lunedì 10 maggio 2010

Siamo tutti Neanderthal


Un bambino (o forse una bambina) neanderthal di circa 30.000 anni fa ricostruito sulla base dei resti fossili all'Università di Zurigo.

Notizie eccezionali dall'ultimo numero di "Science" (7 Maggio 2010). I Neanderthal sono vivi! Siamo tutti un po' Neanderthal.

Potete trovare un riassunto dell'articolo su "Le Scienze" su "Earth News." In sostanza, un gruppo di scienziati, guidati dal prof. Green dell'Università di Santa Cruz, California, hanno esaminato il genoma dei Neanderthal estratto da ossa trovate in caverne in Europa e non ancora fossilizzate. E' stato un lavoro molto complesso e difficile, ma alla fine dei conti hanno trovato che il genoma dei Neanderthal contiene tracce di "interbreeding" con noi Sapiens. Solo delle tracce e, ovviamente, con tutte le incertezze del caso. Ma questo vuol dire che è perlomeno molto probabile che fra i nostri remoti antenati ci sia anche qualche Neanderthal. Era una cosa dibattuta da anni, ma dai resti scheletrici non si poteva veramente dire se i Neanderthal e i Sapiens erano in grado di generare figli. Adesso lo sappiamo: era possibile ed è successo, perlomeno qualche volta.

Non so cosa ne pensate voi; ma è una cosa che a me fa immensamente piacere. I Neanderthal mi sono sempre stati simpatici: non erano affatto i bruti ignoranti che per tanti anni si è detto che erano (come ho scritto qui). Erano un po' diversi da noi, sicuramente più robusti, probabilmente meno bravi a costruire aggeggi. Ma erano perfettamente adattati al loro mondo.

Tutta la faccenda mi fa venire in mente la famosa storia dell'antico dibattito sull'evoluzione fra Thomas Huxley e l'arcivescovo Wilberforce. L'avete sentita raccontare tutti, immagino; c'è quel punto culminante in cui Wilberforce cerca di prendere in giro Huxley chiedendogli se è per parte di madre o di padre che sostiene di essere disceso dalle scimmie. E Huxley, a muso duro, gli risponde che preferisce avere una scimmia come antenato piuttosto che un arcivescovo che usa la sua intelligenza per raccontare fesserie. Bene, io preferisco di gran lunga avere dei Neanderthal come antenati piuttosto che certi Sapiens che vedo in giro oggi, mentitori patologici che passano la loro vita a imbrogliare la gente.

La storia dei Neanderthal non ha niente a che vedere con le fesserie che ci sembrano tanto importanti oggi, i politici, le crisi della borsa e tutto il resto. Ci preoccupiamo di sapere se il picco del petrolio sarà oggi o fra due anni. Quando parliamo di cambiamento climatico, quello che succederà fra cento anni ci sembra talmente lontano da non essere minimamente interessante. Ma quando parliamo dei Neanderthal, parliamo di una storia che è cominciata forse mezzo milione di anni fa e si è conclusa trentamila anni fa - un arco di tempo lunghissimo. Chi lo sa quante cose sono successe, quanto hanno girato per l'Europa (a quel tempo in gran parte ghiacciata) i nostri antenati. Si sono incontrati, osservati, picchiati, amati. Si saranno scambiati punte di freccia, pelli di orso, statuette della dea della fertilità, e chissà che altro. Di tutto quel tempo non è rimasto quasi niente; dei Neanderthal solo qualche osso e qualche tomba dove - forse - il corpo del defunto è stato seppellito coperto di fiori.

Cosa rimarrà di noi fra centomila anni? Non lo possiamo sapere. Ma è bello sapere che i Neanderthal vivono ancora. Viva Neanderthal!

domenica 9 maggio 2010

"Cassandra" su Springer



"Effetto Cassandra" riverbera su Springer, la casa editrice internazionale che una volta andava sotto il nome di "Springer-Verlag". Gli editori di Springer hanno accettato la mia proposta di scrivere un libro che sarà intitolato "The Limits to Growth Revisited" (la proposta originale del titolo era "The Cassandra Effect" ma gli editori hanno preferito una versione più "seria").

Il libro è una rivisitazione della storia e dei contenuti del libro noto in Italia come "I Limiti dello Sviluppo" che fu pubblicato per la prima volta nel 1972 a opera di un gruppo di autori del MIT sponsorizzati dal club di Roma. Osannato inizialmente, poi criticato e finalmente consegnato alla pattumiera della storia da una campagna propagandistica che ha generato la leggenda che fosse "sbagliato": Tuttavia, lo studio riemerge oggi come particolarmente profetico per via delle crisi finanziarie in atto. Sembrerebbero essere un segnale dell'inizio di quel collasso sistemico previsto già nel 1972 per i primi decenni del ventunesimo secolo.

Il libro non è a proposito del cambiamento climatico, ma conterrà un capitolo su come i metodi messi in atto negli anni 1980 per demonizzare i "Limiti" sono gli stessi di quelli oggi usati per demonizzare la scienza del clima - la differenza è che oggi sono metodi più raffinati. Ma è sempre la stessa storia: bugie e propaganda contro scienza e spesso le bugie vincono perché la gente si fa imbrogliare con gran facilità.

