domenica 12 agosto 2012

Ignoranza rinnovabile


Di Herman Daly

Da The Daly News. Traduzione di Massimiliano Rupalti 



Siamo nati tutti ignoranti come capre. Dopo aver accumulato una vita di conoscenza, tutti moriamo tempestivamente. Bambini ignoranti prendono il posto di vecchi 'imparati'. La conoscenza è una risorsa esauribile. Sì, librerie e banche dati sono in aumento, ma la conoscenza, alla fine, deve stare nella testa delle persone vive per essere efficacie ed evolvere. Libri non letti, video non visti e hard drive spenti sono inerti.

Come Sisifo, spingiamo la pietra sulla collina solo perché rotoli giù di nuovo. Il progresso non è completamente illusorio. Tuttavia, fa 3 passi in avanti seguiti da 2 e mezzo indietro. Le generazioni successive ripetono gli errori precedenti. E ne inventano anche di nuovi. Ogni soluzione ad un dato errore viene normalmente dimenticata entro 2 o 3 generazioni e le dobbiamo imparare di nuovo. Ma non è tutto male, dopotutto i bambini sono deliziosi e i vecchi sono scontrosi, quindi l'ignoranza è una benedizione. La vita è di più della sola conoscenza. L'aspettativa di vita è aumentata, quindi i vecchi sanno di più quando muoino, lasciando ai bambini ancora di più da imparare.

Un massiccio trasferimento di conoscenza ad ogni generazione è un'inevitabile necessità e questo trasferimento non è automatico. Richiede due decisioni: i vecchi devono decidere quale conoscenza vale la pena di insegnare e i giovani devono decidere quale vale la pena di imparare. Alcune conoscenze passano entrambi i filtri e diventano la base per condurre il futuro e per nuove scoperte. Altre conoscenze non riescono a passare uno o entrambi i filtri e vanno perdute. Proprio come il mondo sta sempre a un raccolto mancato dalla fame di massa, allo stesso modo sta ad un trasferimento generazionale dall'ignoranza di massa.

Cosa sappiamo di questi due filtri generazionali della conoscenza? Cosa lasciano passare e cosa trattengono?Non conosco davvero la risposta, ma ho un'ipotesi, presa dalle riflessioni di  E.F. Schumacher su Tommaso D'Aquino e René Descartes. D'Aquino diceva che anche la conoscenza incerta delle cose più alte merita più della conoscenza certa delle cose infime. Al contrario, Descartes credeva che solo la conoscenza che ha le certezza delle geometria meritasse di essere conservata e che la conoscenza incerta dovesse essere abbandonata anche se riguardava le cose più alte. Questi due filtri hanno dei pregiudizi di selezione molto diversi. Nelle loro forme estreme, essi rappresentano opposti errori di giudizio su quale conoscenza conservare e su quale gettare a mare.

Quale errore stiamo commettendo più probabilmente oggi? Io credo che noi stiamo dando eccessiva enfasi a Descartes e diamo troppo poca attenzione a D'Aquino. Io intendo le “cose alte” di D'Aquino con gli scopi, la conoscenza sui giusti scopi. Mi riferisco alle cose infime come alle tecniche – come fare qualcosa in modo efficiente, presumendo che debba essere fatto, in primo luogo. Abbiamo sviluppato troppo la nostra conoscenza relativamente certa della tecnica e lasciato sottosviluppata la nostra meno certa ma più importante conoscenza del giusto scopo. I vecchi sembrano più interessati ad insegnare la tecnica che lo scopo e i giovani con compiacenza sembrano più interessati ad apprendere la tecnica che lo scopo. Così sviluppiamo sempre più potere, soggetto sempre meno ad uno scopo. Come dice il fisico Steven Weinberg, più la scienza rende l'universo comprensibile e soggetto al nostro controllo, più sembra renderlo inutile e meno il nostro controllo è guidato da uno scopo.

Questi pensieri mi fanno ripensare a un dibattito pubblico al quale ho partecipato al LSU negli anni 70, riguardo la costruzione dell'Impianto Nucleare di River Bend, vicino a Baton Rouge. Ho presentato ragioni economiche e di sicurezza per credere che l'impianto non si dovesse costruire, che c'erano fonti di elettricità più economiche e sicure, ecc. Dopo la mia presentazione, un consulente nucleare del MIT ha fatto la sua replica per conto della Gulf States Utilities. Consisteva per intero nella presentazione di un modello in scala del nucleo del reattore e della spiegazione del suo funzionamento. Non ha mai replicato a nessuna delle mie argomentazioni o detto una parola sul perché il reattore dovesse essere costruito. Ma questo sfoggio di tecnica ha vinto facilmente nel dibattito. Alla fine, tutti si accalcavano intorno al suo modello indicando qui e là e chiedendo come funzionasse. Le domande tecniche “come...” avevano fatto completamente piazza pulita delle domande di scopo “per cosa”. Forse avevo bisogno di un modello in scala della fusione di un nucleo! Forse mi serviva un corso di pubbliche relazioni. Avrei anche dovuto fischiettare Dixie.

Mi sono anche ricordato di una conversazione con un amico che era il curatore del film sulla Biblioteca del Congresso. Mi ha raccontato che le tecniche di registrazione digitale ora erano così avanzate ed economiche che la libreria avrebbe presto registrato e conservato tutto ciò che appariva in TV, o su youtube, o alla radio, su Twitter, ecc. Così storici e studiosi potevano in seguito decidere cosa fosse importante e di valore. I bibliotecari avrebbero evitato questa difficile decisione qualitativa ed allo stesso tempo si sentirebbero a loro agio per il fatto di non imporre i loro giudizi di merito agli storici futuri. Mentre capisco questo punto di vista, non posso condividerlo, perché mi sembra ancora un esempio di una domanda di “come” che scalza domande sul “per cosa” - uno spostamento che probabilmente continuerà coi futuri studiosi “senza valori” a cui beneficio deve  essere salvato questo attico quasi infinito di spazzatura.

La conoscenza viene offerta come panacea in questo momento. I giovani vengono spinti a fare grossi debiti per “prendere una laurea” e vengono rassicurati che la crescita economica permetterà loro di ripagarli con gli interessi e ad uscirne in anticipo. Molti sono stati delusi. In quanto persona che ha passato oltre 40 anni della propria vita nelle università, dubito di questa esaltazione della conoscenza, anche se nell'argomentare l'economia di stato stazionario mi sono rifatto ai limiti fisici non ai limiti di conoscenza, lasciando aperta la questione di quanto sviluppo qualitativo potrebbe essere sostenuto entro un stato stazionario biofisico senza crescita quantitativa. Anche i “limiti della conoscenza” ai quali ho fatto riferimento sono di per sé conoscenza, conoscenza dei limiti fisici, principalmente le leggi della termodinamica piuttosto che qualsiasi altro limite intrinseco alla conoscenza in sé.

Sebbene io sia avido di conoscenza da sostituire la crescita fisica per quanto possibile, la rinnovabilità di fondo dell'ignoranza mi fa dubitare che la conoscenza possa salvare la crescita economica. Inoltre la conoscenza, anche quando aumenta, non cresce esponenzialmente come i soldi in banca. Qualche antica conoscenza viene confutata o cancellata da nuova conoscenza e qualche nuova conoscenza è la scoperta di nuovi limiti biofisici o sociali alla crescita. La nuova conoscenza deve sempre essere una sorpresa  - se potessimo prevedere il suo contenuto la conosceremmo già, quindi non sarebbe davvero nuova. Contrariamente alle comuni aspettative, la nuova conoscenza non è sempre una piacevole sorpresa per l'economia della crescita – molto spesso sono cattive notizie. Per esempio, il cambiamento climatico da gas serra è stata un recente nuova conoscenza, così come la scoperta del buco nell'ozono.

Una cosa che ho imparato sulle università è che molto di quello che vi viene insegnato oggi è basato sulla teoria del valore del lavoro. “E' stata dura per me imparare questo, quindi deve avere valore il fatto che ve lo insegni”. Questo è un filtro generazionale povero e si trova anche in economia, che fra tutte le discipline è quella dovrebbe saperlo meglio! Inoltre, molta conoscenza abbandonata avrebbe dovuto fare la selezione ma non lo ha fatto. Infatti l'intero campo della storia del pensiero economico è stato tagliato dal piano di studi per far posto a più econometria – l'arte di fingere di misurare correlazioni effimere e tenui fra variabili mal definite in un mondo dove le relazioni da misurare cambiano più rapidamente di quanto si accumulino i dati per stimarle. La concezione degli economisti classici di economia di stato stazionario non è totalmente scomparsa, ma quasi.

