domenica 18 luglio 2010

Gaia contro Medea


L'ultimo libro di Peter Ward è un po' come una "donna fatale" dei film: affascinante ma con grossi difetti. Il libro è affascinante per il suo soggetto, ma con dei grossi difetti di concezione e di trattazione - a partire dalla copertina che sembra che l'abbiano stampata quando avevano quasi finito l'inchiostro. In questo post, cerco di chiarire un po' le cose e spiegare perché l "ipotesi Medea" di Peter Ward non mi ha per niente convinto


Il concetto di "Gaia" proposto da Lynn Margulis e James Lovelock è stato uno dei più controversi e più abusati del ventesimo secolo, atteggiamento che continua ancora oggi nel ventunesimo. L'idea di Gaia, evidentemente non va giù a molta gente. L'ultima bordata contro la poveraccia arriva da Peter Ward con il suo libro "L'ipotesi Medea" dove contrappone alla benevola Gaia la malvagia Medea che, nella mitologia greca, aveva ucciso i suoi figli.

Il concetto di Gaia è stato molto strapazzato da chi l'ha preso in modo quasi religioso, ma è anche stato ingiustamente banalizzato da chi non l'ha capito. Ho un po' il dubbio che nemmeno Peter Ward, seppure persona molto in gamba e che io ammiro, lo abbia veramente capito.

In effetti, l' "ipotesi Gaia" parte dall'idea che la biosfera, intesa come insieme di piante e di animali, ha un effetto non trascurabile sulle caratteristiche dell'ecosistema tutto intero. Questo è tanto ovvio da essere banale, ma i promotori dell'ipotesi Gaia hanno fatto un passo in più dicendo che l'ecosistema è dominato da dei cicli di "feedback" negativi che tendono a stabilizzare i parametri dell'ecosistema, in particolare la sua temperatura. Questo è più difficile da dimostrare, ma conosciamo molti di questi cicli - per esempio il ciclo biologico del carbonio - e sappiamo che hanno effettivamente questo effetto. C'è un ulteriore salto in avanti nell'ipotesi Gaia, ovvero che i sistemi biologici controllano i parametri dell'ecosistema ottimizzandoli per il proprio beneficio. Questa è un' "ipotesi forte" che però non è necessariamente il concetto di Gaia.

Ora, cosa vuol dire Peter Ward con la sua "ipotesi Medea"? Vuol dire che la biosfera non interagisce con l'ecosistema? Che questa interazione è trascurabile? Che non vale l'"ipotesi forte"? Che non vale nessuna delle ipotesi Gaia? Non è mai molto chiaro nel libro - salvo ogni tanto descrivere qualche disastro planetario che ha causato estinzioni di massa e dire "this is Medean" (questo è medeano). Ma non è così che si fa un ipotesi scientifica. Nella scienza, se si sostiene qualcosa, non basta dare una serie di "casi": altrimenti uno potrebbe sostenere che non c'è bisogno di ospedali per curare le malattie, basta andare a Lourdes. Quale ipotesi Ward ci propone di verificare per sostenere la bontà della sua "ipotesi Medea"? Onestamente, non è facile capirlo.

Allora, partiamo da un altro punto di vista: lasciamo perdere l' "ipotesi Medea" che, francamente, mi è parsa proprio una fesseria. Cerchiamo invece di capire come stiamo oggi con l'ipotesi Gaia? Se non la prendiamo nella sua forma "forte" (ovvero regolazione per il beneficio della biosfera) Il concetto di Gaia è un'ipotesi scientifica pienamente valida in quanto è falsificabile. Ovvero, la possiamo provare o respingere sulla base dei dati.

Lovelock e Margulis partivano dal concetto che la temperatura della Terra è determinata da due fattori principali: uno è l'irradiazione solare e l'altro la concentrazione di CO2 nell'atmosfera. Sappiamo anche che l'irradiazione solare aumenta gradualmente ma inesorabilmente nel tempo e questo dovrebbe portare a un graduale aumento della temperatura planetaria se tutti gli altri fattori, incluso la concentrazione di CO2, rimangono costanti.