Pubblicare una monografia su Springer è un grosso successo personale, ma anche di una certa "visione" che io e altri stanno cercando di portare avanti; la visione "dinamica" del sistema economico che non si può continuare a considerare come svincolato dagli ecosistemi che gli forniscono materie prime. Infatti, il mio libro farà parte di una serie che si intitolerà "Springer brief in energy analysis". La serie è coordinata da Charles Hall e si preannuncia estremamente interessante.

Come avevo detto in un altro post, con "Cassandra" mi sto levando parecchi sassolini dalle scarpe. Con il libro su Springer, posso levarmi anche diversi pietroni. Il problema è che ora bisogna che mi metta a scriverlo. In più devo tenere un corso questo semestre, due il prossimo, devo occuparmi del mio laboratorio, cercare soldi per dare stipendi ai miei studenti, fare il presidente di ASPO-Italia..... Insomma ne avrò di cose da fare!

Questo vuol dire che dovrò ridurre l'impegno con "Effetto Cassandra". Finora ho pubblicato un post al giorno (sassolini, sassolini.....) ma, ovviamente, non posso tenere questo ritmo e scrivere anche un libro nel frattempo. Quindi, aspettatevi una diminuzione del flusso dei post, ma "Effetto Cassandra" non sparisce - assolutamente no!

Se poi qualcuno di voi vuole prendere in mano la torcia e scrivere su "Cassandra" - i vostri contributi sono benvenuti.

E vai.........................!!!!!

venerdì 7 maggio 2010

255 prestigiosi scienziati a sostegno della scienza del clima.

Gli scienziati si stanno accorgendo che la loro politica di comunicazione (anzi, la totale mancanza della stessa) rischia di distruggere i fondamenti stessi della scienza moderna. Mentre fino ad oggi il mestiere dello scienziato era "pubblicare o perire" (publish or perish), adesso bisogna cominciare a pensare in termini di "pubblicizzare o perire" o - meglio - "comunicare o perire".

Così, vediamo una reazione che si sta facendo anche abbastanza efficace contro la campagna di disinformazione messa in atto dalle lobby dei combustibili fossili. Oggi, la prestigiosa rivista "Science" pubblica un comunicato firmato da 255 membri dell'accademia delle scienze degli Stati Uniti. Un gruppo importante che arriva a dare sostegno ai climatologi sotto attacco. Arriva forse un po' in ritardo, ma - come la cavalleria nei film western - l'importante è che arrivi.

Questo testo arriva in anteprima da "Climate Progress".Ve lo passo prima in traduzione, poi nell'originale in inglese.

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Il cambiamento climatico e l'integrità della scienza

Climate Progress - 7 Maggio 2010
Traduzione di Ugo Bardi

Siamo profondamente scossi dal recente aumento degli attacchi politici contro gli scienziati in generale e contro gli scienziati del clima in particolare. Tutti i cittadini dovrebbero capire alcuni punti fondamentali della scienza. Esiste sempre una certa incertezza associata con le conclusioni scientifiche. La scienza non prova mai niente in termini assoluti. Quando qualcuno dice che la società dovrebbe attendere finché gli scienziati non sono assolutamente certi prima di fare qualcosa, è la stessa cosa di dire che la società non dovrebbe mai agire. Per un problema potenzialmente così catastrofico come il cambiamento climatico, non agire pone dei rischi pericolosi per il nostro pianeta.

Le conclusioni della scienza derivano dalla comprensione delle leggi fondamentali, con il supporto di esperimenti di laboratorio, osservazioni della natura e modelli matematici al computer. Come tutti gli esseri umani, gli scienziati fanno degli errori, ma il processo scientifico è progettato in modo da trovarli e correggerli. Questo processo è inerentemente conflittuale; gli scienziati si costruiscono una reputazione e guadagnano visibilità non soltanto con il supportare la saggezza convenzionale, ma anche di più dimostrando che il consenso scientifico è errato e che c'è una spiegazione migliore. Questo è quello che Galileo, Pasteur, Darwin e Einstein hanno fatto. Ma quando alcune conclusioni sono state provate, messe in discussione, e esaminate in modo completo e profondo, guadagnano la reputazione di "teorie ben assodate" e sono spesso descritte come "fatti".

Per esempio, esiste una forte evidenza che il nostro pianeta esiste da circa 4,5 miliardi di anni (la teoria dell'origine della Terra), che il nostro universo è nato da un singolo evento circa 14 miliardi di anni fa (la teoria del Big Bang), e che gli organismi che vivono oggi si sono evoluti da organismi che sono vissuti nel passato (la teoria dell'evoluzione). Anche se queste teorie sono largamente accettate dalla comunità scientifica, chiunque potesse provarle errate guadagnerebbe tuttavia una grande fama. Il cambiamento climatico si trova oggi in questa categoria: esiste evidenza forte, comprensiva, consistente e obbietiva che gli esseri umani stanno cambiando il clima in modi che minacciano la nostra società e gli ecosistemi da cui dipendiamo

Molti dei recenti attacchi contro la scienza del clima e - in modo più preoccupante - contro gli scienziati del clima da parte dei negazionisti climatici sono tipicamente generati da interessi particolari o da dogmi, non da uno sforzo onesto di fornire una spiegazione alternativa che soddisfi l'evidenza in modo credibile. Il Pannello Intergovernativo sulla Scienza del Clima (IPCC) e altri resoconti scientifici sul cambiamento climatico, hanno fatto, come ci si può aspettare normalmente, qualche errore. Quando gli errori vengono fatti notare, si correggono. Ma non c'è nulla nemmeno vagamente identificato negli eventi recenti che cambia le conclusioni fondamentali a proposito del cambiamento climatico:

(i) Il pianeta si sta scaldando a causa dell'aumento della concentrazione di gas climalteranti nella nostra atmosfera. Un inverno nevoso a Washington non cambia questo fatto.