Sta solo cercando una soluzione per salvare tutto? No. Io ho una soluzione? No. Quindi mi fermerò qui chiedendo semplicemente che noi tutti, giovani e vecchi, ci prendiamo un pausa e con calma consideriamo il giusto equilibrio fra le domande “per cosa” ed il “come” come filtri per il passaggio di conoscenza generazionale. Aiutiamo i bambini ad affrontare meglio il perenne problema dell'ignoranza rinnovabile.

sabato 11 agosto 2012

Quando i problemi dell'economia nascondono quelli delle risorse

Da The Oil Crash. Traduzione di Massimiliano Rupalti






Immagine da http://www.123rf.com


Di Antonio Turiel


Cari lettori,

questi sono giorni amari per lo Stato Spagnolo, principalmente per coloro che hanno cariche di responsabilità economica al suo interno. Essenzialmente, la Spagna cammina con passo fermo verso la bancarotta, trascinata dal suo inutile intento di salvare il proprio sistema finanziario. E, nella loro disperazione, i leader politici stanno lanciando grida di aiuto sempre meno dissimulati, sperando che i poteri della Grande Europa riscattino il paese dal marasma. Data la poca trasparenza con la quale si trattano i temi finanziari, i cittadini spagnoli non arrivano ancora a capire tutta la gravità della situazione, ma capiscono che i nuvoloni all'orizzonte sono sempre più scuri e che stavolta le conseguenze saranno più gravi e più durature di quanto si desse per scontato negli ultimi mesi.

C'è una parte inconfessabile nel problema che sta travolgendo i nostri eroi e presto porterà alla rovina il cittadino medio: lo Stato spagnolo sta regalando soldi a imprese private (le banche spagnole) sotto il ricatto dei grandi capitali internazionali (rappresentati tangibilmente dal FMI e intangibilmente da quelli che vengono chiamati “i mercati”) e tutto questo denaro buttato in quella maniera condannerà a decenni di miseria. Perché la Spagna si deve assumere il pagamento di questi aguzzini contabili quando le imprese sono private? Perché la Spagna si deve assumere queste perdite quando quelle banche hanno interessi che vanno ben oltre le sue frontiere o capitali da oltre le sue frontiere ci hanno investito? Niente di questo viene detto a voce alta, non sia mai che sia visibile la profonda immoralità di quello che accade. La realtà è che lo Stato spagnolo si vede costretto a soddisfare questi aguzzini perché altrimenti questi capitali internazionali non continuerebbero a finanziare il Tesoro Pubblico Spagnolo. Questo è giusto? No. Ha un qualche senso? No, ma non ce lo ha mai avuto. Non ce l'aveva quando ha colpito l'America Latina o l'Africa negli ultimi decenni del ventesimo secolo e non ce l'ha nemmeno oggi. Solo che allora ce ne siamo fregati, mentre adesso no, perché tocca a noi. Intanto, decine di esperti dell'asse immaginario che unisce Madrid a Berlino, si dedicano all'analisi degli aspetti futili e sbagliati del problema, parlando qui di “eccesso di ortodossia di bilancio impostaci dalla Germania” e lì” dello spreco senza limiti degli spagnoli”, quando risulta che più della metà dell'aumento del debito spagnolo degli gli ultimi anni proviene dal cedere a questo ricatto (al quale i due partiti che si sono alternati al governo si sono sottomessi) e quando in realtà è lo stesso capitale internazionale che qui ispira a Mariano Rajoy e là ad Angela Merkel, solo che ha assegnato loro ruoli differenti in questa rappresentazione. Alla fine, succede che i grandi capitali non vogliono rischiare di perdere i loro investimenti in Spagna e sono disposti a giocare sporco, facendo uso di un potere di coercizione illegittimo – ed anche, perché non dirlo, abusando della mancanza di comprensione della realtà dei nostri esperti e dei nostri governanti – col quale garantire il rimborso dei debiti che le banche hanno con loro, anche se il processo presuppone la distruzione economica di tutto il paese e l'accelerazione del processo che ci porta alla Grande Esclusione, in questo caso fra paesi.

Ma c'è un altro aspetto di questa esclusione crescente che di sicuro sfugge in parte anche a coloro che ora la promulgano in Spagna, una volta paese ricco, prospero e superbo. Ed è che in realtà la bolla di prosperità, quella che ha reso possibile di creare l'illusione di ricchezza e mantenere una classe media sostenuta ed un'apparenza di democrazia, si sta contraendo, lasciandoci all'addiaccio, esposti agli elementi. Perché, per quale motivo ora tocca alla Spagna? Perché non possiamo continuare a stare seduti al banchetto dei ricchi di questo mondo se solo pochi decenni fa ci hanno accolti a braccia aperte? Perché i più cominciano a intuire che questa crisi ha un lungo percorso e che ancora non sanno che non finirà mai?

Alla mia comprensione limitata contribuisce la totale incomprensione del processo che sta avendo luogo, l'eccesso di importanza che si da al discorso economico nel dibattito attuale. Quello che ho appena detto può sembrare paradossale, se non ridicolo. Alla fine dei conti, se il problema è economico, il dibattito non dovrebbe essere essenzialmente economico? Tuttavia, il problema è giustamente questo. La teoria economica vigente si è sviluppata in uno scenario di abbondanza di risorse e in modo implicito presuppone che le risorse non siano mai un problema. Dal punto di vista formale, la teoria che domina il discorso accademico e pratico presume che la scarsità delle risorse insostituibili non arriva mai a prodursi perché o il mercato rende sfruttabili risorse che prima erano economicamente non sfruttabili attraverso un aumento dei prezzi (visione progressiva del mercato) o trova sostituti adeguati (principio delle sostituibilità infinita). Serve poco argomentare con questi campioni del libero mercato e del liberismo economico, che l'economia non può sostenere un prezzo troppo alto per l'energia, o che nel caso del petrolio la sostituibilità non sta funzionando (come abbiamo visto nel caso del picco del diesel e come affronteremo prossimamente quando analizzeremo l'energia netta della produzione attuale di petrolio). Tali obiezioni, ragionevoli ed avallate da dati e studi, vengono subito ignorate, se non sommariamente svalutate, con cliché ripetuti (“E' un errore riccardiano”) e chi le formula viene offeso con sufficienza (“lei non sa di economia”).

La cosa divertente è che coloro che fustigano i laici con stringhe di dati e deduzioni economiche straconosciute, molte volte non conoscono le ipotesi fondamentali sulle quali si basa la propria teoria e non si scomodano mai a provare se le loro ipotesi si realizzino o no (di fatto, è abituale che usino generalizzazioni eccessive a partire da esempi particolari, essendo il progresso dell'industria informatica il loro preferito). Per esempio, risulta scioccante l'enfasi che di tanto in tanto viene posta sul fatto che non c'è un picco di produzione del petrolio (peak oil) ma un picco della domanda di petrolio (peak demand) causata, secondo i proponenti, da un miglioramento dell'efficienza, ipotesi che non regge alla benchè minima validazione rispetto ai dati sperimentali (validazione che ovviamente i nostri economisti non fanno mai, non sia mai che si smontino le loro preziose ipotesi).

Il grande fallimento della teoria economica che viene applicata oggi a spron battuto, anche al di fuori dei suoi ambiti di competenza naturale, è quello di non comprendere che l'economia ha, fondamentalmente, una funzione di assegnazione delle risorse nella società. Cioè, il nostro sistema economico non è altro che un complicato congiunto di regole per decidere come si assegnano le risorse, chi si prende cosa. L'economia è importante perché spiega come si dividono le risorse, ma non crea di per se le risorse. Si può pensare che in certi momenti l'economia funga da catalizzatore, accelerando l'accesso o anche rendendo possibile l'accesso a risorse che in altro modo resterebbero inaccessibili, ma di sicuro non le crea. La distinzione è importante, perché gli economisti sono soliti abusare di questa capacità delle regole economiche di migliorare la disponibilità di risorse come se le creasse realmente e pensano che in una situazione di esaurimento delle risorse fisiche “il mercato fornirà alternative”, senza capire che il mercato non crea nulla. Si deve riconoscere che non sempre è facile distinguere se l'effetto di mancanza di disponibilità di una risorsa sia dovuto ad una questione economica o al suo esaurimento fisico, soprattutto se si guarda solo alla serie dei prezzi – come si fa normalmente. Un'analisi dei fattori fisici, dei quali questo blog è prodigo, da sempre tracce utili su quello che serve realmente.

Rafael Íñiguez ha evocato in diverse occasioni un esperimento mentale che permette di vedere con molta chiarezza cos'è che sta succedendo in realtà e che, col suo permesso, riprodurrò qui. Immaginate che il nostro pianeta venisse osservato da un'intelligenza extraterrestre dallo spazio esterno. Questa intelligenza non potrebbe percepire tutte le sottigliezze che governano il commercio mondiale né come si valutano le merci, cosicché la loro idea sul funzionamento del nostro sistema economico sarebbe molto superficiale. Tuttavia, questa intelligenza potrebbe rendersi conto senza troppi problemi che stiamo soffrendo una crisi energetica: semplicemente vedrebbe dallo spazio che si accendono sempre meno luci, meno fabbriche sono in funzione, si spostano meno veicoli, ecc. Osservando un po' più nel dettaglio vedrebbe che i flussi di materie prime energetiche ristagnano e puntano verso un declino, mentre le energie rinnovabili non sono in grado di tappare il buco. Insomma, questo osservatore, essendo astratto dalle regole di assegnazione, vedrebbe con maggiore chiarezza di qualsiasi altro che il problema è un problema di risorse, particolarmente di quelle energetiche. Tuttavia, noialtri, incollati coi piedi a Terra, non facciamo altro che rimanere sul veicolo (l'economia) senza vederne il combustibile (le risorse). Per questo, tutte le discussioni si centrano nel vedere come possiamo cambiare questo o quell'aspetto dei veicoli, senza capire che senza benzina non andiamo da nessuna parte.

