini qualitativi) la complessità ha cominciato a divenire sempre meno sostenibile.   D'altronde, la disarticolazione dei mega-sistemi in sub-sistemi  più semplici e meno interconnessi abbasserebbe drasticamente la capacità di fronteggiare problemi ordinari, come pure di estrarre ed utilizzare le risorse residue.   Si pensi, ad esempio alle capacità terapeutiche dei grandi ospedali universitari rispetto a quella degli ospedalini di provincia.   Oppure si pensi al livello iperbolico di complessità organizzativa necessario per costruire e mantenere operativa una piattaforma petrolifera artica e confrontiamolo con il livello organizzativo ed economico che permise al “colonnello” Drake di trivellare i suoi pozzi.

Inoltre, la complessità dei problemi da affrontare richiede oramai l’impiego di personale troppo specializzato per potersi efficacemente coordinare, col risultato che le risposte imbastite da governi e grandi organizzazioni in genere si stanno dimostrando frammentarie ed inefficaci,   spesso producendo danni imprevisti a latere di risultati deludenti. Un effetto probabilmente dovuto anche al fatto che la dimensione dei sistemi sociali è divenuta tale da impedire alle persone di riconoscervisi e, dunque, di collaborare efficacemente alla sopravvivenza collettiva.  In altre parole, pare che i livelli di complessità stiano raggiungendo livelli ingestibili.

4 – Costruzione sociale di modelli mentali di riferimento.    Il modello attualmente dominante e’ stato elaborato nel periodo in cui il tesoro nascosto delle energie fossili diventava disponibile e sembra incapace di adattarsi ad un contesto di progressiva carenza energetica, sia qualitativa che quantitativa.  Ma quando un modello ampiamente accettato e profondamente radicato viene posto sotto stress dalla forza di fatti che questo non è in grado di spiegare, si crea una situazione di grave sofferenza nei soggetti coinvolti.   Sofferenza tanto più forte quanto più brusco e profondo è il contrasto e, normalmente, la risposta alla sofferenza è la violenza.   Ne sono testimonianza il fiorire di movimenti integralisti in più meno tutte le grandi religioni, come il risorgere di ideologie già costate milioni di morti che rappresentano altrettanti tentativi di ricreare dei modelli mentali ad un tempo esplicativi della realtà ed identitari del gruppo.   Certo, è teoricamente possibile una revisione del modello o la sua sostituzione con uno più adeguato, ma questo tipo di processo richiede tempi relativamente lunghi che non abbiamo più a disposizione.    Di fatto, le classi dirigenti continuano a pensare sulla base di paradigmi elaborati in contesti completamente diversi dall'attuale e questo ne spiega il sistematico fallimento, anche a prescindere dai pur reali e diffusi fenomeni di stupidità, corruzione ed ignoranza.

E dunque?  Personalmente, ritengo che i livelli organizzativi superiori (organizzazioni internazionali, stati, grandi imprese, ecc.) non potranno materialmente elaborare alcuna strategia efficace e dunque si limiteranno a tamponare via via le falle maggiori, di solito aprendone altre.   Una cosa che potranno fare ancora per un periodo relativamente lungo (probabilmente un paio di decenni, forse di più) poiché la disponibilità di mezzi a loro disposizione è davvero molto elevata.   Il problema è che così facendo posticiperanno sì eventi particolarmente dolorosi come le carestie, ma eroderanno nel contempo le riserve ancora presenti in termini di risorse, di resilienza degli ecosistemi, di capacità di adattamento delle popolazioni.

Al momento, alcuni tentativi di elaborare strategie alternative si vedono a livelli organizzativi del tipo di piccole cittadine di provincia o piccole imprese, ma sono molto pochi, mentre molto più numerosi sono gli esempi di micro-comunità auto selezionate, oppure di singoli individui o famiglie.   Il problema è che tanto più basso è il livello organizzativo, tanto minori sono i mezzi a disposizione e le possibilità operative.
 
Inoltre, occorre tener presente che ogni tentativo di modificare la strategia ad un determinato livello organizzativo, sottrae risorse ai livelli superiori, una cosa autenticamente, profondamente sovversiva. Per adesso questo tipo di iniziative non provoca alcuna particolare reazione, se non un passivo boicottaggio derivante dall'incompatibilità di queste strategie con il sistema di norme e consuetudini esistenti.   Questa comoda situazione potrebbe però cambiare se iniziative di questo tipo si moltiplicassero, oppure se il degenerare della situazione sociale portasse a governi più autoritari.   Già in molti paesi del mondo le possibilità di scelta dei cittadini sono fortemente limitate non solo dai paradigmi mentali comuni e dalla propaganda, ma anche da apparati repressivi molto efficaci.   Ed anche nei paesi di tradizione più liberale, esigenze di ordine pubblico e fiscale stanno portando alla creazione di sistemi di spionaggio e controllo della popolazione assolutamente capillari.Se ne potrebbe trarre la facile conclusione che un Fato funesto attende la nostra specie e, probabilmente, l’intero pianeta. Effettivamente, in una prospettiva plurisecolare, questa è una possibilità concreta, ma assolutamente non una certezza.

A conclusione del suo ultimo (e più amaro) libro, “Il declino dell’uomo”, Konrad Lorenz illustra come il comportamento dell’uomo contemporaneo continui ad essere condizionato da paradigmi istintuali che per almeno 100.000 anni hanno fatto di noi la specie vincente in assoluto.   Questo li ha radicati profondamente nella nostra mente e, probabilmente, anche nei nostri geni, cosicché non riusciamo a liberarcene, malgrado nel contesto odierno siano diventati, a tutti gli effetti, degli istinti suicidi. Conclude, tuttavia, dicendo che una speranza comunque c'è e e risiede nel fatto che la caratteristica principale dei sistemi viventi rimane l’imprevedibilità.   E le società umane sono sistemi viventi estremamente complessi, all'interno delle quali evolvono contemporaneamente numerose tendenze diverse, talvolta contrastanti.  

In pratica, se il destino della società industriale globalizzata appare effettivamente segnato per motivi geologici, termodinamici ed ecologici, il futuro delle società che si formeranno dalla sua disintegrazione rimane del tutto imperscrutabile.  Curioso che dopo tanti sforzi per dominare e controllare  completamente la Natura, ci troviamo a riporre ogni nostra speranza nel fatto che non ci siamo riusciti.    

 “Sento dunque che l’improbabile al quale mi dedico rischia di diventare davvero impossibile.   Ma sento anche che, se il Titanic naufraga, forse una bottiglia gettata in mare giungerà sulla riva di un mondo in cui tutto sarebbe da ricominciare …    Non si sa mai se e quando è troppo tardi.”   (E. Morin, La via, 2012).




domenica 20 aprile 2014

L’UNICITA’ DELLA SPECIE UMANA NE DETERMINA IL FATO? Parte 3 – Il presente.

Terza parte della serie di Jacopo Simonetta sull'origine e il destino degli esseri umani

Prima parte.
Seconda parte.




di Jacopo Simonetta.
        Ci sono volute circa 10.000 generazioni  perché la popolazione umana raggiungesse 1 miliardo nel 1800 circa ed altri 130 anni per raggiungere i 2 miliardi di individui verso il 1930; poi, nell’arco di una sola vita umana, siamo passati ad oltre 7 miliardi in ulteriore, rapido aumento.   E’ vero che il tasso di crescita sta diminuendo costantemente dalla metà degli anni ’60, ma il tasso record del 2,19% del 1963, applicato ad una popolazione di 3,2 miliardi di persone, comportò un aumento di poco più di 70 milioni di bocche da sfamare.    Nel 2013, un tasso di crescita pari a “solamente” 1,14 %, applicato ad una base di 7,16 miliardi, ha portato quasi 82 milioni di bocche in più attorno al desco globale.

La densità di popolazione media mondiale oggi è all'incirca di una persona ogni 2 ettari, compresi i deserti e le alte montagne.   Se si considera la sola superficie agricola, le stime della FAO del 2006 davano una persona ogni 2.000 mq circa, altre fonti danno cifre un po’ diverse, ma poco importa la differenza, da momento che tutte concordano sul fatto che tale cifra si è dimezzata in 40 anni circa e che la tendenza è ad un’ulteriore, rapida, riduzione. In Italia, nel 2004 avevamo “ben” 2.280 mq di terra agricola a persona (ISTAT), ma considerando che diminuisce di circa 30 mq l’anno a causa dell’incremento demografico e dell’urbanizzazione; oggi dovremmo averne poco più di 2.000 mq con “rating” negativo. Eppure il costo medio del cibo nel corso degli ultimi 50 anni è diminuito, come è possibile un simile miracolo?

Figura 1
Semplicemente è stato reso possibile dal fatto che abbiamo trovato il modo di utilizzare petrolio e gas per produrre cibo. Chiunque pensi che l’attuale popolazione possa sopravvivere senza avere a disposizione combustibili fossili di alta qualità, in quantità praticamente illimitate ed a prezzo molto basso osservi bene questo grafico (fig.1):



Meccanizzazione, irrigazione e concimi sintetici hanno infatti consentito un aumento delle rese ad ettaro comprese fra il 50 ed il 200% a seconda delle colture e delle zone, ma tutto ciò è fattibile solo con grandi consumi di energia.   Oggi si stima che l’agricoltura consumi in media 4 joule fra petrolio e gas per produrre 1 joule sotto forma di cibo, ma le colture ad altissima produttività (quelle che fanno i 180-200 q/ha e che nutrono le megalopoli del mondo) consumano oltre 10-12 joule di energia fossile per ogni joule di granella raccolta.   E bisogna ancora trasportarla, macinarla, impacchettarla, cuocerla, ecc.   Stime ragionevoli valutano in una media globale di 40 joule di energia fossile consumata per mangiare un joule di cibo; che ci si trovi a New York, a San Paolo, a Shanghai  od al Cairo fa poca differenza.