(ii) La parte principale dell'aumento della concentrazione di questi gas nel secolo passato è dovuta all'attività umana, specialmente all'uso dei combustibili fossili e alla deforestazione.

(iii) Le cause naturali hanno sempre un ruolo nel modificare il clima terrestre, ma sono oggi sopraffatte dai cambiamenti causati dagli esseri umani.

(iv) Il riscaldamento del pianeta causerà il cambiamento di molti altri fenomeni climatici a velocità mai viste in tempi moderni, incluso aumenti nella velocità della crescita del livello del mare e alterazioni nei cicli idrogeologici. Le concentrazioni in aumento di biossido di carbonio stanno rendendo più acidi gli oceani.

(v) La combinazione di questi complessi cambiamenti climatici minaccia le comunità e le città costiere, le nostre risorse di cibo e di acqua, gli ecosistemi marini e di acqua dolce, le foreste, gli ambienti montani a grandi altezze e molto di più.

Si può dire molto di più, ed è stato detto, dalle società scientifiche mondiali, dalle accademie nazionali, ma queste conclusioni dovrebbero essere sufficienti per indicare le ragioni per le quali gli scienziati sono preoccupati per quello che le generazioni future dovranno fronteggiare se continuiamo nelle nostre pratiche senza cambiarle. Esortiamo i politici e il pubblico a muoversi immediatamente al riguardo delle cause del cambiamento climatico, incluso il consumo senza limiti dei combustibili fossili.

Chiediamo anche la fine delle minacce in stile McCarthy di incriminare i nostri colleghi basate su voci incontrollate e colpevolezza per associazione, all'intimidazione degli scienziati da parte di politici che cercano di sviare l'attenzione lontano dalla necessità di agire, come pure alla diffusione di pure menzogne sugli scienziati. La società ha due scelte: possiamo ignorare la scienza e nascondere la testa nella sabbia, sperando di essere fortunati, oppure possiamo agire nell'interesse pubblico per ridurre la minaccia del cambiamento climatico rapidamente e in modo sostanziale. Le buone notizie sono che esistono delle azioni intelligenti ed efficaci. Ma il ritardo non deve essere un'opzione.