Il fatto che le risorse impediscano la crescita praticamente già da ora, non significa che la discussione sull'organizzazione economica sia irrilevante. Per abusare dell'ultima similitudine, non sarebbe la stessa cosa se utilizzassimo un monovolume o un triciclo: ci sono forme più efficienti di altre per usare le risorse che rimangono. Altro punto chiave è quello dell'equità. Viviamo un momento in cui le risorse non sono soltanto scarse, ma si assottigliano. Fino ad ora il cittadino medio della società occidentale era soddisfatto da una piccola percentuale delle risorse che arrivavano nei nostri paesi, perché copriva troppo bene le sue necessità, mentre i ricchi facevano grande festa. Ora che le risorse diminuiscono, riappare una tensione dialettica: i ricchi non vogliono rinunciare alla loro parte della torta, ma su una torta più piccola il loro pezzo rappresenta una percentuale maggiore e lascia al resto di noi la carestia. E il cittadino medio reclama, esige e protesta di fronte ad abusi e corruzione ai quali solo cinque anni fa non faceva nemmeno caso, visto che percepisce che gli stanno strappando via le briciole delle quali viveva. Qui il pensiero economico monocorde tanto pubblicizzato dai media è solito insistere che in fondo la cosa migliore è dare tutti i soldi ai ricchi, perché così si favorisce l'impresa e l'investimento e alla lunga la torta tornerà ad essere più grande e torneremo ad avere briciole sufficienti per tutti.  Tuttavia, se la torta non ha intenzione di crescere ma di diminuire, questa strategia favorisce il fatto che le briciole diminuiscano anche più rapidamente e che lo scontento del cittadino sia sempre maggiore. C'è, d'altro canto, la questione morale e forse bisognava porre prima l'equità della distribuzione che non la crescita economica (anche quando era possibile). In questo momento molti cittadini occidentali saranno d'accordo con questa impostazione: l'equità prima della crescita. Il problema è che l'equità non deve essere promulgata solo all'interno dei paesi ricchi, ma si dovrebbe realizzare fra paesi, visto che molti paesi, come la Spagna, che vivono delle risorse che importano consumano molto di più della media (Pedro Prieto ha riassunto molto bene questa situazione nella sua lettera agli indignati spagnoli).

La discussione economica eclissa tutto, le posizioni sono sempre più aspre e tutto il margine di movimento si trova lungo una retta tracciata senza vedere tutta la complessità che ci sta dietro. E mentre discutiamo assennatamente se la Merkel vuole istituire il terzo Reich per via economica e se fallirà l'Euro, la realtà è che ogni giorno siamo più poveri, irrimediabilmente e senza rendercene conto. E mentre sogniamo una crescita ed una ricchezza che non torneranno, stiamo sprofondando ogni giorno di più nella miseria che sta arrivando.

Saluti.
AMT


























venerdì 10 agosto 2012

Mitt Romney è un 'picchista'?

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di Massimiliano Rupalti



di  Ugo Bardi

Sono rimasto sorpreso nel leggere ciò che Cory Suter riporta su “Polycimic” riguardo al libro del 2010 di Mitt Romney “Niente scuse; Il Caso della Grandezza Americana”. Nel libro Romney parla del Picco del Petrolio, cita il libro di Matt Simmons “Twilight in the desert” (Crepuscolo nel Deserto) e dice “che il picco sia già stato superato o che verrà raggiunto entro qualche anno, la fornitura mondiale di petrolio declinerà ad un certo momento”. E poi non dice che la soluzione è semplicemente perforare di più. Dice che usare meno petrolio e trovare alternative ad esso sono entrambe importanti come soluzioni.

C'è mai stato un candidato alla presidenza con qualche chance di vincere che abbia mai detto qualcosa del genere? Non ho controllato tutta la storia delle elezioni americane, ma posso dirvi che una volta ho chiesto personalmente ad Al Gore (dopo la sua infruttuosa corsa alle presidenziali) che cosa sapeva del Picco del Petrolio e mi era sembrato meno informato di quanto non lo sembri Mitt Romney nel suo libro.

D'altra parte, a proposito di Mitt Romney, c'è sempre la barzelletta che dice (ringrazio “Jules Burn”):

Un conservatore, un moderato ed un liberale entrano in un bar. Il barista dice “Ciao Mitt!”

Almeno si può dire che il ragazzo è flessibile. Comunque, ecco i paragrafi sul picco del petrolio riportati da Cory Suter dal libro di Romney (da notare che non posso verificare sul libro originale, ma questa informazione sembra essere affidabile).

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“Le nostre politiche interferiscono col meccanismo del libero mercato. Sovvenzioniamo la produzione di petrolio e gas nazionali con generose agevolazioni fiscali, penalizziamo l'etanolo da zucchero del Brasile e blocchiamo gli investimenti nell'energia nucleare. La nostra marina si prende in prima persona la responsabilità per assicurare le rotte del petrolio dal Medio oriente, di fatto sovvenzionando il suo costo. Così, noi non paghiamo il costo completo del petrolio del Medio oriente, sia a livello di compagnia petrolifera sia alla pompa”. (232)

Gli economisti di mercato identificano anche un certo numero di esternalità – costi reali che non vengono compresi nel prezzo del combustibile – delle quali le più frequentemente citate sono i costi sanitari dell'inquinamento e i costi climatici dei gas serra. C'è un'ulteriore esternalità, quella di lasciare potenzialmente allo sbando le prossime generazioni, se continuiamo a usare troppo petrolio – nazionale e di importazione –ed energia per noi stessi, che i nostri figli affronteranno durissime scarsità, combustibili costosi in modo proibitivo, un'economia paralizzata ed il dominio energetico della Russia e di altri paesi ricchi di petrolio. Non importa il prezzo che gli date, il petrolio è costoso da usare; dovremmo incoraggiare i nostri cittadini ad usarne di meno, i nostri scienziati a trovare alternative ed i nostri produttori a trovarne di più in ambito nazionale”.

“Molti analisti prevedono che la produzione mondiale di petrolio raggiungerà il picco entro i prossimi 10 o 20 anni, ma l'esperto petrolifero Matt Simmons, autore di Crepuscolo nel Deserto: il Prossimo Shock Petrolifero Saudita e l'Economia Mondiale, riporta un caso convincente secondo il quale la produzione di petrolio del Medio Oriente potrebbe aver già raggiunto il picco. Simmons basa la sua opinione sulle proprie ricerche sulla materia altamente riservata dei livelli delle riserve del petrolio dei giacimenti sauditi. Ma che il picco sia già stato superato o che venga raggiunto entro pochi decenni, la fornitura di petrolio mondiale declinerà ad un certo momento, e nessuno prevede un corrispondente declino nella domanda. Se vogliamo che l'America rimanga forte e voglia assicurarsi che le future generazioni abbiano una vita prospera e sicura, dobbiamo considerare le nostre attuali politiche energetiche alla luce di come queste politiche condizioneranno i nostri nipoti”. (233)

giovedì 9 agosto 2012

La fine di ASPO Italia ed il suo Rinnovamento


(Immagine dal sito http://www.whoisbolaji.com/ ) ASPO, l'associazione per lo studio del picco del petrolio, sembra essere in crisi - qualcosa che avviene sia a livello nazionale come internazionale. Nel dibattito corrente, il concetto di "picco del petrolio" sembra essere diventato irrilevante e abbiamo visto recentemente un'ondata di commenti sul tono che gli ultimi eventi hanno in qualche modo dimostrato che non ci sarà nessun picco, perlomeno nel futuro prevedibile. In un certo senso, sembra che ASPO stia subendo lo stesso processo di demolizione che fu riservato tempo fa agli autori dei "Limiti dello Sviluppo".

Chiaramente, il fatto che tutti ritengano che un certo concetto sia sbagliato non vuol dire affatto che lo sia - anzi, per "I Limiti dello Sviluppo" gli eventi stanno dimostrando la bontà degli studi che hanno preso questo nome, a partire dal 1972. Lo stesso vale per il picco del petrolio che, nonostante i dinieghi urlati, si sta verificando sotto i nostri occhi.  Tuttavia, l'esperienza dei "Limiti" ci dice anche che dobbiamo muoverci, cambiare, evolvere, se non vogliamo che un'ondata di propaganda e di leggende condanni ASPO all'irrilevanza. Allo stesso tempo, si sta facendo sempre più chiaro che il problema non è soltanto il picco del petrolio, ma tutta una serie di problemi correlati che hanno a che vedere con l'esaurimento di varie risorse, incluso la capacità dell'atmosfera di assorbire gas serra senza riscaldarsi oltre un certo limite. Nel post che segue, Toufic El Asmar prova a fare il punto della situazione.