Figura 2

In termini energetici, stiamo letteralmente mangiando petrolio condito con metano; tutto il resto serve sostanzialmente renderlo più gustoso e digeribile.

Niente di strano, dunque, che il prezzo del cibo segua quello del petrolio (fig.2).

Figura 3

Con tutto ciò, la produzione mondiale pro- capite di cereali  ha raggiunto un picco nel 1985 per poi declinare (fig.3). Le scorte strategiche mondiali sono ai minimi storici e non riescono a risollevarsi neppure nelle annate migliori, mentre abbiamo visto che ogni anno ci sono circa 80-90 milioni di bocche in più da sfamare.



Figura 4.
Parallelamente, la quantità di persone denutrite è andata diminuendo dal 1960 fino al 1995, per poi circa triplicare nei 20 anni successivi.(fig. 4).
Forse la resa agricola potrebbe ancora aumentare, ma anche in questo caso l’effetto della legge dei “ritorni decrescenti” è evidente (fig.5).   Quali sarebbero dunque i costi, quali conseguenze e con quali risultati? 

Figura 5
Sappiamo inoltre che il cambiamento climatico in corso già grava sulla produzione agricola mondiale e che sempre di più lo farà. In un disperato tentativo di compensazione, ogni anno circa 1.500.000 di ettari vengono annualmente messi a coltura mediante bonifiche e disboscamenti.   E’ impossibile sapere con esattezza di quanto annualmente diminuisca la superficie forestale sia per motivi politici (ovvi),  sia tecnici (cosa è classificato come “foresta” cambia a seconda degli autori).   Comunque, pare che dal 8.000 a.C. al 1.900 d.C (10.000 anni) siano state distrutte circa il 50% delle foreste originarie; fra il 1900 ed il 2.000 (100 anni) la metà di quelle rimaste; entro il 2020-30 (10-20 anni) la metà di quelle che rimangono oggi (anzi, ieri). Le conseguenze sui suoli, le acque, la biodiversità ed il clima sono semplicemente incalcolabili.
Eppure la superficie agricola continua a diminuire (dal 1980 al 2000 è calata dell’11%, pari a 80 milioni di ettari) in conseguenza di una serie di fenomeni, perlopiù dipendenti dall'eccessivo sfruttamento cui è sottoposta (desertificazione, erosione, edificazione, salinizzazione, ecc.). Oramai, questo immane sforzo produttivo fa si che praticamente tutti i suoli accessibili siano più o meno seriamente degradati, compresa la maggior parte di quelli forestali (fig. 6).   

Figura 6

Forme più moderne di agricoltura (come la permacoltura, l’agricoltura biologica e biodinamica) hanno consumi energetici che sono circa la metà di quelli dell’agricoltura industriale e non danneggiano il suolo, ma comunque necessitano di petrolio sia per la meccanizzazione, sia per tutti i servizi collegati (consumi domestici degli agricoltori, trasporti, ecc.).    Sulle rese gli effetti sono diversi: in grossolana approssimazione si può ritenere che nei paesi temperati i raccolti diminuiscono leggermente, mentre nelle zone tropicali aumentano.   Nell'insieme, si può quindi ritenere che, passando a forme di agricoltura più sostenibili, la produzione mondiale di cibo potrebbe restare circa costante, a fronte di un netto rallentamento nel degrado dei suoli e nei consumi di energia.   Un vantaggio enorme, ma che da solo non sarebbe sufficiente a risolvere il problema della sovrappopolazione.   Anzi, potrebbe addirittura peggiorarlo consentendo un ulteriore aumento della popolazione, analogamente a quanto accaduto con la "rivoluzione verde".
Figura 7

L’impronta ecologica è un modello di valutazione della sostenibilità approssimativo, ma è comunque indicativo.   E’ interessante vedere che il numero di giorni in cui siamo andati in “debito ecologico” ha continuato ad aumentare di anno in anno, a partire dal 1976 quando, probabilmente, l’umanità superò per la prima volta la capacità di carico complessiva del pianeta (fig. 7).   Com'è possibile che la gente sopravviva?   Semplice: si stanno usando ed esaurendo le riserve di energia fossile, acqua, fertilità, biodiversità.   E man mano che le riserve si erodono, la capacità di carico del pianeta si riduce ed il debito ecologico si accumula, analogamente a quello finanziario di cui tanto si parla in questi anni.   Eppure, il debito ecologico, di cui non si parla, è molto più grave giacché non è possibile azzerarlo in altro modo che morendo in quantità sufficiente.   E quanto è sufficiente?   Nessuno può saperlo, ma sappiamo che ogni anno è un po’ di più del precedente.

Tuttavia da molte parti ci dicono di non preoccuparsi perché la natalità diminuisce spontaneamente con l’aumento del benessere, quindi la crescita economica ridurrà la natalità: è solo una questione di tempo e di sviluppo.  In realtà la natalità è correlata con la capacità di decisione autonoma delle donne e non con il reddito (anche se donne benestanti ed istruite sono spesso più autonome di donne povere ed analfabete, ma non sempre).   All'atto pratico, la cosiddetta “transizione demografica” rappresenta abbastanza bene quello che è accaduto nei paesi “occidentali” al netto dell’immigrazione, ma non nel resto del mondo (v. tabella).   Fra i paesi a crescita più rapida troviamo sia i poverissimi che i ricchissimi, mentre fra quelli a crescita negativa troviamo praticamente solo poveri (v. energia-e-crescita-demografica).  Questa  è una grossa fortuna perché il livello di benessere sta diminuendo per moltissima gente in tutto il mondo e molto di più diminuirà nei prossimi decenni senza che ciò, per ora, provochi una recrudescenza della natalità.   

 Al di là di imprevedibili fluttuazioni di dettaglio, sappiamo infatti che siamo attualmente in una fase di picco della  disponibilità energetica e che nel giro di 10-20 anni la disponibilità globale non potrà che diminuire (fig. 8), con quali conseguenze sulle economie e le popolazioni?  

Figura 8



sabato 19 aprile 2014

L’UNICITA’ DELLA SPECIE UMANA NE DETERMINA IL FATO? Parte 2 – Il passato.

Prima parte.



Di Jacopo Simonetta


       Per indagare il futuro, necessariamente ignoto, è buona regola cominciare dall'analizzare il passato, parzialmente noto, per poi cercare di capire come le tendenze strutturali al sistema che osserviamo interagiranno con il contesto presumibile nel futuro.
Il passato dell’uomo moderno è cominciato circa 100.000 anni fa, probabilmente in Africa orientale.   E’ importante notare che, all'epoca, esistevano numerose altre specie umane quali Homo neanderthalensis , H.soloensis, H. heidelbergensis, H. helmei, H. floresiensis, probabilmente popolazioni relitte di H. Erectus ed altre genti ancora ignote.   Nello stesso periodo, tutte le terre emerse erano popolate da una varietà di mammiferi, rettili ed uccelli di grandi e grandissime dimensioni, superiore anche alla mega-fauna che, nell'Africa sub-sahariana, è localmente sopravvissuta fino ai giorni nostri.  

Questi uomini moderni si distinsero subito dai congeneri per una cultura materiale  più elaborata e, soprattutto, molto più dinamica. Anche gli altri uomini conoscevano il fuoco e realizzavano strumenti di pietra, legno od osso, ma le loro culture erano molto uniformi nello spazio e molto conservatrici nel tempo. I nostri diretti antenati, viceversa, mostrarono da subito una grande dinamicità sia spaziale che temporale, inaugurando quel tipo di accelerazione evolutiva di cui abbiamo fatto cenno.  Contemporaneamente, compaiono le prime forme di arte, il che implica una capacità di pensiero astratto che gli altri umani, con ogni probabilità, non avevano. L’ipotesi principale per spiegare questo drastico cambiamento è che gli Homo sapiens sapiens avessero acquisito una capacità nettamente superiore nel modulare il linguaggio, presupposto indispensabile per lo sviluppo della narrativa che, rispetto alla sola osservazione/imitazione, consente un livello enormemente superiore nella conservazione e nella trasmissione delle conoscenze, oltre che costituire la  base per l’elaborazione del pensiero simbolico su cui si fondano quei modelli mentali esclusivi della nostra specie.

La diffusione dell’uomo moderno sul pianeta è facile da tracciare, anche in assenza di fossili specifici, perché ovunque siano arrivati si assiste alla rapida scomparse di molte, talvolta tutte, le specie più grandi e di molte altre che da esse dipendevano, inaugurando quell'effetto destabilizzatore che le altre specie umane non avevano avuto. Non si sa se per sterminio diretto o se per cause indirette, ma anche le altre specie umane si sono rapidamente estinte al sopraggiungere dei nostri avi, salvo alcuni casi in cui forse piccoli gruppi potrebbero essere sopravvissuti abbastanza a lungo da dare origine a diffuse leggende su “giganti”, “uomini selvatici” eccetera.  