P. H. Gleick,* R. M. Adams, R. M. Amasino, E. Anders, D. J. Anderson, W. W. Anderson, L. E. Anselin, M. K. Arroyo, B. Asfaw, F. J. Ayala, A. Bax, A. J. Bebbington, G. Bell, M. V. L. Bennett, J. L. Bennetzen, M. R. Berenbaum, O. B. Berlin, P. J. Bjorkman, E. Blackburn, J. E. Blamont, M. R. Botchan, J. S. Boyer, E. A. Boyle, D. Branton, S. P. Briggs, W. R. Briggs, W. J. Brill, R. J. Britten, W. S. Broecker, J. H. Brown, P. O. Brown, A. T. Brunger, J. Cairns, Jr., D. E. Canfield, S. R. Carpenter, J. C. Carrington, A. R. Cashmore, J. C. Castilla, A. Cazenave, F. S. Chapin, III, A. J. Ciechanover, D. E. Clapham, W. C. Clark, R. N. Clayton, M. D. Coe, E. M. Conwell, E. B. Cowling, R. M Cowling, C. S. Cox, R. B. Croteau, D. M. Crothers, P. J. Crutzen, G. C. Daily, G. B. Dalrymple, J. L. Dangl, S. A. Darst, D. R. Davies, M. B. Davis, P. V. de Camilli, C. Dean, R. S. Defries, J. Deisenhofer, D. P. Delmer, E. F. Delong, D. J. Derosier, T. O. Diener, R. Dirzo, J. E. Dixon, M. J. Donoghue, R. F. Doolittle, T. Dunne, P. R. Ehrlich, S. N. Eisenstadt, T. Eisner, K. A. Emanuel, S. W. Englander, W. G. Ernst, P. G. Falkowski, G. Feher, J. A. Ferejohn, A. Fersht, E. H. Fischer, R. Fischer, K. V. Flannery, J. Frank, P. A. Frey, I. Fridovich, C. Frieden, D. J. Futuyma, W. R. Gardner, C. J. R. Garrett, W. Gilbert, R. B. Goldberg, W. H. Goodenough, C. S. Goodman, M. Goodman, P. Greengard, S. Hake, G. Hammel, S. Hanson, S. C. Harrison, S. R. Hart, D. L. Hartl, R. Haselkorn, K. Hawkes, J. M. Hayes, B. Hille, T. Hökfelt, J. S. House, M. Hout, D. M. Hunten, I. A. Izquierdo, A. T. Jagendorf, D. H. Janzen, R. Jeanloz, C. S. Jencks, W. A. Jury, H. R. Kaback, T. Kailath, P. Kay, S. A. Kay, D. Kennedy, A. Kerr, R. C. Kessler, G. S. Khush, S. W. Kieffer, P. V. Kirch, K. Kirk, M. G. Kivelson, J. P. Klinman, A. Klug, L. Knopoff, H. Kornberg, J. E. Kutzbach, J. C. Lagarias, K. Lambeck, A. Landy, C. H. Langmuir, B. A. Larkins, X. T. Le Pichon, R. E. Lenski, E. B. Leopold, S. A. Levin, M. Levitt, G. E. Likens, J. Lippincott-Schwartz, L. Lorand, C. O. Lovejoy, M. Lynch, A. L. Mabogunje, T. F. Malone, S. Manabe, J. Marcus, D. S. Massey, J. C. McWilliams, E. Medina, H. J. Melosh, D. J. Meltzer, C. D. Michener, E. L. Miles, H. A. Mooney, P. B. Moore, F. M. M. Morel, E. S. Mosley-Thompson, B. Moss, W. H. Munk, N. Myers, G. B. Nair, J. Nathans, E. W. Nester, R. A. Nicoll, R. P. Novick, J. F. O'Connell, P. E. Olsen, N. D. Opdyke, G. F. Oster, E. Ostrom, N. R. Pace, R. T. Paine, R. D. Palmiter, J. Pedlosky, G. A. Petsko, G. H. Pettengill, S. G. Philander, D. R. Piperno, T. D. Pollard, P. B. Price, Jr., P. A. Reichard, B. F. Reskin, R. E. Ricklefs, R. L. Rivest, J. D. Roberts, A. K. Romney, M. G. Rossmann, D. W. Russell, W. J. Rutter, J. A. Sabloff, R. Z. Sagdeev, M. D. Sahlins, A. Salmond, J. R. Sanes, R. Schekman, J. Schellnhuber, D. W. Schindler, J. Schmitt, S. H. Schneider, V. L. Schramm, R. R. Sederoff, C. J. Shatz, F. Sherman, R. L. Sidman, K. Sieh, E. L. Simons, B. H. Singer, M. F. Singer, B. Skyrms, N. H. Sleep, B. D. Smith, S. H. Snyder, R. R. Sokal, C. S. Spencer, T. A. Steitz, K. B. Strier, T. C. Südhof, S. S. Taylor, J. Terborgh, D. H. Thomas, L. G. Thompson, R. T. TJian, M. G. Turner, S. Uyeda, J. W. Valentine, J. S. Valentine, J. L. van Etten, K. E. van Holde, M. Vaughan, S. Verba, P. H. von Hippel, D. B. Wake, A. Walker, J. E. Walker, E. B. Watson, P. J. Watson, D. Weigel, S. R. Wessler, M. J. West-Eberhard, T. D. White, W. J. Wilson, R. V. Wolfenden, J. A. Wood, G. M. Woodwell, H. E. Wright, Jr., C. Wu, C. Wunsch, M. L. Zoback

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Climate Change and the Integrity of Science

We are deeply disturbed by the recent escalation of political assaults on scientists in general and on climate scientists in particular. All citizens should understand some basic scientific facts. There is always some uncertainty associated with scientific conclusions; science never absolutely proves anything. When someone says that society should wait until scientists are absolutely certain before taking any action, it is the same as saying society should never take action. For a problem as potentially catastrophic as climate change, taking no action poses a dangerous risk for our planet.

Scientific conclusions derive from an understanding of basic laws supported by laboratory experiments, observations of nature, and mathematical and computer modeling. Like all human beings, scientists make mistakes, but the scientific process is designed to find and correct them. This process is inherently adversarial—scientists build reputations and gain recognition not only for supporting conventional wisdom, but even more so for demonstrating that the scientific consensus is wrong and that there is a better explanation. That’s what Galileo, Pasteur, Darwin, and Einstein did. But when some conclusions have been thoroughly and deeply tested, questioned, and examined, they gain the status of “well-established theories” and are often spoken of as “facts.”
For instance, there is compelling scientific evidence that our planet is about 4.5 billion years old (the theory of the origin of Earth), that our universe was born from a single event about 14 billion years ago (the Big Bang theory), and that today’s organisms evolved from ones living in the past (the theory of evolution). Even as these are overwhelmingly accepted by the scientific community, fame still awaits anyone who could show these theories to be wrong. Climate change now falls into this category: There is compelling, comprehensive, and consistent objective evidence that humans are changing the climate in ways that threaten our societies and the ecosystems on which we depend.
Many recent assaults on climate science and, more disturbingly, on climate scientists by climate change deniers are typically driven by special interests or dogma, not by an honest effort to provide an alternative theory that credibly satisfies the evidence. The Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) and other scientific assessments of climate change, which involve thousands of scientists producing massive and comprehensive reports, have, quite expectedly and normally, made some mistakes. When errors are pointed out, they are corrected. But there is nothing remotely identified in the recent events that changes the fundamental conclusions about climate change:

(i) The planet is warming due to increased concentrations of heat-trapping gases in our atmosphere. A snowy winter in Washington does not alter this fact.
(ii) Most of the increase in the concentration of these gases over the last century is due to human activities, especially the burning of fossil fuels and deforestation.
(iii) Natural causes always play a role in changing Earth’s climate, but are now being overwhelmed by human-induced changes.
(iv) Warming the planet will cause many other climatic patterns to change at speeds unprecedented in modern times, including increasing rates of sea-level rise and alterations in the hydrologic cycle. Rising concentrations of carbon dioxide are making the oceans more acidic.
(v) The combination of these complex climate changes threatens coastal communities and cities, our food and water supplies, marine and freshwater ecosystems, forests, high mountain environments, and far more.
Much more can be, and has been, said by the world’s scientific societies, national academies, and individuals, but these conclusions should be enough to indicate why scientists are concerned about what future generations will face from business-as-usual practices. We urge our policy-makers and the public to move forward immediately to address the causes of climate change, including the un restrained burning of fossil fuels.