Secondo Lovelock e Margulis, l'esistenza di un certo numero di cicli di "feedback" planetari dovrebbe invece stabilizzare i parametri del sistema terra, ovvero mantenere la temperatura costante - o quasi - nonostante l'aumento dell'irradiazione solare. Questo controllo della temperatura dovrebbe avvenire per mezzo di una variazione della concentrazione di gas serra nell'atmosfera. Dei vari gas serra, quello principale è il CO2. In altre parole, l'ecosistema terrestre dovrebbe far variare la concentrazione di CO2, riducendola in modo tale da compensare per l'incremento dell'irradiazione solare.

Quindi abbiamo due predizioni verificabili. Se "l'ipotesi Gaia" è vera, dovremmo vedere che la temperatura terrestre si è mantenuta abbastanza costante per periodi molto lunghi (dell'ordine delle centinaia di milioni di anni almeno) e che - negli stessi periodi la concentrazione del CO2 deve essere diminuita.


Avere dei buoni dati sulla concentrazione di CO2 e le temperature terrestri nel remoto passato non è affatto facile, ma negli ultimi anni la paleoclimatologia ha fatto dei passi da gigante e ora cominciamo a capire qualcosa anche del clima del remoto passato. Partendo da alcuni studi recenti, per esempio quelli di Dana Royer, possiamo cominciare a mettere insieme i dati, come per esempio vediamo in questa figura. Qui vediamo i passati 542 milioni di anni, il periodo detto "Fanerozoico." ovvero quello delle forme di vita complessa. Prima del fanerozoico, la vita sulla terra era soltanto unicellulare.


Da Climate Sensitivity during the Phanerozoic: Lessons for the Future
Dana L. Royer Search and Discovery Article #110115 (2009)


Vedete che c'è una discreta correlazione fra le fasi di bassa concentrazione di CO2 e le ere glaciali; ma non è questo che ci interessa qui. Il fatto è che la concentrazione di CO2 si è considerevolmente abbassata durante questo periodo. Era partita da valori di svariate migliaia di parti per milione, arrivando oggi a meno di 400 ppm.

Ora, cosa è successo alla temperatura in questo periodo? Beh, una ricostruzione che viene considerata fra le migliori è quella di Vezier et al. del 1999. Eccola qui (notate che la scala dei tempi va al contrario rispetto alla figura precedente, ma insomma, la cosa è chiara):

Tenete presente che questi dati sono molto incerti; per una buona discussione dell'argomento potete vedere questo articolo di Dana RoyerCi sono altre ricostruzioni dove le curve sono un po' diverse, ma nel complesso il risultato è sempre quello: nel fanerozoico la concentrazione di CO2 è diminuita mentre la temperatura è rimasta approssimativamente costante. 

Ora, qui viene il bello: sappiamo che l'irradiazione solare è aumentata di circa il 5% durante il fanerozoico. Allora, a parità di tutti gli altri fattori, possiamo calcolare che questo avrebbe causato un incremento della temperatura media planetaria di circa 3-4 gradi centigradi. Questo aumento non lo vediamo assolutamente dai dati sperimentali. Ovvero, la diminuzione della concentrazione di CO2 ha compensato (nella media) per l'aumento della radiazione solare:

Questo è un risultato veramente fondamentale che - a mia opinione - è una delle principali prove del fatto che il clima planetario è dominato dalla concentrazione di CO2. Non solo, ma questi dati ci dicono che, nel complesso, Lovelock, aveva perfettamente ragione: aveva intuito un effetto che soltanto negli ultimi anni è stato completamente capito. Ovvero, la concentrazione di CO2 nell'atmosfera è regolata principalmente dalla reazione del CO2 con i silicati. Quando fa molto caldo, la reazione va più veloce è il CO2 viene rimosso dall'atmosfera più velocemente: il sistema si autoregola e funziona come un termostato.

E allora, è Medea o Gaia? Madre cattiva o madre benevola? Come sempre, la verità sta nel mezzo. Il sistema planetario è dominato da feedback negativi che tendono a stabilizzarlo. Ma questi feedback non sono perfetti e ogni tanto il sistema va fuori controllo è abbiamo qualche bel disastro planetario con estinzioni di massa e distruzione degli ecosistemi. Gaia non è una madre cattiva; solo un tantino distratta. Ma non chiamiamola "Medea" poveraccia.