Guest Post di Toufic El Asmar


Ugo Bardi fondatore di ASPO Italia, vede giusto quando dice che il compito vero, inziale di ASPO Italia si è ormai esaurito. ASPO Italia, sezione italiana dell'associazione scientifica ASPO (Association for the Study of Peak Oil) era stata fondata più o meno nel 2005 con lo scopo principale di studiare le dinamiche delle estrazioni e dei consumi del petrolio e del gas e le conseguenze derivanti da tali attività sull’ambiente, l’ecologia, la salute umana; ma anche sulle società moderne e meno moderne, e sulle loro rispettive economie. I membri di ASPO Italia, in generale, si sono attivati durante questo ultimo decennio per capire i fenomeni e cercare di proporre eventuali soluzioni di mitigazione e di adattamento, ossia di sostenibilità e di resilienza. Numerosissime proposte tecnico – politiche erano state sviluppate e presentate ai decisori (amministratori e politici in generale) allo scopo di creare una strada verso una società più sostenibile, capace di mantenere un certo livello anche minimo di benessere, seguendo le indicazioni base uscite dagli scenari dei modelli utilizzati nel rapporto “Limit To Growth” pubblicato nel 1972 (e revisionato durante gli anni successivi) dal Club di Roma.
La strada non è stata facile e questo come ASPO Italia lo sapevamo. Tuttavia grazie al lavoro di molti, sono però stati raggiunti risultati incredibili. Basta pensare che fino al 2002 - 2003, le fonti rinnovabili rappresentavano circa il 25% della produzione energetica Italiana (18% nel 2000) mentre è proprio grazie all’attività delle associazioni ambientaliste, di molti iscritti al partito dei Verdi Italiani e in particolare/soprattutto all’attività iniziale dei membri fondatori di ASPO Italia, il Paese, malgrado le vicissitudini delle lobby e della maggior parte dei partiti Italiani, ha visto le Rinnovabili crescere raggiungendo il record di +25.974 GWh rispetto al 2000 (fonte, Silvia Morelli del GSE).
 
Non solo, ASPO Italia, durante il periodo 2004 – 2010 si è mossa anche sui fronti della gestione dei rifiuti quando l’allora presidente di ASPO Italia (Ugo Bardi), partecipò alla “Commissione Interministeriale (Ambiente e Industria) per le Migliori Tecnologie di Gestione e Smaltimento dei Rifiuti” sviluppando nel 2007, insieme ai suoi colleghi della commissione,  un documento completo per una gestione virtuosa di una risorsa che tutti chiamano rifiuti ma che effettivamente per come le cose si sono evolute oggi, non posso che essere considerate come Risorse per il futuro. Oltre ai rifiuti, ASPO Italia aveva sostenuto, sempre durante lo stesso periodo, il retrofit elettrico (fiat 500, ad opera dell'associazione Euro Zev http://www.eurozev.org/ed in parallelo, la ideazione del progetto RAMSES (finanziato completamente dalla Unione Europea, www.ec-ramses.net) per lo sviluppo del primo veicolo completamente elettrico per l’agricoltura. Non solo ASPO Italia attraverso uno dei suoi noti soci ha contribuito alla produzione del primo prototipo di "sistema di produzione di energia elettrica mediante lo sfruttamento dei venti di alta quota" o KITEGEN http://www.liquida.it/kitegen/ .
I campi di attività di ASPO sono sempre stati ampi e variegati, dalla divulgazione tecnico scientifica, alla formazione, alla pubblicazione di documenti e articoli (sia nel sito dell’Associazione www.aspoitalia.it che nei suoi due blog http://aspoitalia.wordpress.com/ e http://www.aspoitalia.it/blog/nte/, dove vi si trovano i migliori contributi tecnici, scientifici, ambientali, sociali, politici ed economici dei vari soci ma anche di non soci ma simpatizzanti). 
I campi di attività di ASPO sono sempre stati ampi e variegati, dalla divulgazione tecnico scientifica, alla formazione, alla pubblicazione di documenti e articoli (sia nel sito dell’Associazione www.aspoitalia.it che nei suoi due blog http://aspoitalia.wordpress.com/ e http://www.aspoitalia.it/blog/nte/, dove vi si trovano i migliori contributi tecnici, scientifici, ambientali, sociali, politici ed economici dei vari soci ma anche di non soci ma simpatizzanti).
Purtroppo, e lo scrivo di malincuore, non basta e non basterà. Intanto la situazione si è deteriorata, a tutti  i livelli. La politica è completamente assente da quasi 20 anni, e se ha avuto qualche cenno di presenza era solo per tirare fuori delle decisioni che sono sempre andate nel senso contrario alla sostenibilità; le maggiori linee guida o anzi le migliori burlesque dei politici sono state quelle di portare avanti gli interessi del mondo della finanza, degli immobiliaristi e dei cementificatori, delle lobby del petrolio, del gas. Molto tempo e molti soldi sono stati sprecati con le politiche che hanno favorito gli inceneritori (chiamandoli per eufemismo termovalorizzatori), le centrali nucleari, la produzione delle auto convenzionali a combustione (chiamate Euro 2, 3, 4, ecc…), snobbando completamente qualsiasi soluzione alternativa. Sono state favorite le politiche delle cosiddette grandi – opere, l’espansione urbanistica selvaggia con le conseguenti bolle immobiliari (vedi la Spagna), la corruzione finanziaria – politica, la distruzione dell’ambiente, degli ecosistemi, della biodiversità, e l’inizio della fine delle risorse in generale. 
Questa perdita di tempo potrebbe, forse, diventare fatale non solo per le prossime generazioni ma anche per quelle attuali compresa la nostra.
I problemi che abbiamo affrontato come associazione erano troppi e rimangono i soliti, con l’aggravante che oggi sono peggiorati in maniera esponenziale. Per chi riesce a immaginarsi il sistema Terra nella sua complessità, e per chi tenta di seguire i percorsi delle varie crisi in atto, si renderà conto che ormai siamo molto al di là della fase di allarme, e che abbiamo superato abbondantemente il punto di non ritorno: siamo in completo deficit ecologico, climatico, umano, ed economico (siamo in Overshoot): La domanda di risorse è talmente superiore ai fabbisogni quotidiani della attuale popolazione mondiale e delle sue società iper-consumistiche che ci vorrebbero almeno 1,5 – 2 pianeti simili al nostro per essere soddisfatta. E se le cose, nel breve o medio periodo, dovessero continuare ce ne vorrebbero forse più di 5 pianeti Terra.
Penso che ormai sia insufficiente se non riduttivo continuare a parlare di petrolio, gas, energie rinnovabili. Il pericolo invece è molto più ampio e la sua ampiezza sarà la risultante dell’azione di tre problemi fondamentali:.
a- La continua crescita della popolazione, in particolare nelle aree considerate ad economia emergente (Cina, India, Pakistan) ma anche in quelli ad economia meno emergente (Nord Africa, e Africa Saheliana in particolare, ed il Medio Oriente con Gaza, Iran, Libano, e ovunque il fattore umano inteso come numero di persone è considerato un arma per le prossime guerre settarie o di cosiddetta liberazione);
b- I Cambiamenti Climatici ed in particolare il Riscaldamento Globale, fenomeno negato da troppi ma che si sta manifestando in questo 2012 con inverni estremamente rigidi e estati fortemente bollenti, il cui fenomeno più inquietante è la siccità diffusa superiore a quella del 2003, e le cui conseguenze economiche e di sicurezza alimentare mondiale si sentiranno soltanto nell'anno a venire.
c- La crisi finanziaria – economica, che è conseguenza non soltanto dei comportamenti demenziali delle banche e assicurazioni, del mondo della finanza, della cecità totale e stupidità dei politici stessi. Ma soprattutto per chi ancora non lo ha capito, è una prima conseguenza amara dell’esaurimento delle risorse (energetiche, minerarie, idriche, e alimentari).
Dunque, iIl problema oggi non è il ritorno ad una società e ad un pensiero comunista (come qualcuno ancora si auspica) che alla fine ha dimostrato il proprio fallimento, e nemmeno quello di proporre un pensiero ambientalista idealista e puro; il problema è cercare di trovare una nuova strada per arginare l'aggressività e gli effetti nefasti del capitalismo selvaggio del quale troppi regimi anche dichiaratamente comunisti, oggi, ne fanno ampiamente parte e ne godono degli effetti. Non basta più dire alle persone che il petrolio ormai è in esaurimento, ma va raccontata tutta la storia e questa storia purtroppo è e sarà segnata da catastrofi (tra l’altro già in corso).  
A questo punto credo che sia tempo di proporre qualcosa di nuovo, di continuare a cercare le migliori soluzioni che dovrebbero servire i pochi fortunati (rispetto ai 7 miliardi e passa di esseri umani) a capire come adattarsi ai cambiamenti e come mitigare gli effetti disastrosi di questi cambiamenti. Questa è la sfida del futuro, questo è quello che io riesco a vedere come strada principale per potere creare una certa resilienza per le generazioni future.

martedì 7 agosto 2012

Impotenza appresa: L'azione per contrastare il cambiamento climatico non è senza speranza



C'è una storia di un esperimento fatto dallo psicologo americano Martin Seligman negli anni 1960 che ha dato origine al concetto di "impotenza appresa" (learned helplessness). A furia di dare scosse elettriche a un cane, quello non provava nemmeno più a scappare; nonostante ne avesse la possibilità semplicemente saltando una piccola barriera. Sembrerebbe descrivere esattamente la nostra situazione. Abbiamo una via di uscita ai problemi del riscaldamento globale e dell'esaurimento delle risorse energetiche. Si chiama "energia rinnovabile". Ma non riusciamo a muoverci in quella direzione. Ci sembra impossibile anche pensare che possiamo farcela. Qui, Stuart Staniford prova a far capire che questa via di uscita c'è davvero.