We also call for an end to McCarthy-like threats of criminal prosecution against our colleagues based on innuendo and guilt by association, the harassment of scientists by politicians seeking distractions to avoid taking action, and the outright lies being spread about them. Society has two choices: We can ignore the science and hide our heads in the sand and hope we are lucky, or we can act in the public interest to reduce the threat of global climate change quickly and substantively. The good news is that smart and effective actions are possible. But delay must not be an option.

giovedì 6 maggio 2010

Questi scienziati sono proprio dei nerd


In un post precedente, non sono stato per niente tenero con gli scienziati dell'IPCC che ho definito dei nerd; bravi nelle loro cose, ma incapaci di comunicarle al pubblico. In questo post, parto da un articolo di George Monbiot per commentare ulteriormente su questo punto.

Dice Monbiot a proposito della crisi della scienza che:

La sfiducia è stata moltiplicata dagli editori delle riviste scientifiche, le cui pratiche monopolistiche fanno si che i supermercati sembrino degli angioletti, e che sono dovute da tempo per un'inchiesta da parte della Commissione alla Competizione. Gli editori non pagano per la maggior parte del materiale che pubblicano eppure, a meno che voi non siate membri di un'istituzione accademica, vi fanno pagare 20 sterline o più per accedere a un singolo articolo. In certi casi, fanno pagare alle biblioteche decine di migliaia di sterline per un abbonamento annuale. Se gli scienziati vogliono che la gente provi perlomeno a capire il loro lavoro, dovrebbero far partire una rivolta su larga scala contro le riviste che pubblicano i loro lavori.


Questo che dice Monbiot è perfettamente vero ed è anche perfettamente orribile. Come è possibile che gli scienziati facciano una cosa così scema? Prendono i loro stipendi dai fondi pubblici, ovvero dalle tasse della gente, ma se la gente vuole sapere che cosa viene fatto con i loro soldi, deve pagare dei privati ai quali gli scienziati hanno regalato il loro lavoro. Come poi si possono lamentare gli scienziati se c'è chi li tratta a pesciate in faccia? E non è pesce azzurro, sono proprio dei tonni interi che ricevono in faccia sbatacchiati con tutta la forza.

Su questo punto, vi posso raccontare una storia. Nel 1996 avevo pensato di poter fare qualcosa per rimediare all'assurda situazione che descrive Monbiot. A quell'epoca lavoravo principalmente in un campo di ricerca un po' astruso che va sotto il nome di "Scienza delle superfici". Con l'internet allora ancora una novità, ma che cominciava a consolidarsi, era parso a me e ai miei collaboratori di poter eliminare il costo delle riviste scientifiche pubblicando in un sito aperto al pubblico che chiamammo "Surface Science Forum". Nello stesso periodo, lavorai anche a qualcosa di simile che si chiamava il "Surface Web".

Per qualche ragione, mi è capitato abbastanza spesso nella vita di trovarmi un po' in anticipo rispetto al resto del mondo. Il "Surface Science Forum" - in particolare - era un prototipo di informazione scientifica libera sul web, una specie di precursore degli attuali "open journals." Ma i tempi non erano ancora maturi. Il Surface Science Forum ebbe un successo piuttosto modesto e non riuscì mai veramente a decollare. Nel 2000, cominciavo a occuparmi di cose diverse dalla scienza delle superfici e decidemmo di chiudere il sito. Lo potete ritrovare ancora, per vostra curiosità, a questo link.

Quali sono state le ragioni del fallimento del forum? Nei quattro anni in cui è esistito il Surface Science Forum ho fatto il possibile per interessare i colleghi e convincerli a pubblicare i loro lavori in un sito dove sarebbero stati visibili al pubblico. La risposta è stata, di solito, deprimente. Più che altro, è stata del tipo "abbiamo sempre fatto in un certo modo, perché dovremmo cambiare"?

L'inerzia del mondo accademico è qualcosa che va vista sul campo per crederci. Sono veramente dei nerd, incapaci di comunicare con il mondo esterno. Fra le altre cose, la carriera di un accademico all'università dipende quasi esclusivamente da un astruso sistema di punteggi che sono determinati da quanti articoli hai pubblicato, in quali riviste, quante volte sono stati citati dai colleghi; il tutto è rigorosamente circoscritto al mondo ristretto dell'accademia. Da notare che il valore di una rivista scientifica non è stabilito in base al numero di lettori, ma in base all' "impact factor", ovvero al numero di volte in cui i lavori della rivista sono citati su altre riviste scientifiche. L'idea non è sbagliata: somiglia molto al metodo che ha google per dare un "ranking" ai siti web che indicizza. Ma il mondo accademico non premia minimamente attività di diffusione della scienza fuori dal mondo accademico stesso.