E comunque, nonostante i suoi difetti, il libro di Ward vale la pena di leggerlo.




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Veizer, J., Ala, D., Azmy, K., Bruckschen, P., Buhl, D., Bruhn, F., Carden, G.A.F., Diener, A., Ebneth, S., Godderis, Y., Jasper, T., Korte, C., Pawellek, F., Podlaha, O. and Strauss, H. (1999) 87Sr/86Sr, d13C and d18O evolution of Phanerozoic seawater. Chemical Geology 161, 59-88.

venerdì 16 luglio 2010

Il visconte stralunato: Gamberogate!

Christopher "Lord" Monckton, il visconte stralunato, famoso negazionista climatico, ha avuto la faccia tosta di accusare il suo critico, John Abraham, di avere una "faccia da gambero stracotto" nella stessa frase in cui lo accusava anche di fare attacchi personali contro di lui (!). E' il "gamberogate".



Il visconte abbacinato, Christopher "Lord" Monckton, sta facendo fare una figura talmente disdicevole ai suoi seguaci e ammiratori che mi viene da pensare che sia stato pagato da Al Gore apposta per screditare il negazionismo climatico.

Questa sua frase (notata da Dan a "mindofDan") è veramente una perla - quasi inarrivabile (traduzione mia - ma è difficile riprodurre il tono falso-aulico del visconte rintronato, per cui riporto anche l'originale)

E' così fuori dall'ordinario questo suo tentativo di argomentare con noi, e così velenosamente "ad hominem" sono le puerilità di Abraham, inviate in un tono amichevole, nasale e irritante (perlomeno ci viene risparmiata la sua faccia - somiglia a un gambero troppo cotto) che i blogger estremisti-climatici le hanno fatte circolare e lodate fino al cielo



So unusual is this attempt actually to meet us in argument, and so venomously ad hominem are Abraham’s artful puerilities, delivered in a nasal and irritatingly matey tone (at least we are spared his face — he looks like an overcooked prawn), that climate-extremist bloggers everywhere have circulated them and praised them to the warming skies.

In sostanza, il visconte abborracciato accusa Abraham di fare attacchi personali nella stessa frase in cui gli dice che "somiglia a un gambero troppo cotto" e altre cosette non poco personali. Stupendo - questa è vera coerenza! Giustamente, è stata definita il "Gamberogate" ("Prawngate") di Monckton


Fra le altre cose, c'è ora un gruppo Facebook a favore di Abraham a cui potete aderire (io l'ho fatto). Per sapere come ha reagito l'università di Abraham alla tentata intimidazione del visconte sparpagliato, potete leggere questo post di Sylvie Coyaud.

giovedì 15 luglio 2010

Il visconte strampalato: Monckton vuole censurare chi non la pensa come lui



Christopher "Lord" Monckton: il visconte strampalato


Stiamo veramente arrivando al limite. Non abbiamo di fronte soltanto dei venditori di fumo, ma persone veramente fuori di testa. Christopher "Lord" Monckton, visconte stralunato, è uno dei negazionisti climatici più in vista. Ha raccontato bugie su tutto, non solo sul clima, ma arrivando a sostenere le cose più assurde, incluso di aver vinto un premio Nobel. Insomma, un mentitore patologico.

Ora, John Abraham dell'Università di St. Thomas, nel Minnesota, si è preso in carico di smantellare una per una le bugie di Monckton sul clima. Questo lo ha fatto egregiamente in una presentazione dalla quale il visconte abbacinato ne esce letteralmente devastato dal punto di vista scientifico. Non ne ha detta una giusta.

La risposta? Arriva dal visconte arrocchettato un documento delirante con 466 (!) domande a John Abraham; una richiesta di censura del suo documento, di provvedimenti disciplinari nei suoi riguardi da parte dell'università contro di lui - e infine di una compensazione monetaria. La più bieca e la più squallida censura, insomma.