L'azione per contrastare il cambiamento climatico non è senza speranza


Di Stuart Staniford

Da “Early Warning”. Traduzione di Massimiliano Rupalti


E' facile sentirsi senza speranza per il cambiamento climatico. Il tempo diventa sempre più pazzo ad ogni decennio e allo stesso tempo sembra che la società difficilmente faccia qualcosa su scala remotamente rilevante. Gli americani rifiutano mantenere più di tanto e i cinesi e gli indiani bruciano carbone ad un ritmo anche più veloce.

Un modo per rappresentare la disperazione apparente della situazione è quello di tracciare il consumo totale globale di energia contro la capacità solare ed eolica (le due più importanti fonti energetiche realmente sostenibili). Ecco come si presenta:



Sembra terribile, giusto? Quelle due linee in basso sono trascurabilmente diverse da zero sulla scala del nostro consumo totale di energia – la linea blu, che continua inesorabilmente a puntare verso l'alto, dopo la brevissima interruzione dovuta alla grande recessione.

Ma questo non è il quadro completo.

Quello che nasconde è che i tassi di crescita completamente diversi. Durante gli ultimi 10 anni di dati (tutte della BP, a proposito), il tasso medio di crescita nel consumo di energia primaria è del 2,7%. Nel frattempo, l'energia eolica è cresciuta al 25% e quella solare al 44%. E questo fa tutta la differenza! Quelli sono tassi di crescita incredibilmente alti e significano che il temibile potere della crescita esponenziale è dalla nostra parte.

Per esemplificarlo in un modo vagamente fumettistico*, guardiamo cosa accade se solo estrapoliamo quegli stessi tassi di crescita al 2040:



Passeremo il prossimo decennio col grafico che si prensenta ancora molto negativo, ma poi il potere della crescita esponenziale comincerà a mostrarsi realmente, in particolare la linea del solare, e vedremo che le rinnovabili raggiungeranno la scala dell'intero uso di energia del pianeta in qualche momento intorno al 2030.

Quindi, guardare alla situazione attuale e dire che sia senza speranza è come guardare una piantina che dischiude la sua prima manciata di foglie e dichiarare che il piccolo alberello non ha speranza di diventare mai una quercia.

Un mondo ecotenico, uno nel quale guidiamo auto elettriche, riscaldiamo le nostre case con pompe di calore, voliamo con biocombustibili ed alimentiamo il tutto con il Sole ed il Vento, è fattibile (seppur su scala molto ridotta rispetto ad oggi, ndT.). Ma è un mondo che vive ancora la sua infanzia. E' la piantina, non ancora l'albero.

Ed essendo così, la cosa di gran lunga più importante è che proteggiamo quella piantina, che la annaffiamo, la ombreggiamo se il Sole diventa troppo forte e le diamo dosi costanti di concime. Sono i tassi di crescita dell'energia solare ed eolica le cose cruciali da tenere d'occhio. Finché questi saranno alti, la situazione non è senza speranza, a prescindere da quanto stia crescendo l'uso di carbone.

Ora, naturalmente, non sto dicendo che le linee rossa e verde nel grafico sopra rappresentino come andranno le cose dal punto di vista qualitativo. Non c'è alcun dubbio che ci sarà qualche rallentamento negli stadi finali. Il bisogno di integrare le rinnovabili e le tecnologie che usano elettricità in tutti gli aspetti della vita è destinato a rallentare le cose verso la fine. La stessa cosa vale per il bisogno di integrare le rinnovabili in tutto il pianeta per far fronte alla loro intermittenza.

Quindi, forse ci serviràfino a mezzo secolo per arrivare ad una società libera dal carbonio. Il punto è che non è senza speranza. Man mano che il tempo peggiora – le siccità, le tempeste, il ghiaccio che si scioglie – i negazionisti sembreranno sempre più sciocchi e la pressione per agire salirà. E mentre lo farà, le soluzioni saranno attuate sempre di più. Quindi non vi scoraggiate se le vendite di auto elettriche ora sono basse, o se la potenza solare è una frazione molto piccola dell'uso totale di energia. Questa è una partita lunga.

Vale anche la pena notare che in un paio di decenni, mentre le alternative cominciano realmente a raggiungere la giusta dimensione, sarà il tempo in cui ci si dovrà davvero concentrare nello smantellamento di tutte le miniere di carbone e di chiudere i pozzi petroliferi. Quello sarà il tempo delle forti tasse sul carbonio e regolamenti punitivi limite e scambio (cap-and-trade).

Ora, la lo sforzo dovrebbe essere nel proteggere la piantina ecotecnica.


* Nota traballante a piè di pagina – sì, lo so che sto confrontando la capacità rinnovabile all'uso di energia senza tenere conto del fattore della capacità. Ma è anche vero che l'elettricità è molto più utile dell'energia primaria dei combustibili fossili – per esempio, può essere utilizzata in un motore con efficienza maggiore di 3 volte oppure per alimentare una pompa di calore con un coefficiente COP 3 o COP 5. Quindi chiamiamolo semplicemente una semplificazione allo scopo di una rapida spiegazione dell'idea generale.


venerdì 3 agosto 2012

Siamo tutti bolliti (II) - Una risposta a Guy McPherson




Questo è un guest post dedicato a dare una risposta alle considerazioni molto catastrofiste di Guy McPherson, pubblicate il 12 Luglio scorso su "Effetto Cassandra". Gli autori cercano di essere più possibilisti, ma è anche evidente che i rischi che corriamo con il "tipping point" o "punto di non ritorno" non sono trascurabil.

UNA  POSSIBILE RISPOSTA A GUY  MCPHERSON

 Di Antonio Zecca, Claudio della Volpe e Luca Chiari


TUTTI QUELLI CHE STUDIANO scientificamente il clima si sono prima o poi poste le domande a cui Guy McPherson dà una risposta netta (forse troppo netta; vedi il post "Siamo tutti bolliti" su "Effetto Cassandra"). Il riscaldamento globale causato dall' uomo ci sta portando verso un punto di non ritorno?  Se si, quanto è lontano nel tempo questo punto? Se si, c'è la possibilità di allontanarlo?

A nostra conoscenza non c'è nel mondo scientifico una risposta netta, anche se ci sono senza dubbio delle preoccupazioni. Le preoccupazioni nascono dal fatto che il fenomeno in se stesso non può essere positivo per l'umanità e dal fatto che il sistema di cui stiamo parlando è un sistema altamente complesso. Stiamo facendo progressi nella comprensione del sistema e quindi nella capacità di fare proiezioni per il comportamento futuro, ma ancora pochissimi darebbero risposte nette - in positivo o in negativo circa la possibilità di arrivare a un punto di non ritorno.


HANSEN E I TIPPING POINTS.

C' è un consenso sulla posizione proposta da James Hansen alcuni anni fa, secondo la quale il sistema climatico terrestre è vicino a passare alcuni "tipping points" (la traduzione migliore è: punti critici) oltre i quali il sistema climatico potrebbe andare in una condizione di feedback positivo. (vedi per es: wikipedia). La ricetta empirica è che saremmo ragionevolmente sicuri di non passare questi tipping points se riuscissimo a evitare un riscaldamento globale inferiore ai 2°C al di sopra del valore pre-industriale; grossolanamente 1.2 °C al di sopra delle temperature dell' ultimo decennio.

E' bene ripassare il significato di feedback positivo: abbiamo una tale condizione quando la reazione di un sistema (pensate al clima terrestre) per esempio a un riscaldamento (o raffreddamento) forzato dall' esterno porta a un incremento del riscaldamento (o raffreddamento). Tutti i sistemi naturali sono basati su feedback negativo: questo ha la proprietà di smorzare le interferenze esterne. Anche tutti i sistemi sociali (umani o animali) e politici funzionano con feedback negativi; quando si istaura un feedback positivo si può arrivare a una guerra mondiale o allo scoppio della bolla del 2008. In tutti i casi un feedback positivo è una sciagura.    

Vorremmo proporre un punto di vista alternativo rispetto a quello di Hansen: ma si tratta delle stesse cose viste con una prospettiva diversa. Il sistema climatico terrestre funziona come un insieme di loops di feedback (cerchi di retroazione, in italiano) innestati tra loro. Ne citiamo alcuni - non in ordine di importanza.