Va da se che, in queste condizioni, fare divulgazione scientifica o cercare di sostenere la scienza (come viene fatto in questo modesto blog) conta zero, o anche punti negativi. Non c'è da stupirsi se i miei colleghi non si sono mossi a pubblicare sul "Surface Science Forum". Era solo una fatica in più che non gli portava nessun "punto accademico" in più. Il pubblico? Beh, quello.......

Non so come sia che gli accademici si sono ridotti a questa condizione. Si può capire il tentativo di non politicizzare l'accademia; cosa sicuramente buona e lodevole. Ma non si capisce perché regalare il proprio lavoro a delle imprese commerciali (le riviste scientifiche) le quali lo fanno poi pagare al pubblico. E il pubblico questi lavori li ha già pagati con le tasse. Il danno che l'accademia sta ricevendo da questa pratica assurda e stupida mi fa venire in mente quel film giapponese intitolato "Suicide Club." Magari è un club esclusivo, ma non credo che la maggior parte di noi vorrebbero farne parte.

Tuttavia, le cose stanno cambiando. Negli ultimi tempi ho avuto la soddisfazione di vedere la mia idea svilupparsi ed essere ripresa da altre persone che hanno avuto più successo di me. Gli "Open Access" journals sono oggi una realtà. Sono riviste come le altre, per esempio sono soggette a "peer review", soltanto che gli articoli sono liberamente disponibili al pubblico. Ovviamente, il lavoro degli editori deve essere pagato, e questo lo devono fare gli autori. Ma è comunque un costo piccolo rispetto al costo della ricerca e, alla fine dei conti, probabilmente si fa pari con quello che le biblioteche pagano per gli abbonamenti alle riviste.

Le riviste "open access," non hanno sostituito le riviste tradizionali, ma sono in netta crescita. Se avete un momento, date un occhiata al sito dell'mdpi, www.mdpi.com. Se dovete pubblicare un articolo, vi consiglio questa serie di riviste, gli editori sono amichevoli e professionali e il costo è molto ragionevole. C'è anche un sito che raccoglie tutte le riviste scientifiche "open" http://www.doaj.org/

A livello personale, cerco di pubblicare soltanto su riviste "open access". Non lo posso fare sempre, perché non è detto che io sia l'unico autore di un articol, o comunque quello che decide dove si pubblica. Ma faccio il possibile. Piano piano, la rivoluzione dell'open access si sta svolgendo. Il punto è se si svolgerà abbastanza alla svelta da evitare ulteriori danni alla scienza, oltre quelli che ha già ricevuto dall'attacco contro la scienza del clima in corso negli ultimi tempi.

martedì 4 maggio 2010

Le regole del gioco



Mi arriva ogni tanto la critica: "ma tu che non sei un climatologo di professione, come sta che tieni un blog sul clima?" Per rispondere, lasciatemi raccontare una piccola storia che ha a che fare con la mia esperienza di giocatore di scacchi.


Mio zio ingegnere mi ha insegnato a giocare a scacchi quando avevo, credo, sei anni. Da adolescente, ero un grande appassionato anche se, devo dire, non sono mai stato un grande giocatore. Tendevo ad essere interessato più che altro alla teoria - mi mancava la pratica e l'intuito che fanno il vero scacchista. Così, mi è capitato anche di giocare con persone abbastanza quotate a livello nazionale, ma il risultato è sempre stato che mi hanno stracciato con facilità irrisoria.

Da questo, ho imparato che c'è una differenza abissale fra un maestro e un dilettante. Contro un grande maestro, il dilettante non ha più possibilità di vincere di quante ne avrebbe Giacomo Leopardi combattendo a calci rotanti contro Chuck Norris. Ma giocare contro un maestro è un onore anche se sei un dilettante; lo sai che perderai, ma imparerai qualcosa.

Il fatto è che, negli scacchi, sia il maestro che il dilettante obbediscono alle stesse regole. Gli scacchisti fanno delle regole del gioco quasi un feticcio. A parte le regole sul movimento dei pezzi, ce ne sono altre che hanno a che fare con il comportamento dei giocatori. Ce n'è una ferrea che va sotto il nome di "pezzo toccato, pezzo mosso". In un circolo scacchistico, chiedere di "cambiare mossa" è considerato altrettanto di cattivo gusto come sarebbe oggi raccontare una barzelletta sui pedofili a un cardinale.


Avete capito, a questo punto, dove voglio arrivare. Nella scienza del clima, come negli scacchi, c'è posto per tutti purché si seguano le regole del gioco. Nel caso del clima, le regole sono quelle del metodo scientifico. La scienza del clima è basata su queste regole e chiunque può impararla; così come chiunque può imparare a giocare a scacchi. Se hai lavorato seriamente sul clima, anche se non sei un climatologo professionista, non farai mai la figura del fesso anche se ti capita di confrontarti con l'equivalente in campo climatico di un grande maestro scacchistico. Se vi mettete a discutere, è molto probabile che alla fine lui (o lei) ti dimostrerà che hai torto ma - se si discute secondo le regole - imparerai sicuramente qualcosa. E magari può succedere che anche lui (o lei) impari qualcosa da te; perché no? Anche un grande maestro di scacchi può perdere, occasionalmente, contro un dilettante.

