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mercoledì 14 ottobre 2015

RIVOLUZIONE E CONTRORIVOLUZIONE VERDE.

di Jacopo Simonetta

L’Expò si prepara a chiudere i battenti e con essa si chiude la festa mondiale dell’industria agro-alimentare nata da quella che fu chiamata “Rivoluzione Verde”.   Un momento idoneo per chiedersi cosa sia stata e come ha condizionato la storia dell’umanità.   Personalmente, ritengo infatti finora che se ne sia ampiamente sottovalutata l’importanza e per spiegarmi farò qualche passo indietro.

La prima vera “rivoluzione” che ha interessato la nostra specie non ha un nome e posso quindi battezzarla “Rivoluzione Narrativa”.   Consistette nello sviluppo di un linguaggio complesso e del pensiero simbolico.   Richiese probabilmente circa 50.000 anni e fece di noi l’unica specie capace di concepire e raccontare storie, avventure, miti, teorie scientifiche e quant’altro.

La seconda fu la ben nota “Rivoluzione Agricola” (o “Neolitica”) che iniziò circa 10 – 12.000 anni fa e prese molto, molto approssimativamente un paio di millenni.   Consistette nell’addomesticamento di alcune specie di piante ed animali e nel passaggio da un’economia basata sulla caccia e la raccolta dei prodotti spontanei ad un’economia basata sull’agricoltura e la pastorizia.
La terza fu la “Rivoluzione Industriale” che, in estrema sintesi, consistette nell’applicazione dell’energia fossile alle manifatture.   Nel giro di un secolo dominava il mondo e nel giro di due era divenuta un fenomeno globale.

La quarta è stata la “Rivoluzione Verde” e molti di noi sono abbastanza vecchi da averla vista di persona.   Sostanzialmente è consistita nell’applicazione dell’energia fossile alla produzione agricola, trasformandola in qualcosa di strutturalmente molto simile all’industria nel giro di una ventina d’anni appena.

Norman Borlaug
In effetti, i prodromi di questo fatale tornante risalgono al primo dopoguerra, quando in Europa e Stati Uniti si cominciarono ad usare in agricoltura i nitrati ed i trattori inizialmente prodotti a scopo militare.   Poi, negli anni ’30 e ’40, alcuni scienziati si preoccuparono di raccogliere in tutto il mondo piante eduli e di utilizzare le moderne conoscenze scientifiche per selezionare da queste delle nuove varietà ibride, molto più produttive.   Probabilmente i due più importanti furono l’americano Norman Borlaug ed il russo Nikolai Vavilov.   Il primo insignito del premio Nobel nel 1970, il secondo morto di fame in carcere per ordine di Stalin, nel 1943.
Nikolai Vavilov


Entrambi, e migliaia di altri fra ricercatori e tecnici, avevano lo scopo comune di “sfamare il mondo”, come già allora si diceva.   Ne avevano ben donde: nei venti anni precedenti milioni di persone erano morte di fame, soprattutto in Russia, India e Cina.    Certo molti fattori avevano concorso a determinare queste tragedie, ma solo un folle avrebbe potuto ignorare che il numero di bocche cominciava, già allora, a soverchiare le capacità produttive dei sistemi agricoli tradizionali in parecchie zone del mondo.

La Guerra mondiale fece passare perfino le carestie in secondo piano, malgrado abbia contribuito a crearne alcune delle peggiori.   Ma il flagello non si fermò con la fine delle ostilità e negli anni ‘60 e ’70 decine di milioni di persone continuarono a morire di fame:  soprattutto in Cina (1959 - 1961), in Congo (1960-61), In India (1965 – 66); In Etiopia (1973-74) ed in Bangladesh (1974).   Per citare solo le maggiori.

In quegli stessi anni cominciavano ad emergere i primi seri dubbi sulla sostenibilità dell’intero sistema economico mondiale e della stessa umanità contemporanea.   Le parole “sovrappopolazione”, “limiti alla crescita” e simili erano sulla bocca di tutti.   Lo spettro del reverendo Malthus aleggiava su tutto ciò che all'epoca si scriveva e si diceva, ma il lavoro cominciato trent'anni prima in Europa, Messico ed USA era oramai maturo per essere messo in pratica su scala globale.   Nel giro di pochi anni quella che fu definita la “modernizzazione” dell’agricoltura portò un aumento delle produzioni agricole ad ettaro compreso fra il doppio ed il triplo, mentre lo sviluppo dei trasporti su grandi distanze permise per la prima volta lo spostamento di migliaia di tonnellate di derrate dai luoghi dove ve n’era eccedenza a quelli dove erano carenti.

Di conseguenza, il numero di persone malnutrite diminuì dal 35% dell’umanità, alla metà degli anni ’60, a poco più del 15% nel 2005, mentre la popolazione mondiale raddoppiava di netto.   Nel frattempo, vere carestie colpirono solo il Sahel e la Nord Korea.   Lo spettro di Malthus fu sbaragliato dai fatti e l’idea che vi fossero dei limiti alle possibilità di sviluppo del genere umano fu archiviata sotto l’etichetta “cassandrate” fra l’entusiasmo generale.