1. Il ghiaccio artico se si scioglie a causa del riscaldamento globale, lascia libera la superficie oceanica che ha una albedo molto più bassa. Cioè riflette di meno la luce solare e più calore viene assorbito.  La stessa cosa avviene per la neve stagionale e per i ghiacci continentali - dove lasciano scoperta la superficie. Questo è un feedback positivo.

2. Il metano contenuto nel permafrost, nei fondali artici può essere rilasciato in misura più o meno veloce a causa del riscaldamento. Il metano è un gas serra e quindi….   Ancora un feedback positivo.

3.  La anidride carbonica è in grande quantità disciolta negli oceani: con il riscaldamento la CO2 viene rilasciata incrementando il riscaldamento. Feedback positivo.

4.  Il riscaldamento globale produce una maggiore evaporazione e quindi una maggiore copertura nuvolosa. Le nuvole riflettono una parte della luce solare verso l' esterno e questo produce un raffreddamento: questo è un feedback negativo. Ma il vapor d' acqua è un potente gas-serra e quindi una maggiore presenza produce un ulteriore riscaldamento. E' un feedback positivo.  Nel caso delle nuvole ci sono due processi con feedback che si compensano in parte.  Per quanto ne sappiamo quello positivo prevale e quindi l' effetto complessivo è di amplificare il riscaldamento.

5.  Il West Antarctic Ice Sheet  è una enorme quantità di ghiaccio al di sopra del livello del mare. Ci sono studi scientifici che mettono in evidenza la possibilità che in un futuro più o meno lontano il WAIS si "disintegri" - cioè si "sciolga" a una velocità molte volte maggiore di quella osservata finora. Il risultato sarebbe un innalzamento del livello dei mari di alcuni metri. In uno scenario - che non possiamo scartare come demenziale o catastrofista - la disintegrazione potrebbe avvenire nel giro di uno o due decenni. Nessuno ha avuto il coraggio di dire in quale anno questo potrebbe succedere: è perché il calcolo è pieno di incognite.  Ma potrebbe esserci una forma di pudore da parte degli scienziati che hanno fatto questo conto: quando il numero fa spavento ti domandi dove hai sbagliato.

Ciascuno di questi loops di feedback è potenzialmente pericoloso. Se ciascuno agisse da solo sapremmo calcolare quanto riscaldamento addizionale ciascuno implicherebbe e quando arriveremmo a uno dei tipping point. La difficoltà che i "modelli climatici globali" stanno cercando di superare è nel fatto che tutti questi loops di feedback e i numerosi altri che non abbiamo citato, sono "innestati" tra loro.  Questo significa che l' azione di uno influenza il funzionamento e il "potere" degli altri. Tutti insieme possono portare a un aumento di temperatura notevolmente più grande di quello che abbiamo calcolato finora - trascurando la interazione.  Non solo, ma l' interazione tra i vari loops  rende molto incerto il calcolo del quando il tipping point complessivo si verificherà.

Intanto sia chiaro: è inutile pensare che qualche santo in paradiso farà in modo che le cose vadano meglio: l' interazione può solo peggiorare ciò che siamo stati in grado di calcolare finora e avvicinare la data dei tipping points.

IL SISTEMA E': CLIMA + SISTEMA ECONOMICO-SOCIALE.

Ma le domande a cui ha tentato di rispondere Guy McPherson in fondo riguardano il sistema climatico terrestre solo in maniera  marginale. La vera domanda riguarda l' umanità: quali rischi corre?
A questo punto vi invitiamo a considerare che il sistema di cui si doveva occupare McPherson e di cui dovremmo occuparci noi è il sistema composito clima più sistema economico e sociale mondiale. E' un sistema ancora più complesso dove i molti cerchi di feedback del sistema climatico si innestano ad altri cerchi di feedback del sistema economico e sociale. Un paio di esempi soltanto. E' noto che qualunque decisione presa per controllare il riscaldamento ha conseguenze sui consumi di energie fossili; conseguenze economiche e sociali.

E' meno evidente che la non-azione sulle emissioni di gas serra avrà conseguenze sulle produzioni agricole; ha già da ora conseguenze sull' innevamento. Per contrastare queste riduzioni è ovvio pensare a aumentare l' irrigazione e a sparare neve con i cannoni. Ma questi interventi richiedono energia per pompare acqua e questo produce un aumento delle emissioni di CO2:  abbiamo instaurato un cerchio di feedback positivo che porta a un ulteriore aumento del riscaldamento. Lo stesso cerchio vien instaurato ogni volta che compriamo e accendiamo un condizionatore: fa più caldo che un secolo fa [*] allora accendo il condizionatore. Questo solo atto richiede energia elettrica (e altre azioni) che viene fabbricata bruciando combustibili fossili: quindi ogni volta che accendo il condizionatore emetto altra CO2 e aumento il riscaldamento.

[*] L' asterisco serve per segnalare dove inserire la seguente frase: "siamo diventati delle mammolette"

IL TIPPING POINT COMPLESSIVO.

Per sapere dunque se e quando i molti cerchi di feedback innestati tra loro potrebbero portare al "grande tipping point complessivo" cioè all' ultimo punto di non ritorno, è quindi necessario un modello del mondo che comprenda il sistema climatico e il sistema economico-sociale umano. Evidentemente sarà un modello di grande complessità.

Per fortuna ne abbiamo già più di metà. I "Limiti dello Sviluppo" (1972 e 2003) hanno già impostato la parte economico-sociale e hanno dato una risposta chiara e affidabile sui tipping points di quel sistema. I modelli climatici recenti hanno una elevatas affidibilità e una buona credibilità per i tipping points climatici.  Si tratta "semplicemente" di accoppiare i due modelli. In altre parole di inserire riscaldamento globale e esaurimento delle risorse fossili nel modello dei "limiti dello Sviluppo".

Qualcuno ricorderà che un paio di anni fa due degli scriventi avevano proposto una borsa di studio ASPO Italia da assegnare a un laureato sotto la responsabilità di Claudio della Volpe. Era una idea per cominciare ad andare in quella direzione. Purtroppo (come succede troppo spesso in Italia) non ci sono state le risorse per incominciare quell' opera e tutto è finito prima di cominciare.

Ma voi state ancora aspettando un verdetto di tipo si/no sulle previsioni di McPherson. Avete però capito che non abbiamo oggi gli strumenti per dare una risposta "tagliata con l' accetta". Avete anche capito, mettendo accanto le pagine dei "Limiti" e quelle dell' IPCC che le prospettive sono fosche e che il mondo sta sottovalutando i rischi che ci aspettano nei prossimi pochi decenni.  Avete anche capito che se l' umanità arrivasse al "grande tipping point complessivo" dovrebbe ripartire da una popolazione di un miliardo di abitanti.

Antonio  Zecca  e   Claudio Della Volpe    sono all' Università di Trento
Luca Chiari è alla  Flinders University - Adelaide - Australia




mercoledì 1 agosto 2012

Fare pace con le nostre Chimere

Da Cassandra's Legacy. Traduzione di Massimiliano Rupalti




La statua etrusca conosciuta come “la Chimera di Arezzo”. E' un'antica rappresentazione della creatura chiamata “Chimera” che venne uccisa dall'eroe Bellerofonte. Questo post deriva da una conferenza sul mito della Chimera che ho tenuto a Firenze nel 2010. La sostanza della mia conferenza era che il mito è ancora molto rilevante oggi per noi e che possiamo sopravvivere alle sfide che stiamo affrontando solo se possiamo fare pace con le nostre Chimere. Ecco una versione scritta della conferenza in cui ho aggiunto dei sottotitoli per renderla più chiara. (nota: una versione diversa di questo articolo è stata pubblicata nel 2010 su "Effetto Cassandra")


Introduzione

Signore e signori, è un grande piacere per me essere qua oggi e, prima di tutto, vorrei presentarmi. Non sono qui in veste di archeologo o di storico, come gli illustri colleghi che mi hanno preceduto. La mia ricerca è su materie molto diverse. Quindi, vi parlo solo come un amico della Chimera. E se vi dico che sono un amico della Chimera lo sono talmente che ho scritto un intero libro sull'argomento “Il Libro della Chimera”. L'ho scritto principalmente perché non riuscivo a trovare un libro simile. Si scrive sempre il libro che si vorrebbe leggere.

Così, dopo così tanto lavoro, oggi posso raccontarvi molte cose sul mito della Chimera ma, come potreste sapere, l'arte di annoiare consiste nel dire tutto. Quindi, vorrei solo raccontarvi in che modo questo mito potrebbe ancora essere rilevante per noi dopo migliaia di anni dalla sua origine. Di fatto, potrebbe essere molto più rilevante per noi di quanto si possa pensare. Questa rilevanza ha a che fare col modo in cui comunichiamo coi nostri compagni esseri umani, come ci confrontiamo con quello che chiamiamo “ambiente”, come ci mettiamo in relazione con qualsiasi cosa non sia umana su questo pianeta. A questo proposito, abbiamo sbagliato tutto: abbiamo distrutto il nostro ambiente come se stessimo uccidendo una chimera dopo l'altra. Questa non è stata un buona idea, l'ambiente è ciò che ci fa vivere. Dobbiamo fare pace con le nostre chimere. Ma lasciate che vi spieghi cosa intendo.