La cosa interessante è che questo fenomeno non è avvenuto una sola volta; bensì si è ripetuto ogni volta che una nuova civiltà si diffondeva in un territorio già abitato, annientando le culture precedenti e con esse un ulteriore set di specie che erano sopravvissute alla fase precedente.  Un fenomeno, questo, molto ben documentato nel caso della diffusione globale delle diverse ondate di tecnologia industriale, ma eventi simili hanno accompagnato da sempre la diffusione dell’uomo moderno.   Anzi, i casi di estinzione di massa più spettacolari mai causati dall'uomo sono probabilmente quelli seguiti all'arrivo dei primi H. sapiens in Australia (circa 40.000 anni fa), in Nord America (circa 14.000 anni fa), in Nuova Zelanda (Intorno al 1.200 d.C.).

Ovviamente, una simile capacità distruttiva comporta una dinamica della popolazione particolarmente instabile, con rapidi incrementi che seguono la scoperta di nuove risorse e/o di nuovi modi per sfruttare meglio le vecchie.   Una crescita che prosegue esponenzialmente erodendo la capacità di carico del territorio finché carestie, guerre e migrazioni non riportano la popolazione in equilibrio con le risorse  rimaste.   Probabilmente proprio questa dinamica è alla base del popolamento umano del pianeta e spiega come gruppi di persone perfettamente ragionevoli siano andati ad insediarsi in luoghi tanto inospitali quanto il pack od i deserti.

Naturalmente, non tutti i gruppi umani hanno sempre seguito questo copione.   Si conoscono anzi numerosi casi in cui complicati sistemi sociali, culturali, politici ed economici assicuravano una parziale sostenibilità; ma sono stati elaborati in periodi successivi a crisi ecologiche e, probabilmente, in risposta a queste.   In ogni caso si tratta di eccezioni che confermano la regola.

In sintesi, pare che crisi di tipo “malthusiano” facciano parte integrante del nostro modo di esistere, fin dal nostro apparire.   Per decine di migliaia di anni queste crisi sono avvenute su scala locale, contribuendo a delineare quel complesso mosaico di nascita, sviluppo e crisi delle civiltà che ha tanto  affascinato  studiosi del calibro di Gianbattista Vico, Oswald Spengler, Arnold J. Toynbee o Jared Diamond.
Con il XVIII° secolo, per la prima volta avvenne che una crisi di questo tipo, originatasi in Europa, abbia coinvolto l’intero pianeta nel giro di poco più di un secolo.   In effetti, già il reverendo Malthus aveva previsto e stigmatizzato che l’eccessiva natalità degli europei sarebbe costata la vita ai  “selvaggi delle Americhe”, cosa che puntualmente avvenne, con l’aggiunta di diversi altri popoli sparsi per il mondo.   In altre parole, per la prima volta, una crisi maltusiana ha avuto una dimensione globale ed è stata risolta sterminando, marginalizzando od acculturando (di fatto assorbendo) quasi tutti gli altri popoli della terra.   La popolazione mondiale raddoppiò.
Una seconda crisi di portata globale avvenne circa 150 anni più tardi con epicentro in Cina, ma con forti carestie in gran parte dell’Asia e dell’Africa su di un arco di 15-20 anni.   Questa nuova crisi di portata globale fu superata mediante la “rivoluzione verde” che devastò culture, società ed ecosistemi, ma moltiplicò la produzione mondiale di cibo, consentendo un ulteriore raddoppio della popolazione globale.   In questo caso dunque, anziché spostare grandi masse di persone, si fece un massiccio ricorso alle riserve di energia fossile e si elevò il livello di integrazione fra i diversi settori economici e fra i diversi sistemi-paese.   Tendenza questa che è poi proseguita, con una brusca accelerazione a partire dagli anni ’90, portando l’attuale livello di integrazione globale a livelli fino ad oggi impensabili.  

Ciò ha permesso un ulteriore raddoppio della popolazione mondiale, ma a costo di un molto più che proporzionale aumento dei consumi e degli impatti (v. parte 1) che hanno portato la destabilizzazione degli ecosistemi a  livelli oramai analoghi a quelli delle grandi crisi caratterizzanti la storia geologica del pianeta.   Questo crea uno scenario del tutto inedito nella storia dell’umanità: tutti i popoli della Terra stanno entrando in una crisi malthusiana quasi contemporaneamente. Alcuni, anzi, ci sono già in pieno e cercano di sfuggirvi tornando all'antica usanza della migrazione di massa, ma non può funzionare perché non esistono praticamente più zone del pianeta la cui capacità di carico non sia già stata superata, o non sia sul punto di esserlo.





venerdì 18 aprile 2014

L’UNICITA’ DELLA SPECIE UMANA NE DETERMINA IL FATO? Parte 1 – Premessa.

Il primo di una piccola serie di post di Jacopo Simonetta sul fato della specie umana



   
 Di Jacopo Simonetta


Desmond Morris, Konrad Lorenz e tanti altri hanno ampiamente illustrato quanto abbiamo in comune con i nostri cugini pelosi, eppure non c’è dubbio che il Fato della nostra specie sia molto diverso da quello delle altre grandi scimmie.  Perché?  Quali sono le caratteristiche a noi proprie che hanno determinato un tanto diverso destino? Senza pretesa di completezza, vediamo 4 caratteristiche, fra loro correlate, che con tutta probabilità hanno giocato (e giocheranno) un ruolo fondamentale nella nostra storia.

1 – L’uomo è una specie estremamente polifaga.   Esistono tantissime specie onnivore (ad es. quasi tutte le scimmie, cinghiali, cani, ratti, corvi, blatte, grilli, ecc.), ma nessuna riesce a ingerire e digerire una varietà di cibi che vanno dalla balena al lievito, passando per il sale ed i ravanelli.  Se poi consideriamo non solo il cibo, ma tutte le sostanze che vengono utilizzate per la produzione di beni e servizi, l’uomo da solo utilizza una gamma di risorse forse altrettanto vasta di quella utilizzata dalla Biosfera intera.  Questo ha delle conseguenze.   Sappiamo, infatti, che gli animali specializzati nello sfruttamento di risorse specifiche hanno un effetto stabilizzante sugli ecosistemi di cui fanno parte, mentre gli onnivori tendono a destabilizzare i loro ecosistemi. Ma sappiamo anche che ecosistemi stabili favoriscono gli “specialisti” (che sono più efficienti), mentre gli ecosistemi instabili favoriscono i “generalisti” (che sono più resilienti). Si formano quindi degli anelli a retroazione che tendono a mantenere determinate situazioni, ma è molto più facile e rapido passare dalla combinazione “ecosistema stabile-dominanza di specialisti” a “ecosistema instabile -dominanza di generalisti” piuttosto che il contrario e questo per ragioni termodinamiche complesse, ma ineludibili.  Essendo che l’uomo, tenuto conto dell'intera sua attività economica, è la specie più polifaga in assoluto, è anche quella che maggiormente destabilizza il proprio ambiente.

2 – L’uomo evolve soprattutto sul piano culturale. Nella nostra specie, le competenze acquisite durante la vita dei singoli individui possono essere trasmesse ad altri individui, anche in gran numero e non necessariamente discendenti, senza neppure un’interazione diretta.  Questo consente una rapidissima diffusione delle innovazioni e delle conoscenze. E poiché l’effetto di una popolazione in seno ad un ecosistema dipende da come questa si comporta e con quali mezzi si procura il fabbisogno, un uomo munito di zappa e lo stesso identico individuo alla guida di un trattore sono entità ecologicamente altrettanto diverse che un topo ed un elefante; con la differenza che il passaggio da zappa a trattore può avvenire in una sola generazione od anche meno. Questa straordinaria velocità evolutiva impedisce alle altre specie (legate ai ben diversi tempi dell’evoluzione biologica) di adattarsi a noi,  con l’ eccezione di quelle che, non per caso, sono divenute i nostri parassiti. Un aspetto particolarmente rilevante connesso con l’evoluzione tecnologica è che questa consente alla nostra specie di continuare ad estendere la gamma delle risorse che può sfruttare, oppure di accaparrarsene in misura maggiore.   Di fatto, l’uomo è dunque un “invasore biologico permanente” in quasi tutti i luoghi dove si trovi.

3 – L’uomo tende a formare strutture super-individuali di tipo quasi coloniale, sempre più complesse ed interconnesse.   In effetti, l’unità evolutiva e funzionale dell’uomo moderno non è l’individuo, bensì la società di cui ognuno fa parte.   Il nostro grado di integrazione non ha raggiunto i livelli di alcuni insetti, ma, in compenso, costituisce strutture di vastità e complessità senza paragoni possibili nel resto della Biosfera.   La tendenza alla complessità è probabilmente molto più antica della nostra specie, ma in noi ha raggiunto livelli senza precedenti.   Questo comporta dei vantaggi notevoli in quanto livelli organizzativi superiori ci consentono  di superare i fattori che limitano la crescita dei livelli inferiori.   Si pensi, ad esempio, all'immensa rete del commercio mondiale, od al funzionamento del sistema sanitario. Ma la complessità è anch'essa soggetta alla nota legge dei “ritorni decrescenti”, cosicché ogni ulteriore incremento comporta vantaggi minori rispetto al precedente, mentre aumentano i consumi unitari e globali di energia e risorse. Vi è dunque un limite oltre il quale lo sviluppo del sistema diventa controproducente, senza che questo perda però la sua incoercibile tendenza alla crescita.   La burocrazia di qualunque paese moderno è un eccellente esempio di questo fenomeno. Inoltre, l’aumento della complessità comporta un parallelo incremento della specializzazione dei singoli elementi che, complessivamente, diventano più efficienti, ma meno resilienti. Parallelamente, si sviluppano difficoltà crescenti di dialogo e reciproca comprensione fra i soggetti specializzati in materie e ruoli diversi, fino a minare la capacità stessa di reazione coordinata del sistema complessivo.  