Il brutto di questa faccenda è che non è soltanto Monckton che ha perso il controllo di se stesso (posto che mai l'abbia avuto) e si è messo a strepitare e a chiedere censure. No, la sua richiesta è andata a finire su "Watt's up with that" che è uno dei siti negazionisti più diffusi (e dove pretenderebbero anche di passare per persone serie), dove il visconte strampalato ha chiesto ai lettori di inondare il presidente dell'Università di St. Thomas con email che chiedono, appunto, censura, provvedimenti disciplinari contro Abraham, eccetera. E sembra veramente che la casella postale del presidente stia venendo inondata di questi messaggi.

Insomma una storia davvero squallida che dimostra di che pasta sono fatti questi qui. Il minimo che possiamo fare tutti e andare a firmare una petizione a favore di Abraham e contro il visconte rintronato. La trovate a:

http://hot-topic.co.nz/support-john-abraham/

Ci vuole un minuto per farlo, ma ne vale la pena! Può darsi che questa faccenda finisca con una tale disfatta per Monckton da segnare l'inizio della fine del negazionismo climatico.

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Per leggersi un po' di cose in più su questo argomento, suggerisco i seguenti post di "Lou"


    martedì 13 luglio 2010

    Morire di Caldo


    Questa immagine (da ScienceDaily) riassume i risultati di uno studio recente pubblicato sul PNAS. Sono le temperature che potrebbe raggiungere il pianeta in certe ipotesi - estreme ma non impossibili - se il riscaldamento globale continua. Le temperature sono "wet bulb", "a bulbo umido." Per un essere umano, è impossibile vivere a lungo a temperature a bulbo umido superiori a circa 36 °C. In questo scenario la maggior parte del pianeta diventerebbe inabitabile. 


    La cosiddetta "temperatura di bulbo umido" si misura con un termometro avvolto in una garza bagnata e sottoposto a un flusso d'aria. E' una indicazione di quanto una condizione di calore e umidità è accettabile per gli esseri umani. Il corpo umano ha una temperatura interna di circa 37 °C, quella della pelle è un paio di gradi inferiore. Sudando, si possono sopportare temperature anche alcuni gradi più alte di 36 °C, ma solo se l'aria è secca. Ma se la temperatura di bulbo umido è di 36 °C - o più alta - sudare non serve. E' una questione di termodinamica: non è possibile raffreddare un corpo per evaporazione a temperature più basse di quelle di bulbo umido. Più di qualche ora in quelle condizioni e non c'è scampo. E' la morte per ipertermia.

    Oggi, in nessun posto del mondo si arriva - normalmente - a temperature di bulbo umido tali da uccidere. Questa immagine è presa dall'articolo di Sherwood e Huber citato prima e mostra i massimi di temperatura di bulbo umido misurati oggi: 



    Come vedete, i massimi sono intorno ai 30-31 °C di bulbo umido nell'India del Nord, in certe aree dell'Indocina, dell'Amazzonia e dell'Africa centrale. Vivere in queste zone in estate è possibile, anche se non certamente confortevole. In contrasto, i valori delle temperature di bulbo umido sono molto più bassi in luoghi caldi ma secchi, come il deserto del Sahara o l'Arabia Saudita.

    La domanda che si sono posti Sherwood e Huber nell'articolo citato è se il riscaldamento globale potrebbe portare le temperature planetarie a livelli tali da rendere invivibile una frazione importante della superficie. Per rispondere, non basta parlare di "aumento medio", dato che sappiamo che il riscaldamento globale si manifesta soprattutto ad alte latitudini. Occorre fare una completa simulazione, cosa che gli autori hanno fatto. Questi sono i loro risultati principali:

    "Concludiamo che un riscaldamento globale di circa 7 °C creerebbe piccole zone dove la dissipazione del calore metabolico diventerebbe impossibile per la prima volta, mettendo in dubbio la possibilità di sopravvivenza per gli esseri umani. Un riscaldamento di 11-12 °C espanderebbe queste zone a comprendere la maggior parte della popolazione umana di oggi."

    Il risultato per un riscaldamento di 11-12 °C è mostrato graficamente nella figura all'inizio di questo post, che comunque ripeto qui per chiarezza:


    In questa simulazione, tutta la fascia tropicale del pianeta è inabitabile per gli esseri umani, anche se non necessariamente per tutti i mammiferi, molti dei quali hanno temperature corporee più altre delle nostre.