Allora è tutto qui. Possiamo parlare di clima senza bisogno di essere dei climatologi professionisti. Alcuni di noi ci hanno studiato sopra più di altri e quindi ne sanno un po' di più; non importa. Facciamo del nostro meglio; se facciamo errori li possiamo correggere. Finché seguiamo le regole, possiamo sempre imparare qualcosa e andare avanti.

Invece, quelli che non rispettano le regole (ovvero i negazionisti climatici) sono come un bambino che non vuol perdere a scacchi e rovescia per terra la scacchiera dalla rabbia. Sono destinati a rimanere ignoranti e ben gli sta.

domenica 2 maggio 2010

Il supermercato della disinformazione


Il libro "Bending Science" ("Distorcere la Scienza") è dedicato più che altro a descrivere l'azione corruttrice delle lobby farmaceutiche nella ricerca medica. Però, le sue conclusioni si possono estrapolare anche ad altri campi della scienza. Dal libro, emerge come ci siano dei metodi consolidati e collaudati per demolire i risultati scomodi e distruggere la reputazione degli scienziati che li hanno ottenuti. Un vero supemercato della disinformazione dove chiunque abbia soldi e pelo sullo stomaco può fare la spesa. Funziona sia con il tabacco come con il riscaldamento globale


Nel 1981, Takeshi Hirayama, ricercatore giapponese aveva pubblicato sul "British Medical Journal" i risultati di uno studio che dimostrava gli effetti negativi sulla salute del "fumo passivo."

Come è ovvio, i risultati di Hirayama rappresentavano un grosso danno per l'industria del tabacco e la reazione fu quasi immediata. Oggi conosciamo tutti i dettagli di questa reazione per via dei risultati dell'azione legale ché il governo degli Stati Uniti aveva intentato contro l'industria del tabacco. Nel 1998, i legali dell'industria ottennero un accordo, il "Tobacco Master Settlement Agreement" (MSA) che prevedeva, fra le altre cose, la pubblicazione di tutti i documenti relativi all'azione di "lobby" dell'industria fino ad allora. Questi documenti sono oggi on line e li potete trovare qui, come pure nel libro di McGarity e Wagner, "Bending Science" ("distorcere la scienza"),

Quindi, sappiamo tutto oggi delle azioni dell'industria del tabacco e, in particolare, di come si è mobilitata per contrastare i risultati di Hirayama. Per prima cosa, l' US Tobacco Institute organizzò l'invio di una serie di lettere alle riviste scientifiche dove si criticava il lavoro di Hirayama. Erano tutte lettere scritte da consulenti e impiegati dell'industria del tabacco, che però non si identificavano mai come tali. Già questa era una tattica estremamente scorretta, ma certamente la lobby del tabacco non aveva intenzione di limitarsi a questo.

Poco dopo la pubblicazione dell'articolo di Hirayama, Marvin Kastembaum, il direttore della sezione di statistica del Tobacco Institute, cominciò ad analizzare il lavoro di Hirayama, cercando dei punti che fossero criticabili. Altri esperti di statistica da lui consultati arrivarono alla conclusione che era "possibile" che Hirayama avesse fatto un errore.

Questo risultato fu sufficiente per Kastenbaum per lanciare una campagna aggressiva di public relations contro Hirayama. Sei mesi dopo la pubblicazione dell'articolo di Hirayama sul fumo passivo, Kastembaum mandava un telegramma all'editore del British Medical Journal dove lo informava dell "errore molto grave" commesso da Hirayama, senza aver previamente informato Hirayama stesso.

Contemporaneamente, il Tobacco Institute aveva preparato una serie di comunicati stampa dove si dava per assodato che Hirayama avesse fatto un errore matematico nella sua analisi che ne inficiava completamente le conclusioni. L'istitituto inviava circa 100 videocassette e 400 audio cassette con la notizia già confezionata ad altrettante stazioni TV e radio. Gli inviati del Tobacco Institute visitarono personalmente più di duecento giornalisti per raccontare la storia.

Gli esperti di statistica consultati dal Tobacco Insitute si sono affrettati a prendere le distanze dalla campagna di stampa che, tuttavia, è stata molto efficace. Nel 1981, la notizia dell' "errore" di Hirayama è apparsa più o meno su tutti i giornali e su molte stazioni radio e TV negli Stati Uniti. Per diversi anni, si è continuato a definire il suo lavoro come "sbagliato" (per esempio, in questo libro del 1986, intitolato "the smoking scare debunked")

In seguito, Hirayama potè dimostrare che non aveva fatto nessun errore. Oggi il suo lavoro si definisce addirittura un "classico" nella ricerca scientifica. Ma il danno fatto allo studio e alla reputazione di Hirayama è stato molto forte. . Ancora oggi, c'è chi continua a sostenere che il fumo passivo non fa male a nessuno, criticando pesantemente sia gli studi sia il personale dell' Environmental Protection Agency (EPA) (vedi per esempio qui).