4 – L’uomo elabora dei modelli mentali che descrivono la realtà ed il suo funzionamento.    Salvo il caso di reazioni puramente istintuali, usiamo questi modelli come chiavi di lettura per  capire la realtà, interpretare le informazioni che ci giungono dal mondo, elaborare le risposte.   Questi modelli sono sempre fortemente identitari perché sono una creazione collettiva dei gruppi che li elaborano e condividono. Ciò costituisce quel fenomeno unico nel  mondo biologico che è la costruzione sociale della percezione della realtà.   Percezione che, a tutti gli effetti pratici, sostituisce la realtà stessa, tanto che vi è chi parla di “costruzione sociale della realtà”.

L’insieme di queste quattro caratteristiche ci ha permesso di diventare la specie dominante del  pianeta in una misura difficile da capire e da credere.   Se   moltiplichiamo il numero delle persone per i consumi energetici pro-capite medi, abbiamo un indice dell'impatto termodinamico che abbiamo sul pianeta (human equivalent).   Considerando 1 l'impatto del terrestre medio nel 1800, troviamo che i sette miliardi di umani attuali consumano ed inquinano quanto 140 miliardi dei nostri bisnonni.

Ma l'enorme disponibilità di energia fossile ci ha permesso di accaparrarci anche una quota sempre maggiore di energia solare fissata dalla fotosintesi, passata da meno del 5 al 50% circa, mentre l’umanità con i suoi animali domestici (praticamente meno di una decina di specie in tutto) costituisce il 97% circa della biomassa di vertebrati terrestri oggi viventi.  Tanto quanto, ai loro tempi, tutte le centinaia di specie di dinosauri messe insieme.  
Il primo di una piccola serie di post di Jacopo Simonetta

E’ la prima volta che nella storia del Pianeta un solo animale assurge a tale importanza e ciò sembra giustificare il termine di “Antropocene” proposto per definire il periodo geologico attuale.   Resta però da vedere se si tratta dell’inizio di un’era, oppure della catastrofe che porrà termine all'era precedente.

giovedì 17 aprile 2014

Il periodo speciale cubano

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR

Salve a tutt*,
 

non sono solito fare introduzioni ma, come dice lo stesso Turiel a seguire, anche io ho usato l'esempio di Cuba come paese che ha avuto successo nell'affrontare il "picco del petrolio artificiale" dopo la caduta dell'Unione Sovietica. In diverse occasioni divulgative ho presentato il documentario "The power of community" proprio per mostrare un esempio positivo. Questo articolo, scritto per di più da un cubano, mi ha sorpreso. Non che nella versione del documentario non venissero evidenziate anche difficoltà e sofferenze, ma quanto si dice nell'articolo seguente è piuttosto diverso. Ora, non credo che una cosa escluda del tutto l'altra, però, alla luce di questo articolo, mi viene da pensare che tutto sommato Cuba non abbia avuto poi tutto questo successo nell'affrontare il picco. Un problema in più in prospettiva ed uno stimolo a cercare soluzioni non ancora pensate. O ad integrare meglio quelle già pensate. (M.R.)

Bottega di approvvigionamento popolare a Cuba

di Antonio Turiel

Cari lettori,

nelle prime conferenze che abbiamo fatto sul problema del picco del petrolio portavamo l'esempio dei paesi che avevano affrontato una situazione di brusca caduta della fornitura di petrolio (in entrambi i casi, per via del collasso dell'Unione Sovietica) in due modi completamente diversi: o puntando su un modello industriale (Corea del Nord) o su uno più agricolo (Cuba). Gli esempi erano raccolti nel libro di Dale Allen Pfeiffer “Mangiare combustibili fossili” e noi lo riportavamo in modo un po' acritico negli incontri. Col tempo, molti cubani mi hanno fatto notare che il Período Especial cubano non è stato per niente così ideale come lo mostravamo noi e, sebbene in Corea del Nord le cose sono state molto peggiori, a Cuba lo Stato ha avuto un ruolo meno decisivo di quello che gli attribuiamo e la situazione non è stata affatto idilliaca.

Recentemente, Erasmo Calzadilla, dell'Havana Times, mi ha contattato per chiedermi di alcune questioni collegate all'energia e nelle e-mail successive siamo finiti a parlare del Período Especial. La sua visione sull'argomento, come mi aspettavo, era abbastanza critica rispetto al messaggio che riportavamo allora. Erasmo è il primo cubano che ha accettato di scrivere un saggio sulla sua visione di quel periodo perché venga pubblicato su questo blog e che inoltre lo firma a proprio nome (che sicuramente ha per noi europei una grande risonanza storica).

Vi lascio con Erasmo.

Saluti.
AMT


Il lavoro dove confronti Cuba con la Corea si chiama: “Il futuro imminente di una Spagna senza energia” ed è datato 18 febbraio 2010 (Nota di Antonio Turiel: si riferisce ad una delle prime conferenze che ho fatto sul picco del petrolio)

Su Cuba dici:
Il governo ha preso due misure fondamentali per evitare il collasso:

  • Programmi di alimentazione dei settori sociali più deboli
  • Buoni di razionamento per tutta la popolazione

Un piano aggressivo di riforma agricola, un ritorno progressivo ed incentivato alla terra e la ricerca in agricoltura hanno permesso di mantenere un livello alimentare ragionevole. Non credo che siano state queste le misure che evitarono il collasso. I buoni di razionamento e quel poco di cibo che distribuivano ai più indigenti hanno portato un qualche aiuto, ma non si poteva contare su quelli per non morire di fame. In città, la soluzione è stata “la lotta e l'invenzione”. La gente pescava persino nelle pozzanghere di acqua nera, cacciava persino i gatti (anche se lasciava stare i cani), raccattava persino nei bidoni della spazzatura e/o rubava, soprattutto allo Stato. Quelli con più iniziativa e voglia di lavorare si sono appropriati dei terreni aridi intorno ai quartieri con l'obbiettivo di seminare o allevare animali (quasi sempre a titolo personale).

Lo stesso centro della città si era riempito di pollai puzzolenti che i loro proprietari costruivano proprio di fianco agli edifici o persino all'interno degli appartamenti per proteggerli dai “ninja”. I fossati si sono riempiti fino a tracimare coi resti delle porcilaie; è stato un miracolo il fatto che non sia scoppiata un'epidemia mortale. Si dice che Cuba sia sopravvissuta grazie alla cooperazione di comunità; mi pare che si idealizzi. La gente si aiutava, ma molto meno che prima della crisi e mai con un senso comunitario esplicito. Che io sappia, non è nata nessuna organizzazione sovra-famigliare (a parte la comunità dei fedeli che ha proliferato nelle chiese); più che altro si è disintegrata quella che c'era, proprio come racconta e prevede Dmitry Orlov. I capi della Rivoluzione e i mezzi di comunicazione avevano combattuto duramente e a fondo contro l'individualismo, ma questo è rifiorito alla minima occasione è si è installato sul trono della soggettività del cubano. Questo nostro rinascimento è stato positivo per molti aspetti, ma fatale per altri. Il picco della crisi, il momento in cui stavamo peggio, ha coinciso col picco dell'ostentazione, con quello dell'egoismo e della violenza spietata. Molta gente andava in giro armata per evitare di essere assalita e persino sgozzata per venire derubata di una qualsiasi cavolata.

E' stato quello il momento in cui i Macetas, gente senza scrupoli che hanno fatto fortuna sfruttando la fame, la disperazione e la mancanza di controllo, hanno alzato la testa. Una comunità organizzata e cosciente come quella che immaginano gli idealisti avrebbe affrontato e rimesso al loro posto questi personaggi, ma è accaduto piuttosto il contrario. I Macetas si sono trasformati nell'esempio da seguire, in capi della comunità e vicini di riguardo, arrivando ad occupare cariche politiche. Quando il governo ha recuperato le redini ha fatto cadere qualcuno da cavallo, ma altri sono riusciti a ripulire la propria fortuna ed oggi prosperano protetti dalla legge. In quanto al ritorno progressivo ed incentivato alla terra, non ho notizia del fatto che sia accaduta una cosa simile. Nella capitale c'era miseria, sete e fame, ma non tanta da spingere gli abitanti ad andarsene. Il fenomeno migratorio di massa di cui ho notizia è stato piuttosto in senso contrario.