    Quali concentrazioni di CO2 occorrerebbero per arrivare a queste temperature? Questo lo discute Stuart Staniford nel suo blog "Early Warning". Si stima oggi un fattore di circa 3 °C di aumento medio delle temperature globali per ogni raddoppio della concentrazione di CO2 a partire dalla concentrazione pre-industriale di 280 ppm. Questo vuol dire che 2 raddoppi, ovvero circa 1000 ppm di CO2, ci porterebbero alle condizioni di quel mondo inabitabile di cui ci parlano Sherwood e Huber.

    Secondo gli scenari dell'ultimo rapporto IPCC, sarebbe possibile arrivare a 1000 ppm di CO2 verso la fine del secolo XXI. In questo caso, ci troveremmo vicini alla condizione simulata da Sherwood e Huber. E' improbabile che continueremo a bruciare carbone fino a quel momento, ma va notato che non è strettamente necessario. L'aumento di temperatura di cui stiamo parlando potrebbe essere causato da altri gas serra, come il metano che potrebbero essere emessi all'improvviso e in grande quantità se superiamo il "tipping point" della decomposizione degli idrati. Neppure possiamo escludere che il fattore di sensibilità dell'effetto della CO2 sia sottostimato. Potrebbe essere più alto di 3 °C per raddoppiamento. Infine, notiamo che stiamo parlando di eventi fisicamente possibili, dato che sono già avvenuti. Temperature come quelle di cui stiamo parlando c'erano nel  Paleocene e nel cosiddetto "PETM" (Paleocene-Eocene thermal maximum) che si è verificato circa 55 milioni di anni fa.

    Insomma, non si può escludere che il pianeta diventi in gran parte inabitabile per gli esseri umani in qualche secolo, o forse anche prima della fine di questo secolo. I pochi sopravvissuti - posto che ce ne fossero - potrebbero soltanto vivere in zone vicine ai circoli polari; Siberia, Groenlandia, Canada e - forse - Antartide. Tutto questo sa di film dell'orrore o di catastrofismo super-spinto. Vero, però non è catastrofismo quantificare anche l'ipotesi peggiore; e questa certamente lo è.

    D'altra parte, non c'è nemmeno bisogno di arrivare alle condizioni estreme considerate da Sherwood e Huber per trovare condizioni di temperatura tali da rendere difficile la vita umana; anche se non immediatamente mortale. Uno dei problemi è che abbiamo costruito gran parte della nostra edilizia residenziale senza minimamente preoccuparci del cambiamento climatico: moltissimi appartamenti moderni in Italia e nel sud-Europa in generale sono invivibili in estate senza l'aria condizionata. E se c'è un black out e l'aria condizionata manca per qualche giorno? E se uno non se la può permettere? Beh, allora è male per chi è anziano o non è in buona salute; di caldo si può benissimo morire. Succede, ed è già successo, per esempio, con la grande ondata di calore del 2003 che causò almeno 30.000 morti in Europa.

    Certo, non possiamo attribuire uno specifico evento come l'ondata di calore del 2003 al riscaldamento globale ma, con il graduale aumento delle temperature, le ondate di calore sono destinate a diventare sempre più frequenti e più intense. E allora non ci resta che l'aria condizionata per proteggerci. Peccato che per avere aria condizionata bisogna bruciare petrolio e che quindi si contribuisce al riscaldamento globale......


    Nota: l'articolo di Sherwood e Huber è disponibile soltanto a pagamento. Credo però che sia corretto scambiarselo nell'ambito del "peer to peer". Chi non ha un'abbonamento a ScienceDirect e ne vuole una copia, mi scriva pure (ugo.bardichiocciolaunifi.it) che glie la spedisco.

    sabato 10 luglio 2010

    Clima e parrucconi


    Di Ugo Bardi



    Questa vignetta è abbastanza nota e, ovviamente, va intesa come uno scherzo. Però viene anche da domandarsi se non ci sia qualcosa di vero. Non potrebbe essere che il cambiamento climatico influisca sul modo di vestire della gente?

    L'idea è interessante e possiamo cominciare a esplorarla partendo dai dati che abbiamo sul clima del passato. Qui di seguito vedete un'immagine presa dall'ultimo rapporto dell'IPCC (riprodotta su "skeptical science") che riassume i dati paleoclimatici. E' il famoso "hockey stick," la "mazza da hockey" che ha dato origine a tante polemiche ma che è risultato alla fine essere sostanzialmente corretto.