Ora, non so se a questo punto a voi è venuta in mente la stessa cosa che è venuta in mente a me. Personalmente, sono rimasto impressionato dal fatto che la storia che ho appena raccontato è praticamente identica a quella di un caso recente in campo climatico: quello dell "Hockey Stick", la "mazza da hockey". Sostituite "Michael Mann" a "Takeshi Hirayama" e "Steve McIntyre" a "Marvin Kastembaum" e avete esattamente la stessa storia: uno scienziato pubblica un suo lavoro, questo da fastidio a qualcuno il quale incarica uno statistico di trovarci degli errori. Che gli errori ci siano oppure no, il solo sospetto che ci possano essere è sufficiente per lanciare una campagna mediatica per screditare i risultati e lo scienziato che li ha ottenuti.

E' quello che è successo a Hirayama con il suo studio col fumo passivo; è quello che sta succedendo a Michael Mann e alla sua ricostruzione del clima negli ultimi 2000 anni. Ancora oggi, sebbene il lavoro di Mann sia stato ampiamente confermato e validato, gira su internet la diffusa idea che sia "sbagliato" e Mann stesso è stato soggetto a una campagna di denigrazione senza precedenti nella storia recente della scienza.

I dati riportati su "Bending Science" e sul sito "tobacco documents on line" sono veramente impressionanti e vanno ben oltre il caso di Hirayama e del fumo passivo. Se ne può dedurre l'esistenza di metodi standard e consolidati per screditare la scienza e gli scienziati scomodi. E' una specie di supermercato della disinformazione che, ufficialmente, non dovrebbe esistere ma che, evidentemente, è disponibile a lavorare per chi abbia le risorse per pagare.

Non è un caso che gli stessi propagandisti che si sono formati al tempo dello scontro sul tabacco sono oggi all'opera per screditare i climatologi. Questa storia ce la racconta in dettaglio Jim Hoggan nel suo libro "Climate Cover-up" - per i dettagli potete anche consultare il recente rapporto di Greenpeace. Per esempio, Fred Singer è uno dei propagandisti di professione che è passato dal libro paga dell'industria del tabacco a quella della lobby dei combustibili fossili.

In molti ambienti, a parlare di queste cose si passa da complottisti. Questa è anche un'accusa giusta per gente che vaneggia di allunaggi inesistenti e scie chimiche. Ma qui, purtroppo, ci sono le prove che questi metodi standard sono state usate in modo esteso dall'industria del tabacco fino al 1998. E abbiamo evidenza che li si continuano a usare oggi in campo climatico. La campagna di lettere mandate ai giornali, gli errori statistici in qualsiasi lavoro scientifico, le campagne di demolizione contro specifici scienziati; sono tutte cose che vediamo avvenire in tempo reale, davanti ai nostri occhi. Là fuori, è un gioco di specchi dove non sai mai con chi stai parlando. Quante delle persone che scrivono su internet contro la scienza del riscaldamento globale sono sul libro paga di qualcuno che ha interesse a screditare la scienza?

Insomma, quello che stiamo vedendo nella campagna contro la scienza del clima è, in realtà, una serie di strategie propagandistiche ben note e ben collaudate per chi le sta mettendo in pratica. Purtroppo, sembrano funzionare molto bene.

sabato 1 maggio 2010

Caccia alle streghe

 

Dal Blog "Ocasapiens" di Sylvie Coyaud. Tutta questa faccenda comincia sempre di più a sembrare un sogno, in effetti a un incubo. Stiamo tornando al tempo della caccia alle streghe. 


Arma di Distruzione di Mann




Varie commissioni d’inchiesta hanno riconosciuto l’onestà e il rigore scientifico di Michael Mann, ultima quella dell’università della Pennsylvania dove lavora dal 2006. Senza curarsene il procuratore generale della Virginia Ken Cuccirillo ha trasmesso in data 27 maggio (sic) 2010 all’università della Virginia  un’ingiunzione in cui chiede tutti i ”documenti”, parola definita come
the original and any copies of any written, printed, typed, electronic, or graphic matter of any kind or nature, however produced or reproduced, any book, pamphlet, brochure, periodical, newspaper, letter, correspondence, memoranda, notice, facsimile, e-mail, manual, press release, telegram, report, study, handwritten note, working paper, chart, paper, graph, index, tape, data sheet, data processing card, or any other written, recorded, transcribed, punched, taped, filmed or graphic matter now in your possession, custody or control.

collegati a ricerche per le quali Mann ha ricevuto fondi tra il 1998 e il 2005, dal 1998 o prima e fino ad oggi. E la corrispondenza di e con altri ricercatori di altri enti con i quali era in rapporto, i cui nomi occupano le pagine 9, 10 e 11 del pdf. Con l’aiuto di veggenti, presumo, l’università deve precisare per ogni documento mancante:
(a) the type of document;
(b) whether it is missing, lost, has been destroyed, or has been transferred to the possession, custody, or control of other persons;
(c) the circumstances surrounding, and the authorization for, the disposition described in (b) above;
(d) the date or approximate date of the disposition described in (b) above;
(e) the identity of all persons having knowledge of the circumstances described in (c) above; and
(f) the identity of all persons having knowledge of the document’s contents.
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Qualcuno avvisi i fedeli di Climate Monitor e di F. Battaglia. Così potranno festeggiare l’iniziativa insieme al loro riverito Fred “Il fumo fa bene, la CO2 pure” Singer, sperando nel ritrovamento della ”pistola fumante“ che li liberi finalmente di Mann e della sua mazza da hockey.