Dalla sera alla mattina, L'Avana si è riempita di gente che cercava di cavarsela, gente che viveva molto male nelle province interne o che tentava di sfruttare del caos per insediarsi nella capitale. Quelli arrivati dopo costruivano una baraccopoli in un pezzo di terra, con una putrella rubata ad un traliccio dell'alta tensione, una lamiera zincata estratta da un'industria smantellata, un pezzo di cartone preso dalla spazzatura e così tutto il resto. Anche in piena crisi, L'Avana dava vita a coloro che venivano disposti a tutto: lavorare nell'edilizia, in agricoltura, nella polizia, come prostitute, come pingueros, come assalitori di strada, messaggeri, ecc. Il Governo li deportava in massa verso le loro province di origine, ma quelli tornavano indietro con lo stesso treno. C'è un documentario, “Buscándote Habana” che descrive l'argomento. Riassumendo, la gente della capitale non è andata a lavorare la terra, piuttosto è la città che si è ruralizzata, riempendosi di coltivazioni, porcilaie, pascoli e gente di campagna.

Sulla ricerca scientifica nell'ambito agricolo

Mentre fluivano gli aiuti dell'agricoltura “socialista”, qui si è praticata un'agricoltura intensiva a colpi di combustibili fossili. I diversi istituti di ricerca avevano gli occhi puntati sui progressi più smaglianti della scienza, soprattutto sulla biotecnologia. Appena prima della Caduta, i burocrati e tecnocrati avevano un entusiasmo incredibile per le coltivazioni idroponiche, che necessitano di un'impalcatura sofisticata e cara. Naturalmente tutto questo ha fatto una brutta fine al primo soffio della crisi, ma come è cominciata a gocciolare la manna dal Venezuela si sono cominciate a disporre le batterie per il transgenico ed altre delicatezze simili. “I buoi hanno un aspetto migliore nel piatto”, è un'espressione di Jorge Triana, un economista che sfrutta il riconoscimento delle alte sfere e vive facendo conferenze per l'élite politica e scientifica. Tuttavia, le forze armate rivoluzionarie (FAR) avevano pensato ad una strategia per come organizzare la società ed il lavoro in tempi di guerra. La chiamavano Opzione Zero. Applicata con sapienza, detta strategia ha aiutato a recuperare un'agricoltura, una farmacia e persino una medicina naturale alternativa che hanno aiutato a parare il colpo. Inoltre, con le reclute che entravano nelle forze armate (qui è obbligatorio per gli uomini), le FAR hanno organizzato l'Esercito Giovanile del Lavoro (Ejército Juvenil del Trabajo - EJT). Le reclute lavoravano in aziende agricole per un salario miserabile (sempre meglio che marciare sotto il sole) e poi l'esercito vendeva a basso costo o distribuiva gratis (nelle scuole, negli ospedali, nelle unità militari e nei centri di lavoro) il raccolto.

Ma  dal mio punto di vista sono stati i contadini e le contadine coloro che hanno aiutato ad eliminare di più la fame, con tecniche rudimentali e a colpi di sapienza tradizionale, nucleate intorno alla famiglia e senza ricorrere al lavoro di schiavi. La gente della città faceva viaggi  in campagna per scambiare qualsiasi cosa per vivande, verdure o frutta. Lo Stato-Governo era in rovina e non aveva risorse per organizzare né per controllare niente se non l'indispensabile. All'Apparato non rimaneva altro rimedio che permettere a malincuore il laisser faire, che la gente si rendesse indipendente. Molti contadini ed imprenditori di ogni tipo si spaccavano la schiena con l'illusione di avere qualcosa di proprio, di recuperare la dignità, di essere liberi. Il collettivismo forzato aveva generato tanto malessere che l'ansia di indipendenza era diventata uno dei motori soggettivi più potenti quando rimaneva a malapena le speranze e le forze per lottare. Dall'altra parte il turismo, l'investimento straniero e le rimesse famigliari hanno contribuito con un valore forte che, insieme ad altri fattori, ha impedito che cadessimo tanto in basso come la Corea del Nord. Molte brave persone prendono Cuba come l'esempio che è possibile sopravvivere a una carenza repentina di combustibile ed altri prodotti indispensabili grazie al lavoro in comunità ed alla guida di un governo socialista con l'appoggio popolare. L'idea mi sembra buona, ma è abbastanza lontana dalla realtà.




martedì 15 aprile 2014

Non salveremo il mondo, ma guardate cosa ci siamo inventati!



Qui sopra, vedete il sottoscritto e la sua gentile signora, Grazia, a bordo di un motorino elettrico "Cargo Scooter" della Oxygen, di cui vedete un'altra immagine più sotto. Emissioni zero, quasi zero rumore, si può caricare a casa con i pannelli fotovoltaici e al diavolo il petrolio!




E' il mio terzo motorino elettrico. Del primo e del secondo ho parlato in altri post, e vi posso dire che i progressi tecnologici nell'arco di alcuni anni sono stati strepitosi. Fra le altre cose, il primo aveva meno di 40 km di autonomia mentre questo ne ha oltre 80 (e, in un'altra versione, ne può avere oltre 100!). In più, ha tante cose evolute, incluso un sistema all'avanguardia di "battery management system" (BMS) per aumentare la durata e il rendimento delle batterie. Insomma, è un altro pianeta: il vero futuro del trasporto su strada.

Non solo la tecnologia si è evoluta, ma si è evoluto anche il mio modo di pensare riguardo al concetto stesso di utilizzare un veicolo per spostarsi. A questo punto, credo che oggi essere proprietari di un veicolo personale sia altrettanto obsoleto di quanto sarebbe conciarsi in casa la pelle del bisonte per farsi il parka per l'inverno. Il futuro del trasporto è quello che chiamiamo "car sharing", e infatti questo motorino non è di mia proprietà - è a noleggio da una ditta specializzata nel noleggio di veicoli elettrici. Meno beghe, costi più bassi e se viaggiassimo tutti con mezzi a noleggio avremmo bisogno di meno veicoli e quindi tanti meno problemi di inquinamento e di congestione.

Non salveremo il mondo con questo arnese, certo, ma permettete che è una bella soddisfazione.



Disclaimer: Ugo Bardi possiede delle quote della ditta dalla quale ha noleggiato il motorino qui mostrato. Il titolo del post è ovviamente ispirato dalla recente campagna pubblicitaria di "Piazza Italia,"  ma di loro non posseggo quote!!.

*Nell'immagine iniziale, vedete anche la mia vecchia 500, classe 1965, purtroppo ancora spinta da un motore a benzina. Possedere questo veicolo non va tanto d'accordo con la mia idea che è meglio noleggiare i mezzi, ma in questo caso è una questione sentimentale!





lunedì 14 aprile 2014

Energia e crescita demografica: un legame inaspettato

Tom Murphy scrive qui un post eccezionale: da meditare riga per riga. Fra le altre cose, dimostra come sia sbagliata la leggenda che vuole come la ricchezza porti a un rallentamento nella crescita della popolazione - non è così: si trova un legame evidente fra quantità di energia prodotta all'interno di una nazione e la crescita demografica della nazione stessa: impressionante. (U.B.)



Da “Do The Math”. Traduzione di MR

Di Tom Murphy

Da World Population Review 


Considerato a volte un tema tabù, il tema della popolazione scorre come una corrente sotterranea virtualmente in ogni trattazione delle sfide moderne. Naturalmente, l'uso di risorse, le pressioni ambientali, i cambiamento climatico, il fabbisogno di cibo e acqua e la salute delle popolazioni di animali selvatici sarebbero tutti dei non problemi se la Terra avesse una popolazione umana di 100 milioni o meno.

Il tema è tabù per diverse ragioni. La suggestione che un numero inferiore sarebbe bello porta con sé la domanda di chi dovremmo eliminare e chi deve decidere cose del genere. Inoltre, la stragrande maggioranza delle persone genera figli e forse si sente punta personalmente nel vivo quando risulta implicito che tali azioni sono parte del problema. Io stesso discendo da un lungo lignaggio di procreatori, e forse anche voi. Di recente, partecipando ad un gruppo di discussione di fronte ad una stanza piena di insegnanti di fisica, ho fatto la semplice dichiarazione secondo la quale “il surplus di energia aumenta il numero di bambini”. Ciò è motivato dal mio riconoscimento del fatto che la crescita della popolazione si è rivolta verso l'alto da quando si è inaugurato l'uso diffuso del carbone nella Rivoluzione Industriale. Queste sono davvero solo sfaccettature della più ampia Rivoluzione dei Combustibili Fossili. Sono stato sfidato da un membro del pubblico con la dichiarazione palesemente ovvia che i tassi di crescita della popolazione si riducono nelle nazione energeticamente ricche – la cosiddetta transizione demografica. Come quadrano questi sentimenti l'uno con l'altro? Così, nello spirito di guardare i numeri, esploriamo nei particolari le varie connessioni fra popolazione ed energia. Nel processo, evidenzierò gli Stati Uniti, piuttosto che l'Africa, per esempio, come il vero problema quando si tratta di crescita della popolazione.

Un breve sguardo alla storia della popolazione

Per molte migliaia di anni a seguito dell'ultima Era Glaciale, la popolazione umana è cresciuta costantemente e lentamente, ad un tasso di circa 0,032% all'anno – traducendosi in comodo tempo di raddoppio di circa 2000 anni. Circa 3000 anni fa, la diffusione delle pratiche agricole ha portato ad un modesto incremento nei tassi di crescita. Ma la corsa selvaggia non è iniziata davvero fino ai tempi moderni.