    Nel grafico, si intravvedono i due periodi storici noti come "il periodo caldo medievale" con un massimo verso il 1000-1100 e la "piccola era glaciale" con un minimo di temperature, grosso modo, verso il 1600-1700. Sono entrambi effetti piuttosto deboli, qualche decimo di grado in più o in meno. Non c'è dubbio che la "piccola era glaciale" sia esistita; un po' meno chiaro il periodo caldo medioevale, ma qualcosa c'è.
    Allora, cosa possiamo dire sulla moda dei tempi? Come si vestiva la gente al tempo della "piccola era glaciale" del "periodo caldo medievale"?

    Se cominciamo dalla piccola era glaciale, sembra che un effetto ci sia stato per davvero. Il '600 è stato il tempo delle parrucche per uomini e per donne. Guardate questa immagine che arriva da wikipedia.



    Sono parrucche seicentesche, veramente molto esagerate ma che probabilmente davano un certo "status" a chi le indossava. Nel '700, le parrucche si erano molto ridotte in dimensioni e peso, ma rimanevano comunque in uso. (immagine da wikipedia, 1784)





    Ora le parrucche sicuramente tenevano bene al caldo la testa di chi le portava e non è fuori luogo dire che il raffreddamento dei tempi ne aveva favorito la diffusione. Notate anche, nel quadro del '600, che razza di palandrani indossa la gente nel quadro. Evidentemente, erano ben paludati contro il freddo.

    Nell'800, le parrucche sono gradualmente sparite. Ci sono stati, evidentemente, dei fattori sociali ed economici, ma la sparizione coincide bene con il graduale aumento delle temperature.

    E' molto più difficile, invece, trovare un effetto del genere per il periodo caldo medievale. Un problema è che non ci sono tante immagini di quel tempo. Spigolando qua e là, ho trovato questa che viene dalla Germania e risale probabilmente al secolo XII (da wikipedia)


    Non è che siano tutti in costume da bagno ma, perlomeno, nessuno sembra che portasse parrucconi o palandrane. In questa immagine - come in molte altre del tempo - vediamo gente vestita con tuniche corte, mantelli non competamente coprenti, niente cappelli o capelli molto lunghi. E' una debole evidenza che questo modo di vestire sia il risultato di un clima più caldo; ma perlomeno rinforza l'idea che le parrucche del '600 e del '700 siano state il risultato di un raffreddamento.


    Ho anche domandato anche alla dott.sa Naomi Kato, che è una specialista di storia dell'abbigliamento, se c'era qualche evidenza di questi fenomeni in Giappone. Mi ha detto che non le risulta che in Giappone la gente si vestisse in modo più leggero durante il periodo caldo medievale ma che, si, durante la "piccola era glaciale", in Giappone erano venuti di moda dei pesanti vestiti di cotone che prima non usavano. Anche questo sembra confermare i dati sperimentali.

    Tutto questo non basta certamente a fare un'esame completo della storia climatica dell'ultimo millennio, ma ci da una certa idea che i risultati degli esami dei "proxy" hanno una logica. Le variazioni climatiche del passato  - molto probabilmente - si sono riflesse sul modo di vestire.

    Una volta entrati in questa logica, possiamo divertirci a correlare la moda del ventesimo secolo con l'andamento delle temperature. Ecco i dati aggiornati (da James Hansen)


    Anche qui, le correlazioni sono qualitative, ma ci sono. Per esempio, fino agli anni '20, le donne Europee portavano la gonna lunga fino ai piedi. La moda delle gonne corte è arrivata in corrispondenza al riscaldamento cominciato - appunto - negli anni 20-30.

    Dalle due immagini che seguono, sembra proprio che l'impennata delle temperature degli anni '20 si sia fatta sentire sulla moda femminile







    Notate poi come - a partire dagli anni '60 - uomini e donne hanno smesso di portare cappelli; anche questo sembra corrispondere a una fase di riscaldamento, quella tuttora in corso.