Origini del mito della Chimera

Conoscete certamente la storia della Chimera: c'era questo mostro, un incrocio fra un leone, una capra ed un serpente. Sputava anche fuoco da una delle sue bocche, o forse da tutte e tre. Sembra che fosse davvero una creatura malvagia, così un eroe, Bellerofonte, fu inviato per spazzarla via. Bellerofonte fece il lavoro con l'aiuto del suo cavallo alato, Pegaso. Non dev'essere stata un'impresa tanto difficile, visto che la Chimera non poteva volare.

Questo è il mito: come vedete, può essere espresso in un paragrafo appena e questo è il modo in cui è descritto nell'Iliade: appena poche righe. In questi termini, non sembra niente di speciale, la si potrebbe di fatto condensare in una sola frase. Qualcosa come “l'eroe luminoso che uccide il mostro cattivo”. Ma c'è molto più di questo nel mito e lasciate che vi spieghi perché.

La soria della Chimera è molto antica, è uno dei miti più antichi della nostra civiltà. Quel nome, “Chimera” (o “Kimaira”), risale, probabilmente, al nono secolo prima di Cristo, circa 3.000 anni fa. E' da quel momento che cominciamo a trovare immagini e descrizioni di questa strana creatura. Ma il nocciolo della storia è molto più antico. Con nomi diversi, il mito del leone che sputa fuoco risale alle civiltà dei Babilonesi e dei Sumeri, quindi al terzo millennio prima di Cristo. Cioè, risale a circa 5.000 anni fa e probabilmente è ancora più antico. Potrebbe tranquillamente risalire ai nostri antenati del Paleolitico anche se, naturalmente, non sapremo mai quali storie si raccontavano la sera mentre stavano seduti intorno al fuoco.

La cosa curiosa è che una tale storia così vecchia sia ancora con noi e non sia cambiata nella sostanza. Durante questi 5.000 anni, imperi e civiltà sono apparsi e scomparsi, lingue e tipi di scrittura sono stati creati e, anche loro, sono scomparsi. Ma noi sappiamo ancora come è fatta una Chimera ed è possibile che i nostri discendenti lo sapranno ancora in un lontano futuro. Pensateci: fra 5.000 anni a qualcuno importerà chi fosse il presidente degli Stati uniti oggi o chi ha vinto il campionato di calcio?

Così, il mito della Chimera, proprio come molti altri miti, ha questa caratteristica di essere altamente “resiliente”, impossibile da distruggere. Cambia di nome e nei dettagli, ma persiste nei suoi fondamenti per tempi molto lunghi. Perché è così? Se alcuni concetti sopravvivono per tempi così lunghi, ci deve essere qualcosa che li fa sopravvivere, qualcosa di importante. Lasciate che approfondisca un po' questo punto.

La Capra ferrata

Ora, lasciate che vi racconti una cosa che ho imparato dal mio amico e collega Alessandro Fornari che, sfortunatamente, non è più con noi. Era un “antropologo sul campo”, uno che non stava semplicemente seduto ad una scrivania a scrivere libri. Amava passare gran parte del suo tempo a raccogliere e conservare storie popolari. Aveva un talento speciale nel convincere anziane donne contadine a raccontargli storie e a cantare per lui vecchie canzoni.

Una delle storie che ho sentito da Fornari è quella della “Capra ferrata” che proviene dagli Appennini, in Toscana. E' una storia semplice di un mostro piuttosto cattivo, ma il modo in cui la raccontava Fornari, be', era diventata una cosa speciale. Sapete, aveva imparato dalle anziane contadine un sacco di trucchi su come raccontare queste storie. Così, quando descriveva il modo in cui la Capra Ferrata appare alla porta di casa, Fornari parlava con voce roca, come ci si aspetta da ogni mostro che si rispetti. Lasciatemi provare a fare come faceva lui. Tipo, “Sono la capra ferrata, dagli occhi di fuoco e la lingua arrotata!”. Be', Fornari era molto meglio di me a raccontare questa storia, ma ho fatto del mio meglio!

La Capra Ferrata ha chiaramente a che fare col mito della Chimera. Ho parlato di questo con Fornari stesso ed era d'accordo con me. Un dettaglio è che, naturalmente, entrambe le storie fanno riferimento ad una capra come parte del mostro. Ma credetemi se vi dico che ci sono molte più similitudini che la semplice capra: la struttura della storia, l'ambientazione, i ruoli dei personaggi, ma ci torneremo fra poco. Ora, lasciatemi solo osservare un punto: come mai negli anni 50, fra le montagne toscane, anziani contadini raccontavano una storia vecchia di almeno 3.000 anni? E' possibile che la storia ci sia stata tramandata dal tempo degli Etruschi passando di padre in figlio? (o, più verosimilmente, di nonna in nipotina?).

Naturalmente, non lo sapremo mai, ma potrebbe anche essere: gli antropologi hanno scoperto che le storie raccontate della tradizione orale tendono a sopravvivere per molto tempo, secoli o più. Questo non significa che la storia della Capra Ferrata abbia 5.000 anni, naturalmente, ma mostra che alcune storie tendono ad essere raccontate in continuazione, in diverse versioni ma mantenendo alcuni tratti fondamentali. Così, negli anni 50, la storia della Chimera, o almeno una storia molto simile a quella della Chimera, veniva raccontata in Toscana in una versione orale che probabilmente non deriva dalle versioni letterarie o grafiche registrate sui libri. E' una manifestazione dell'incredibile resilienza dei tratti fondamentali del mito, qualcosa che dobbiamo cercare di spiegare.

I miti come trasmissione virale

Le storie scritte, proprio come certi vini, non invecchiano bene. Quando la storia della Chimera è stata scritta in un'età in cui la gente era diventata letterata, nei Tempi Classici, il mito è stato letteralmente fatto a pezzi. Così, Platone ci racconta della Chimera solo come una inutile assurdità. Per Virgilio è un accessorio decorativo per i suoi poemi. C'era uno scrittore Romano di nome Servius Onoratus che ha detto che la Chimera era in realtà la descrizione di un vulcano, per via del fatto che emetteva fiamme. Su questo, penso che se mai mi capitasse di incotrare Servius un giorno, nei Campi Elisi, gli direi qualcosa tipo. “Suvvia Servius, non pensi che i tuoi antenati fossero in grado di distinguere un leone da un vulcano?” Ma è così che va. Una volta scritto, un mito perde gran parte della sua consistenza, della sua logica e della sua resilienza. Diventa un mito morto, forse pieno di forza e furia, ma senza significato.

Perché è così? Ha a che fare, credo, con i limiti della mente umana. Ho letto, non molto tempo fa, che la memoria disponibile nel nostro cervello non è maggiore di poche centinaia di megabyte. Non sono sicuro di cosa significhi esattamente, ma ha senso: le nostre capacità mentali sono estremamente limitate. Guardate il mio libro sulla Chimera, contiene circa 80.000 parole. L'ho scritto, ma non potrei recitarvelo senza leggerlo. Pensate invece all'Iliade di Omero. Nella sua traduzione inglese ha circa 150.000 parole. Ma sono sicuro che Omero poteva recitarvi l'intera Iliade (e non solo l'Iliade, anche l'Odissea e probabilmente altri poemi epici). Ed Omero, molto probabilmente, non sapeva né leggere né scrivere.

Così, c'è un punto fondamentale qui. Abbiamo un sacco di libri nei nostri scaffali a casa, ma molto probabilmente non ne conosciamo nemmeno uno a memoria. Per Omero e la gente del suo tempo era l'opposto. Ora, sicuramente non direste che la gente del tempo di Omero fosse più intelligente di noi. Semplicemente aveva un modo diverso di organizzare l'informazione nei loro cervelli. Non avendo il tipo di supporto esterno che abbiamo noi sotto forma di libri, ed ora di Internet, l'informazione che avevano, doveva essere in forme che potessero essere memorizzate.

Poemi come l'Odissea e l'Iliade venivano fatti con quell'idea in mente: facile da memorizzare. Le rime, naturalmente, erano un dispositivo usato per questo scopo, ma non solo questo. La struttura stessa di questi poemi è fatta in modo tale da essere facile da assimilare. Se avete avuto il tempo di leggere l'Iliade, capirete ciò che intendo: la storia è compatta, estremamente densa, non c'è spazio per i dettagli. Confrontate l'Iliade o l'Odissea con un racconto moderno e vedrete la differenza. Pensate all'Ulisse di James Joyce. Teoricamente, Joyce voleva scrivere qualcosa come una versione moderna dell'Odissea ma, perbacco, il risultato è completamente diverso, anche se ci sono dei collegamenti, forse. E non è solo una questione di Joyce, è la struttura della narrativa moderna in generale che è cambiata. Potreste scrivere un buon numero di romanzi moderni con una singola pagina dell'Iliade.