Grafico logaritmico della popolazione mondiale storica, con misura esponenziale a due segmenti. Dati da Wikipedia. 

Anche in un grafico logaritmico – nel quale le curve esponenziali sono trasformate in linee rette – la tendenza della nostra popolazione somiglia all'infausta curva a “mazza da hockey” vista così tanti settori (CO2 atmosferico, temperatura globale della superficie e praticamente ogni misura associata all'attività umana). Una mazza da hockey logaritmica è davvero spaventosa. Siccome gli impatti umani sul pianeta sono in scala con la popolazione, non sorprende terribilmente che una curva della popolazione a mazza da hockey possa tradursi in mazze da hockey ovunque. E' in questo senso che la popolazione è alla base di quasi ogni problema e sfida dei nostri tempi.

Ma cosa possiamo capire della popolazione? Cosa governa il suo tasso? Cosa conta nella discontinuità dell'inclinazione? Perché siamo balzati ad una crescita del 1% ed un tempo di raddoppio di 70 anni nei secoli recenti? Un suggerimento proviene da uno sguardo più da vicino alla storia recente. Mettendo su grafico la popolazione globale negli ultimi 1000 anni (sotto) vediamo alcune accelerazioni nella curva. Per gran parte di questo periodo, abbiamo assistito ad un modesto 0,12% di tasso di crescita, che equivale a un tempo di raddoppio di 600 anni. Intorno al 1700, il tasso è avanzato allo 0,41%, raddoppiando ogni 170 anni. L'accelerazione successiva avviene intorno al 1870, saltando allo 0,82%, costituendo un tempo di raddoppio di 85 anni. Poi intorno al 1950, vediamo un altro salto del tasso di fattore due a 1,7 ed un'impressionante e breve tempo di raddoppio di 40 anni.

Grafico logaritmico della recente tendenza della popolazione mondiale, spezzato in quattro segmenti esponenziali. 

Forse possiamo attribuire il salto del 1700 al Rinascimento e al progresso scientifico. Abbiamo imparato a lavarci le mani dopo aver lottato coi nostri maiali e che le malattie non erano causate da vapori infernali evocati dal pensieri impuri. Il salto intorno al 1870 corrisponde alla Rivoluzione Industriale, nella quale il carbone ha trasformato la produzione di acciaio (fornendo attrezzi agricoli), il trasporto ferroviario di beni e ha cominciato a meccanizzare l'agricoltura in modo limitato. Il 1950 segna la Rivoluzione Verde: la petrolizzazione completa dell'agricoltura, accompagnata da massicce campagne di fertilizzazione usando il gas naturale come materia prima. Questo porta alla tesi piuttosto semplice: Il surplus energetico presentatoci dai combustibili fossili ci ha permesso di nutrire le persone più facilmente in tutto il mondo. Il premio dei combustibili fossili trasformati in cibo ha incoraggiato un'esplosione dei tassi di nascita, come avviene virtualmente per ogni organismo date delle circostanze simili. E' così palesemente ovvio che sono imbarazzato ad aver indugiato su questo punto così a lungo.

L'energia fa crescere il numero di bambini?

Il surplus di energia aumenta il numero dei bambini. E' stata questa la mia affermazione al pubblico, sulla base dei puntini che ho collegato sopra. Quindi cosa diciamo del commento astuto secondo il quale i paesi con gli eccessi maggiori mostrano il tasso di crescita inferiore – persino negativo? Questa affermazione suona a sua volta vera, quindi come teniamo entrambi i pensieri in testa? Prima di scavare fra i dati, condividerò la mia risposta intuitiva. I paesi in via di sviluppo sono recipienti di cibo, medicine e beni prodotti dalle nazioni industriali del mondo. Il surplus di energia “qui” può far aumentare i bambini “là”. Tale redistribuzione sembra plausibile, in ogni caso. Ma perché le nazioni ricche di energia rallentino era meno ovvio per me, a parte per una maggior educazione e una maggiore autonomia delle donne.

Un camion a rimorchio di dati

Fate un po' di spazio, perché sto per portare un camion di dati e ve lo scarico sul vostro computer. In gran parte vengono dalle Statistiche Energetiche Mondiali Chiave della International Energy Agency del 2012. Dieci pagine su questa pubblicazione contengono i dati tabulari dell'appetito di energia del mondo, insieme a popolazione, PIL ed emissioni di CO2. Un po' di copia-incolla, editor magic e analisi Python possono trasformarli in un camion di grafici. Ho aggiunto i dati sui tassi di crescita della popolazione, in gran parte provenienti dalla statistiche della CIA. Inquietante, sì, ma questi erano i numeri più aggiornati sulla pagina di Wikipedia. La tavola della IEA comprende 139 paesi, ma aggrega anche diversi raggruppamenti chiave di paesi del mondo. Oltre a dare cifre per tutto il mondo, i sette raggruppamenti includono:


  • L'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) include: Australia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Israele, Italia, Giappone, Corea, Lussemburgo, Messico, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti.
  • Il Medio Oriente include: Bahrain, Repubblica Islamica dell'Iran, Iraq, Giordania, Kuwait, Libano, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Repubblica Araba di Siria, Emirati Arabi Uniti e Yemen.
  • L'Europa non-OCSE e l'Eurasia includono: Albania, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Bosnia ed Herzegovina, Bulgaria, Croazia, Cipro, Georgia, Gibilterra, Kazakistan, Kosovo, Kyrgyzstan, Lettonia, Lituania, l'Ex Repubblica Yugoslava di Macedonia, Malta, Repubblica Moldava, Montenegro, Romania, Federazione Russa, Serbia, Tagikistan, Turkmenistan, Ucraina e Uzbekistan.
  • La Cina include la Cina continentale ed Hong Kong.
  • L'Asia include: Bangladesh, Brunei Darussalam, Cambogia, Taipei, India, Indonesia, Repubblica Democratica di Corea, Malesia, Mongolia, Myanmar, Nepal, Pakistan, Filippine, Singapore, Sri Lanka, Thailandia, Vietnam e altri paesi dell'Asia.
  • L'America non-OCSE comprende: Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Repubblica Dominicana, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Haiti, Honduras, Giamaica, Antille Olandesi, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perù, Trinidad e Tobago, Uruguay, Venezuela ed altri paesi non-OCSE delle Americhe.
  • L'appartenenza all'Africa è evidente.

Le legende dei grafici, per rimanere compatte, tralasciano alcuni dei dati dell'elenco di cui sopra. Inoltre, i puntini periferici dei singoli paesi sono etichettati nei grafici attraverso un processo automatico. Non ho fatto un tentativo particolare per ripulire collisioni fortuite fra etichette. Dovrei anche premettere con una dichiarazione che tutto l'insieme di grafici che segue non è necessariamente centrale al mio punto principale. Ma immagino che saranno interessanti per molti di voi come lo sono stati per me, quindi perché non farne uno spettacolo? Cominciamo con uno sguardo ad un grafico familiare dell'energia come funzione del reddito.

Tasso di uso dell'energia come funzione del reddito per i paesi del mondo. Dati dal Rapporto della IEA del 2012

Sto usando la 'parità di potere d'acquisto' (purchasing power parity – PPP), essenza del PIL, intesa a mettere tutti nella stessa condizione per confronti di reddito significativi. Ho convertito l'energia annuale pro capite in una potenza (Watt) – perché questa è la mia unità di misura preferita e si allontana da “tonnellate equivalenti di petrolio”, unità di misura in cui sono espressi i dati originali. La tendenza non stupisce affatto: gli abitanti dei paesi ricchi usufruiscono di un più grande tasso di uso dell'energia, in media. I valori anomali sono sempre interessanti ed istruttivi. Gli Stati Uniti (sempre rappresentati con un puntino rosso su questi grafici) si spingono ben al di là del gruppo in entrambe le dimensioni, ma non in modo estremo – classificandosi dodicesimi nella potenza totale a persona a ottavi in ricchezza. Alcuni ricorderanno da post precedenti la regola empirica secondo la quale ogni americano gestisce circa 10 kW di potenza, equivalenti a circa 100 esseri umani metabolici (schiavi) equivalenti.

Tasso di elettricità distribuita come funzione del reddito nei paesi del mondo. 

Dal momento che è nella tabella, guardiamo cosa accade se restringiamo la nostra attenzione all'energia sotto forma di elettricità. L'Islanda era così esageratamente alta (circa il doppio della seconda, la Norvegia) che ho dovuto rimettere in scala il grafico e indicare il suo dato stratosferico, Gli Stati Uniti si classificano noni nell'uso pro capite di elettricità. Notate che la statistica vale per l'energia elettrica consegnata. L'energia primaria richiesta per generare e consegnare l'elettricità potrebbe giungere ad essere tre volte maggiore del tasso consegnato, a causa del tipico 30-40% di efficienza di conversione nelle centrali. Per gli Stati Uniti, l'elettricità conta per circa il 40% dell'energia primaria, non il 15% come il confronto diretto dei due grafici precedenti potrebbe far pensare. Prima di tornare alle statistiche sulla popolazione, diamo un'occhiata a come si impilano le  emissioni di CO2 fra le nazioni del mondo.

Produzione di CO2 pro capite come funzione del tasso di uso di energia nei paesi del mondo. 