    Oggi, con le temperature più alte mai registrate nell'ultimo millennio, il modo di vestire di uomini e donne si è molto semplificato. Basta confrontare come era vestita vestita normalmente la gente nell'800 per vedere che un grado in più di differenza ha avuto i suoi effetti. Questo esempio è del 1823 (link). Guardate che razza di palandrana porta questo qui.



    Oggi vanno più di moda cose di questo genere (da Wikipedia):




    Certo, da qui a dire che il tanga sulle spiagge è il risultato del riscaldamento globale, ce ne passa un bel po'. Però, alla fine dei conti, qualcosa di vero c'è!


    martedì 6 luglio 2010

    Se siamo fortunati.....

    Il cambiamento climatico è un problema di sicurezza nazionale superiore a tutti gli altri, per tutte le nazioni, e lo sarà per parecchi secoli. Ovvero, se siamo fortunati.

    Gen. Gordon Sullivan
    Ex- capo di stato maggiore dell'esercito degli Stati Uniti

    Da "Climate Crook of the Week"

    sabato 3 luglio 2010

    I soliti catastrofisti



    Quello che vedete qui sopra è un grafico storico della concentrazione atmosferica del metano (fonte). A un certo punto, sembrava che si volesse stabilizzare, ma negli ultimi anni ha preso una netta tendenza a risalire. Il metano, a differenza del CO2, non viene generato dalla combustione dei fossili, per cui questo aumento potrebbe essere un effetto di ritorno (un "feedback") del riscaldamento planetario in corso. Non si può escludere che sia un'indicazione che la "bomba a clatrati" sta cominciando a esplodere. Ovvero, l'aumento potrebbe indicare che lo scioglimento dei ghiacci sta portando al rilascio di grandi quantità di metano intrappolato in forma di idrati (o clatrati). Il metano è un gas serra molto più potente del CO2 e questo rilascio potrebbe auto-intensificarsi, portando a un riscaldamento globale enormemente più rapido e disastroso di qualsiasi cosa che i modelli abbiano previsto finora. (vedi qui, qui e qui).

    Ovviamente, soltanto i soliti catastrofisti potrebbero pensare a una cosa del genere.



    Dal blog "The Cost of Energy"  di "Lou" (traduzione di Ugo Bardi)

    Da un paio di anni sto facendo un esperimento informale. Ho chiesto a persone che conosco personalmente, o che sono "amici elettronici" dove pensano che siamo diretti sui fronti del clima e dell'energia. Ho scelto soltanto persone che, per quello che ne posso dire, sanno veramente qualcosa a proposito di uno o entrambe gli argomenti e sono qualcosa di più di qualcuno che dice la sua online. Ho cercato persone con una rosa di vedute piuttosto ampia e non ho selezionato gente che la pensa come me. Le regole di base erano che io non avrei mai rivelato quello che una certa persona aveva detto, indipendentemente dall'attribuzione, o identificato nessuna delle persone alle quali avevo fatto le domande.

    Ho trovato sorprendenti i risultati. Solo in un caso le vere impressioni della persona corrispondevano alle sue espressioni pubbliche, ma in questo caso queste erano molto pessimistiche. In tutti gli altri casi la risposta è stata da un po' più pessimistica a significativamente più pessimistica di quanto la persona non apparisse pubblicamente. Mentre alcune delle persone alle quali ho chiesto sarebbero riconoscibili ai lettori di questo sito, nessuno di loro era un politico o uno scienziato di altro profilo (mi piacerebbe enormemente avere la possibilità di una conversazione privata col presidente Obama, alcune figure chiave del Senato degli Stati Uniti, climatologi, eccetera, e sentire che cosa loro pensano veramente di queste cose dopo che si sono surbiti un cocktail robusto o altre forme potenti di solventi di inibizioni. Chiunque abbia le connessioni che potrebbere fare avvenire una cosa del genere, mi mandi un e-mail)


    Non voglio saltare a nessuna conclusione sul fatto che "gli esperti sanno che siamo fottuti e hanno paura di dirlo" sulla base di un campione così piccolo e decisamente non scientifico. Ma mi fa impressione pensare a quanto ci stiamo sforzando per evitare di arrivare a certe conclusioni ovvie e terrificanti.