Ora, pensate al mito della Chimera. E' stato concepito molto prima dell'esistenza della scrittura. Quindi la storia veniva raccontata in un modo facile da memorizzare e, come tale, estremamente compatto. Nell'Iliade il mito viene descritto in poche righe. Veniva lasciato al narratore il compito di dar vita a quelle poche righe col tono, l'espressione, la gestualità e, probabilmente, l'aggiunta di altri dettagli. Era proprio ciò che faceva Alessandro Fornari quando raccontava la storia della Capra ferrata nel suo modo unico. Aveva acquisito, penso, alcune della capacità degli antichi narratori!

In termini moderni, potremmo dire che un mito è una forma di comunicazione virale. E' un concetto di moda, oggigiorno, ma è una interpretazione corretta di un fenomeno comune ed anche molto antico. E' semplicemente che, quando trasmetti un messaggio, questo deve essere decodificato da chi lo riceve. Quindi, potete mandare un messaggio molto compatto che il ricevente “spacchetta” o “dezippa”. Così, il mio libro di 80.000 parole è un modo di spacchettare le poche righe della descrizione della Chimera data da Omero e da altri. Potreste dire che tutto quello che ho scritto nel mio libro era già contenuto, sebbene virtualmente, nelle poche righe scritte da Omero.

Essendo così compatto, un vero virus di comunicazione, il mito viene facilmente trasmesso. Non richiede altro supporto che la mente di una nonna contadina. E quando ha messo radici nella mente, resta lì perché è memorizzato per intero. Proprio per questo è molto difficile, quasi impossibile, distruggerlo. Viene trasmesso di generazione in generazione, sempre uguale, perché è così semplice e compatto. Penso che potremmo dire che il mito è “l'unità atomica” della comunicazione. In un certo senso, potremmo dire che un mito è un pezzo di informazione “a portata di mente”, per usare un termine inventato da Seymour Papert.

La lotta per la sopravvivenza del mito

Essere compatto, anche se importante per un mito, non può essere sufficiente per assicurarne la sopravvivenza. Come un virus biologico, per replicarsi un mito ha bisogno di avere la capacità di adattarsi a suoi ospiti; ha bisogno di essere in grado di usare il sistema riproduttivo dell'ospite. Nel caso di un mito, deve convincere l'ospite, tipicamente la mente di una nonna contadina, a raccontarlo di nuovo. Non tutti i miti riescono allo stesso modo. Forse nell'antica Grecia c'erano molti più miti e storie di quelle che conosciamo al giorno d'oggi, ma quelle che non avevano questa capacità di sopravvivenza non sono sopravvissute. Ci dev'essere stato un duro processo di selezione durante migliaia di anni. Allora, cosa rende la storia della Chimera così resiliente?

Sapete cosa fa una buona storia: ci deve essere un significato. Tipicamente, questo vuol dire che c'è una morale o un problema etico da risolvere. Ci dev'essere qualche tipo di conflitto, un problema da risolvere. Ecco cosa fa vivere una buona storia.

Ci sono molti esempi di miti che impersonificano conflitti di considerevole complessità. Mi viene in mente la storia di Antigone, forse ve la ricordate. Fu uccisa perché rifiutò di obbedire alle leggi che le proibivano di seppellire il corpo di suo fratello. E' il conflitto delle leggi umane con le leggi naturali, un mito estremamente moderno, che sarebbe molto interessante discutere, ma andiamo avanti.

Al contrario, molti miti sembrano piuttosto stupidi. Ricordate la storia di Piramo e Tisbe? Il dramma nel dramma in “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare? E' la storia di una giovane coppia e di come entrambi finiscono per uccidersi per errore. Non sembra un conflitto tanto profondo, solo un invito ad essere un tantino più prudenti! Ma se il mito è sopravvissuto, ci dev'essere una ragione. Forse è solo perché è così stupido. E infatti Shakespeare sembra pensarla proprio così nella sua rappresentazione. Ma, inoltre, potreste ricordare che anche un altro dramma, “Romeo e Giulietta” è basato esattamente sulla storia di Piramo e Tisbe! Quindi non dev'essere un mito così stupido, dopotutto.

I miti antichi sono spesso così. Possono sembrare stupidi superficialmente, ma c'è sempre uno strato di complessità sotto. Ci dev'essere un significato profondo in queste storie antiche, perché sono sopravvissute ad un processo di selezione durato migliaia di anni. E' la sopravvivenza darwiniana del più adatto trasposta alla mitologia.

Ed è lo stesso per il mito della Chimera. A prima vista, non sembra così complesso. Come ho detto prima, la potremmo comprimere in una sola frase: “eroe splendente uccide brutta bestia”. Che tipo di conflitto etico c'è in questo? Sembra la dichiarazione di intenti di un'azienda di disinfestazione. Ma le cose non sono così semplici e se quello fosse tutto ciò che c'era nel mito, non sarebbe sopravvissuto ai millenni. C'è molto, molto di più.

Il significato del mito della Chimera

Per spiegare il significato del mito della Chimera, potremmo tornare indietro alla storia della “Capra Ferrata”. La bestia, la strana creatura, è un'emanazione della natura selvaggia che, nella storia, bussa alla porta ed entra in casa. Questo è il punto fondamentale della storia: il conflitto fra civiltà e natura selvaggia, il problema da risolvere. Questo è ciò che da senso alla storia.

Il problema della relazione di spazi umani e natura selvaggia è molto antico e non lo abbiamo risolto neanche oggi. Viviamo prevalentemente in un ambiente urbano e non ci aspettiamo che dei mostri bussino alla nostra porta. Ma l'idea c'è ancora e continua a riapparire: pensate ad un film come “Avatar”. E' così ricco di riferimenti a miti antichi che pensereste che possa essere stato girato al tempo dei Sumeri. Vedete come sono dati i ruoli, c'è esattamente questo contrasto: natura selvaggia e civilizzazione. In Avatar, gli esseri umani sono la civiltà e i Pandoriani sono la natura selvaggia. Questo è ciò che rende il film affascinante, non le battaglie o i vari mostri. La storia ha un significato, c'è una tensione, un conflitto da risolvere.

Quindi, vedete quanto è moderno il mito della Chimera. Alla sua radice c'è il conflitto: civiltà contro natura selvaggia. La Chimera sono gli alberi che tagliamo per cementificare il territorio e costruire centri commerciali. E' le montagne che distruggiamo per arrivare al carbone che ci sta sotto. E' la gente che bombardiamo perché pensiamo sia pericolosa per noi. E' tutto ciò che non vogliamo vedere e che vogliamo distruggere, mentre pensiamo di essere al sicuro nelle nostre case. Ma, in realtà, non lo siamo e lo sappiamo molto bene. L'ambiente in realtà non è qualcosa che sta “fuori”, l'ambiente è tutte quelle cose che ci fanno vivere. Se distruggiamo l'ambiente, distruggiamo noi stessi.

Queste considerazioni sono tutte lì, nel mito della Chimera, una volta che lo spacchettate e vi prendete cura di qualche dettaglio che sembra essere marginale e, invece, è fondamentale. Così, nell'Iliade  ci si riferisce alla Chimera come a “Theon”, che significa “divino”. La Chimera non è un semplice mostro, è un Dio. E nessun mortale può uccidere un Dio perché gli dei sono immortali: Al massimo, è possibile uccidere un “avatar” di un Dio. E uccidere un Dio, anche solo il suo avatar, non è qualcosa che i comuni mortali possano fare con leggerezza. Porta sfortuna, non ricompense. Infatti, Bellerofonte finisce la sua vita cieco e maledetto, come punizione per quello che aveva fatto. Quindi, vedete? La storia della Chimera non è affatto semplice: Non è in bianco e nero, non è il bene contro il male. La storia è sottile e densa ed ha molti significati che possiamo ancora capire se solo passiamo un po' di tempo ad esplorarla.

Oggi non ascoltiamo più le vecchie storie raccontate dalle nonne. Ma le nostre menti non sono cambiate da quell'era ed i messaggi che ci scambiamo devo ancora essere “a portata di mente”, anche se tendiamo a pensare di essere progrediti oltre. Potrebbe benissimo essere che, con Internet, stiamo tornando indietro ad un tipo di comunicazione rapida e “virale” che era tipica della tradizione orale. Naturalmente Internet, ora, è piena di storie stupide ed inutili, ma abbiamo anche visto che c'è una selezione naturale per le storie. Le storie stupide non sopravvivono a lungo, quelle importanti sì. La storia della Chimera è qualcosa che potrebbe avere una nuova vita oggi, se impariamo come raccontarla. Film come “Avatar” potrebbero essere un modo. Così, potrebbe esserci oggi la speranza di trasmettere il significato che il mito antico ha portato con sé per millenni: se distruggiamo quello che pensiamo siano mostri, distruggiamo noi stessi. La nostra sola speranza per il futuro è di far pace con le nostre Chimere.


Questa immagine di  Ferdnand Knhopff non mostra Bellerofonte e la Chimera, ma piuttosto Edipo e la Sfinge: Ma non ha importanza, è lo stesso vecchio mito e l'idea che i protagonisti debbano far pace fra loro (Lino Polegato)