E' più fondamentale l'intensità di carbonio della produzione di energia. La chimica di base suggerisce che ogni grammo di combustibili fossili crea tre grammi di CO2 e distribuisce circa 10 kcal, o 41.840 J di energia. Far funzionare 10.000 W per un anno (3.155×107 secondi) richiederebbe quindi 7,5 tonnellate di combustibile fossile, che genera circa 22 tonnellate di CO2. Il grafico sopra mostra il cittadino tipico statunitense che arriva a circa 17,5 tonnellate di CO2 all'anno. A questo manca la nostra stima per il greggio, perché nucleare, idroelettrico, biomassa ed altre rinnovabili ammontano a circa il 20% dell'energia totale, non incorrendo di fatto in nessuna penalizzazione di carbonio (inoltre, gli Stati Uniti entrano in un piccolo flusso di 10 kW). I paesi al di sotto della linea di tendenza principale hanno intensità di carbonio inferiori di quella degli Stati Uniti (1.82 t/anno per 1 kW di tasso energetico) L'Islanda è degna di nota per il fatto che ottiene energia elettrica abbondante da fonti geotermiche.

Produzione di CO2 come funzione del reddito dei paesi del mondo. 

Ora esaminiamo il reddito nel mix per vedere come le emissioni di CO2 sono correlate alla ricchezza. I paesi europei dell'OCSE tendono ad apparire dalla parte “buona” della correlazione, mentre il Medio Oriente tende ad avere prestazioni basse per questa misura.

PANORAMICA SULLA POPOLAZIONE

Guardando i grafici sopra, possiamo imparare qualcosa di importante sul fatto di aggiungere gente al pianeta. Aggiungere una persona in Africa ha un impatto molto piccolo sull'uso di energia e (pertanto) sulle emissioni di CO2 in confronto all'aggiungere una persona negli Stati Uniti, di un fattore di 10. Immaginate un bambino americano 20 volte più grande di un bambino africano. Un cittadino del Qatar supera di 45 volte un tipico cittadino africano quando si parla di CO2. Se si ha la voglia di pensare a dove limitare la crescita della popolazione, i paesi in alto in questo grafico emergono sugli altri. Tanto per dire.

Correlazioni della crescita della popolazione

Finora, abbiamo visto solo i parametri della pubblicazione delle Statistiche Energetiche Mondiali Chiave della IEA. Ora aggiungiamo il tasso di crescita della popolazione e vediamo come i dati si impilano.

Tassi di crescita della popolazione come funzione del reddito.

Il primo è il tasso di crescita contro il reddito medio. C'è una correlazione chiara sul margine sinistro: i paesi più poveri hanno tassi di crescita alti, ma si tuffano rapidamente verso tassi inferiori – persino negativi – più o meno nel momento in cui i guadagni medi raggiungono un quarto di quelli statunitensi. Poi succede una cosa divertente: il gruppo torna di nuovo su! Devo dire che questa verità stravolgente mi ha fatto saltare dalla sedia. Mi aspettavo una transizione più o meno graduale: ricco significa meno prole, secondo l'idea della transizione demografica. Di sicuro qui gioca un ruolo l'immigrazione. E' certamente responsabile della crescita della popolazione statunitense. Ma sarebbe difficile convincermi che le statistiche totalmente sbilanciate a redditi maggiori riguardino solo l'immigrazione. Dove sono le nazioni ricche con crescita negativa? Oltre alla Germania, non si trovano paesi a crescita negativa. Notate che da sotto la scritta in alto a destra c'è il Qatar, che sfida apertamente il mantra secondo il quale “la ricchezza riduce la crescita” - e che vanta simultaneamente una crescita e un reddito superlativi. Forse questo non dovrebbe sorprendere troppo tenendo conto del fatto che le potenze economiche sono dipendenti dalla crescita e una popolazione fiacca è una ricetta per la recessione. Un ingrediente chiave per garantire un futuro più grande sono più persone giovani che lavorano: oltre a fornire il lavoro, la gioventù in crescita permette che funzionino il sistema pensionistico e l'assicurazione sanitaria. Infatti, la Germania sta cercando di combattere il declino della propria popolazione, che mette in pericolo la competitività economica. Quando ho visto questo articolo sul NYT, mi sono lamentato del fatto che la politica di protezione della crescita economica ci schiavizza a mettere al mondo più bambini. Preferirei che la razza umana sia la padrona dell'economia, non il contrario. Una citazione dall'articolo:

Forse non c'è miglior posto della campagna tedesca per vedere l'impatto nascente della caduta del tasso di fertilità dell'Europa nei decenni, un problema che ha implicazioni spaventose per l'economia e la psiche del Continente. 

E che dire della correlazione energetica, che trovo più intrinsecamente interessante?

Tassi di crescita della popolazione come funzione del tasso di uso di energia primaria. 

Naturalmente, la correlazione esistente fra energia e reddito si dispone per osservare l'emergere di uno schema simile. E infatti vediamo ancora il canale della fertilità che appare a tassi di energia modesti. A parte Trinidad e Tobago, nessun paese con un tasso di uso dell'energia maggiore di 7kW ha intenzione di unirsi al club della crescita negativa. Se non altro, trovo questo grafico più convincente di quello precedente: la curvatura a U è più evidente. Ancora una volta, è difficile sostenere che l'aumento di disponibilità di energia riduca il flusso di bambini. E alla fine ecco un grafico che ho trovato piuttosto impressionante. Le statistiche della IEA includono misure della produzione totale di energia, del consumo e delle importazioni/esportazioni nette. Quindi ho guardato il tasso di crescita come funzione della frazione del consumo di energia di una nazione che questo produce.

Tassi di crescita della popolazione come funzione dell'energia frazionale prodotta dal paese o dalla regione. Gli esportatori di energia sono sulla destra della linea verticale. 

Ho dovuto mettere l'asse orizzontale su scala logaritmica per distribuire i punti in modo ragionevole. Molti paesi sono tagliati fuori nella parte sinistra (meno di un decimo del loro consumo di energia viene prodotta internamente), ma tutti gli esportatori netti di energia sono rappresentati. Vediamo che i paesi con un surplus di energia (gli esportatori) tendono a loro volta ad aumentare la popolazione. A sinistra della linea di parità (10^0 = 1 significa produzione e consumo bilanciati), è di gran lunga più improbabile che i paesi abbiano tassi di crescita più bassi o negativi. Guardare i punti di dati aggregati (forme colorate) forse rivela la correlazione in modo più forte. Il surplus di energia tende a portare a un surplus di persone, nel nostro mondo reale.

Raccogliere i pensieri

Questo è un tema complesso. Per fare un lavoro accurato avrei dovuto distinguere i tassi di nascita da immigrazione da quelli interni. Ma certamente il grafico sopra getta dei dubbi sulla storia intuitiva secondo cui le nazioni ricche di energia o soldi tendono a tassi di crescita inferiori. Come si spiega la tendenza a forma di U? La rapida curva in discesa è molto probabilmente dovuta ai miglioramenti nell'educazione delle giovani donne. Volete tagliare i tassi di gravidanza fuori controllo? Date dei libri alle ragazze. E' molto di più che semplicemente educare le donne al controllo delle nascite e alla riproduzione, ecc. L'educazione rafforza le donne nel lavoro e per fare scelte libere. Se manca questa, il cibo importato finanziato dai governi delle nazioni industriali e da enti di beneficenza permette al surplus di attraversare i confini e fornire la materia prima per nuovi bambini. Questo mi fa mettere in dubbio il beneficio globale dell'aumentare la popolazione fornendo assistenza alimentare. Una volta ho contribuito a tali finanziamenti, ma ora mi sento confuso: qual è il piano qui? Capisco l'urgenza umanitaria di sostenere le popolazioni affamate – davvero. Questa simpatia universale è parte della natura umana, ma potrebbe diventare una delle forze che ci lega a binari che portano alla sovrappopolazione e al collasso finale. E' questa la mia preoccupazione. Sostenendo le popolazioni affamate adesso, non è che ci stiamo solo raddoppiando e così alla fine il numero delle persone che soffre è più grande? La cattiva notizia è inevitabile? Finché non ho un quadro più chiaro sono in qualche modo paralizzato nel mio desiderio intrinseco di dare sostegno.

In ogni caso, è abbastanza facile trovare i motivi per cui il tasso di crescita dovrebbe ridursi quando l'energia/ricchezza si libera dal fondo del barile. Ma perché il contrario?Un modo per rispondere e chiedersi: perché gli Stati Uniti hanno vissuto un boom demografico dopo la Seconda Guerra Mondiale? Significativamente, gli Stati Uniti dominavano la produzione di petrolio in quel periodo: allora eravamo per il mondo ciò che il Medio Oriente è oggi. Erano tempi di vacche grasse. Eravamo pieni di speranza ed ottimismo e credevamo di poter fare qualsiasi cosa. Questo è un buon clima per fare bambini, più gente. Prendiamo decisioni su cosa possiamo permetterci di sostenere sulla base delle condizioni attuali e un po' di senso di luminosità del futuro. Il surplus di energia, unito ad un istinto primario di passare i nostri geni e metter su famiglie, ci pone su un sentiero prevedibile.

Dov'è il vero problema della popolazione?

Noi occidentali tendiamo a puntare il dito verso i paesi in via di sviluppo come i maggiori colpevoli della crescita della popolazione. Ed è vero che i tassi di crescita frazionari in quei paesi sono allarmanti, con tempi di raddoppio di pochi decenni. Siamo giustificati nel chiederci come verrà sfamata questa popolazione.

Ma abbiamo anche visto che in termini di consumo di risorse, aggiungere un abitante del Qatar è circa 45 volte peggio che aggiungere un africano medio. Aggiungere un cittadino statunitense è circa 20 volte peggio. Tuttavia, conta realmente quanto sia stravagante la vita di un cittadino medio di Qatar, Kuwait, Trinidad e Tobago o Lussemburgo? Sono paesi piccoli. La nostra preoccupazione non dovrebbe rivolgersi a luoghi come India o Cina? Mettete insieme vaste popolazioni e sviluppo aggressivo e quei paesi sono nella posizione di cambiare il calcolo globale in modo piuttosto drammatico. Visti i dati sulla popolazione e sul tasso di crescita, facciamo presto a calcolare il numero di persone aggiunte all'anno in ogni paese. Ora, ipotizziamo che le persone aggiunte abbiano le condizioni medie della nazione nel suo complesso. Così possiamo moltiplicare il numero di persone aggiunte per l'uso nazionale di energia pro capite e ottenere la quantità totale di domanda di energia aggiunta sul pianeta a causa della crescita della popolazione. Fuori dai grafici...


Domanda di energia annuale assoluta aggiunta come risultato della crescita della popolazione, come funzione del numero di persone aggiunte ogni anno.

L'India aggiunge circa 15 milioni di persone all'anno (wow!). La Cina ne aggiunge poco più di 6 milioni. La Nigeria è la successiva, con circa 4 milioni. Poi abbiamo gli Stati Uniti che aggiungono 3 milioni di persone all'anno. Ma di questi, gli Stati Uniti sono i più affamati in termini energetici. Il grafico mostra quanti petajoule (PJ) di domanda vengono aggiunti ogni anno per paese a causa della crescita della popolazione (altri fattori possono anche contribuire  alla crescita o al declino dell'energia; qui isoliamo la porzione della popolazione). Come riferimento, l'appetito annuale di tutto il mondo è di 530.000 PJ. Ciò che vediamo è che la crescita della popolazione negli Stati Uniti sta aggiungendo domanda di energia più rapidamente di ogni altra nazione della Terra. La Cina e l'India sono a loro volta importanti (e in termini assoluti sono certamente più importanti come produttori di aumento di energia, a causa del loro standard di vita che cambia rapidamente). Ma la risposta alla domanda: quale crescita di popolazione sta avendo l'effetto più grande sulla domanda globale di energia? - sono gli Stati Uniti. 

Si potrebbe facilmente ribattere che nel corso delle vite dei nuovi aggiunti, le aggiunte finali di energia causate dall'attuale crescita di popolazione della Cina supereranno quelle dell'America a causa del cambiamento di strandard di vita. Per prima cosa, non è chiarissimo quanto durerà il colosso cinese contro le sfide sconosciute del futuro. Ma forse è più importante che gli spintoni per la posizione di testa potrebbe oscurare il risultato lampante evidente nel grafico. Sono Stati Uniti, Cina e India i posti dove la crescita della popolazione sta guidando l'aumento globale della domanda di risorse – nella misura in cui l'energia è un proxy per risorse generiche. Il resto del mondo è di importanza secondaria in questa classifica. Dov'è che la crescita della popolazione mette più pressione sulle risorse? Sono questi tre paesi, con gli Stati Uniti attualmente ben più avanti degli altri due. Nel frattempo, l'Ucraina sta facendo il lavoro migliore nel rimuovere domanda dal mondo. 


Capacità di energia elettrica annuale aggiunta come risultato della crescita della popolazione, come funzione del numero di persone aggiunte all'anno. 

La storia dell'elettricità è simile. La crescita della popolazione negli Stati Uniti sta portando l'aggiunta di circa 4 GW di capacità annua di generazione elettrica. Ancora una volta, la Cina e l'India sono sulla mappa, col resto del mondo ammucchiato nell'angolo in basso a sinistra.

CO2 annuo assoluta aggiunta come risultato della crescita della popolazione, come funzione del numero di persone aggiunte all'anno. 

Una cosa moderatamente interessante accade quando disegniamo il grafico in termini di CO2. Siccome India e Cina usano fonti energetiche “più sporche”, in termini di CO2, il divario fra gli Stati Uniti e Cina/India è minore. Gli Stati Uniti sono ancora al vertice, ma lo sono in modo meno schiacciante. Alcuni paesi mediorientali si sforzano a loro volta di staccarsi dal gruppo – ma non in un buon modo.

Senza figli per scelta

L'elenco di ragioni per cui mia moglie ed io abbiamo deciso di non avere bambini è lunga (questo non significa che non abbiamo visto anche benefici). Questo post tratta una delle sfaccettature. Aggiungere un bambino negli Stati Uniti ha un impatto sproporzionatamente grande sulle risorse globali, la cui natura finita sta diventando sempre più evidente. Ad un certo livello, il nostro è un tentativo di fermare la spinta umana innata a riprodursi (che condivido), perché questo risulta nell'aggiunta di più persone al pianeta – forse non la strada più saggia al momento. I genitori dipingono prontamente la nostra scelta come egoista – probabilmente perché abbiamo più libertà nel modo di passare il nostro tempo. Ma le argomentazioni di egoismo sono destinate a fallire: virtualmente, ogni scelta che fanno gli esseri umani comporta la considerazione di sé stessi, pertanto hanno una componente egoistica. Rigirando l'argomentazione, non avendo figli, ci priviamo: delle gioie innegabili di essere genitori (miste all'occasionale esasperazione), potenziali badanti per quando invecchiamo e perdiamo la capacità di fare da soli e un collegamento genetico col futuro. In parte, compenso questi vantaggi perché ho difficoltà a giustificare perché le mie necessità personali debbano provenire ad un costo smisurato per una civiltà sfidata in un modo senza precedenti. In questo senso, posso con la stessa facilità prendere la decisione di avere figli come la scelta egoista. Poco popolare con chi procrea: la gente non apprezza di essere etichettata come egoista. Mi aspetto qualche ululato.

La sfera di cristallo all'ombra del petrolio

Cerco di essere attento a non trasmettere certezza sul futuro – che non è un comportamento che osservo spesso da parte degli ottimisti. Piuttosto, cerco di indicare possibilità distinte che collettivamente tendiamo a ignorare o a negare. Solo attraverso una maggiore consapevolezza verso problemi trascurati posso sperare che le mie preoccupazioni si rivelino sbagliate. Sarebbe un bel risultato e infatti per me il punto è tutto qui. Ci troviamo nel bel mezzo di un esperimento non pianificato su una scala senza precedenti. Abbiamo 7 miliardi di persone sul pianeta, che crescono di circa 3 persone (nette) al secondo. E' una corsa folle e senza controllo verso il futuro. Si potrebbero immaginare scenari metaforici come quello di sbattere contro un muro o contro una scogliera, esaurire noi stessi e fermarci per prendere fiato o saltare nello spazio per lasciare il pianeta. Certamente faccio anche io le mie supposizioni, ma non posso esplicitare un futuro non scritto.

Mi riporto su al grafico più importante che informa la mia visione del mondo. Sappiamo che i combustibili fossili hanno dominato in lungo e in largo la scala del nostro uso di energia e che questi sono risorse finite. Possiamo quindi fare il seguente grafico con una certa sicurezza. Sono particolarmente sicuro del punto di domanda del futuro.

Sul lungo termine, l'era dei combustibili fossili è un puntino, con una parte in discesa che fa da specchio alla parte (più divertente) in salita.

Nella misura in cui il surplus di energia è responsabile del boom della popolazione, la simmetria della curva dei combustibili fossili porta con sé un potere predittivo anche per la popolazione? Queste curve sono state storicamente legate. L'onere della prova è per gli ottimisti che presumono che possiamo spezzare la dipendenza. In un post precedente, ho enfatizzato le difficoltà associate alla rottura di questa curva. In un altro post hodisposto in tabelle la superiorità relativa dei combustibili fossili sulle alternative attuali, amplificando la sfida. Non è fisicamente impossibile, ma sostenere miliardi di persone su questo pianeta sul lungo periodo non è una cosa che ci stiamo dimostrando di essere capaci di fare. Se le registrazioni storiche sono piene di esempi di civiltà che hanno raggiunto il picco, lo hanno oltrepassato e sono collassate, diventa piuttosto difficile sottoscrivere la nozione per cui stavolta sarà diverso, quando siamo di fronte a così tante sfide monumentali e simultanee.  La popolazione, come riflesso della natura umana, potrebbe ben essere la madre di tutte le sfide. Strettamente legato alla domanda di risorse, il problema non se ne andrà ignorando i nostri ruoli personali e focalizzando invece l'attenzione sui paesi poveri lontani mezzo mondo. La crescita economica incentiva la crescita della popolazione, che gioca proprio nei nostri desideri biologici. Sarebbe una boccata d'aria fresca non essere più schiavizzati come vittime di entrambe queste forze. Altrimenti non riusciremo davvero a scrivere il nostro futuro. E alla Natura non importa se noi non capiamo.

- Altro su: http://physics.ucsd.edu/do-the-math/2013/09/the-real-population-problem/#sthash.PtPRJSvm.dpuf