Ma già dagli anni ’30, qualcuno aveva cominciato ad avere dei dubbi sugli effetti nel tempo di questo approccio.   Dubbi che l’esperienza non fece che confermare:

Le nuove varietà sono produttive solo se si utilizza l’intera gamma di prodotti fitosanitari e fertilizzanti previsti, altrimenti danno meno delle varietà antiche.   Le proprietà nutritive dei prodotti sono peggiorate, generando diffusi problemi di salute.   L’uso e l’abuso di concimi inorganici ha provocato la moltiplicazione dei parassiti, la destrutturazione dei suoli e l’inquinamento delle acque del mondo intero.   I pesticidi non riescono più a contenere il pullulamento di parassiti ed infestanti sempre più resistenti, mentre rendono tossici suoli ed acque, spedendo milioni di persone a cimitero non più per fame, ma per cancro.   L’irrigazione ha desertificato e salato vaste regioni, inaridito l’intero pianeta.   La meccanizzazione pesante ha fabbricato centinaia di milioni di disoccupati, mentre ha destrutturato ed eroso i suoli agricoli.    Il commercio internazionale ha creato rapporti di dipendenza sempre più perversi che non di rado sfociano in fenomeni di vera schiavitù o peggio; in ogni caso, nel gioco del mercato gli agricoltori sono risultati perdenti.   Intere civiltà contadine sono state spazzate via per fare spazio a distese desolate da una parte, favelas dall'altra.

Persone denutrite (dati FAO 2010).
 In numero assoluto a sinistra, in percentuale a destra.
E nel frattempo la quantità di gente malnutrita ha ripreso a salire rapidamente sia in numero assoluto che in percentuale, mentre a fronte di uno sforzo produttivo in crescita esponenziale, la produzione di cibo rimane sostanzialmente stazionaria.   Se vere carestie in corso non ce ne sono, sommosse per l’eccessivo prezzo del pane abbondano e, non di rado, contribuiscono a precipitare interi stati nel caos.   In rapporto alla popolazione, la disponibilità di cibo è dunque tornata a diminuire ed il fantasma di Malthus torna ad infestare le notti di quanti sono in grado di pensare al domani.

Dunque il bilancio è positivo o negativo?   Anziché esprimere un giudizio, è interessante gettare uno sguardo alla termodinamica dei sistemi produttivi.   Il successo della Rivoluzione Industriale è dipeso dalla sostituzione di risorse energetiche rinnovabili, ma disperse come flussi d’acqua e di aria, muscoli animali ed umani, con risorse energetiche infinitamente più concentrate, versatili ed economiche: carbone, ma soprattutto petrolio; secondariamente gas.

Con tecniche molto diverse, abbiamo fatto esattamente lo stesso con la Rivoluzione Verde: l’insieme di tecniche adottate ha permesso all'uomo di utilizzare l’energia fossile per produrre cibo.   Se, infatti, analizziamo il flusso di energia attraverso un agro-ecosistema pre-rivoluzione troviamo che vi è un’unica fonte di energia: il sole.   Anche il lavoro muscolare i uomini ed animali proveniva infatti dal cibo cresciuto sul podere grazie alla luce solare.

La medesima analisi fatta su di un agro-ecosistema industrializzato ci mostra che ogni Kcal di cibo che arriva nei piatti richiede la dissipazione di 10-15 Kcal di energia fossile.   Fino a 40, nel caso di filiere complesse come quella dei surgelati.
Da Gail Tverberg
In pratica, noi oggi mangiamo principalmente petrolio e, secondariamente, metano e rocce.   Tutto il resto serve a rendere questi materiali digeribili.   Ma sappiamo che il picco del greggio è alle nostre spalle (2005 per la precisione), mentre il picco di tutte le forme di energia è circa adesso.

  Dunque il flusso di energia fossile che ha permesso all'umanità di passare da 3 miliardi a quasi 8 sta rallentando e sempre di più lo farà negli anni a venire.   Cosa mangeremo?

In pratica, la Rivoluzione Verde ci ha permesso di barare, aumentando la capacità di carico del pianeta, ma solo per poche decine di anni, poi tornerà la normalità.   Il che presumibilmente significa un rapido ritorno sotto la soglia dei 3 miliardi e probabilmente meno.   A meno che…
Già da alcuni decenni sta maturando in molti ambienti qualcosa che si propone di essere una vera e propria “Controrivoluzione Verde”.   In estrema sintesi, l’idea e la pratica sono di abbandonare l’energia fossile con tutto l’armamentario chimico e meccanico dell’agricoltura contemporanea per sostituirlo con una vasta gamma di tecniche più o meno nuove che vanno dalla Biodinamica, alla Permacoltura, all'Orticoltura Sinergica e numerose altre.

Un vasto numero di esperienze e di studi confermano la validità di un simile approccio, perlomeno ad una scala aziendale o locale.   Se poi questi metodi siano in grado di alimentare le megalopoli del mondo resta da dimostrare, ma di sicuro ci sono ampi spazi per una loro molto maggiore diffusione e sviluppo.   Nelle intenzioni di chi le divulga c’è la certezza , o perlomeno la speranza, che in tal modo si possano nutrire gli 8 o 9 miliardi di persone prossime venture senza desertificare il Pianeta e senza sfruttare nuove forme di energia.

A ben vedere, delle quattro Rivoluzioni precedenti, solo le ultime due hanno comportato l’uso di una fonte supplementare di energia.   Le precedenti hanno invece ottenuto una maggiore efficienza nello sfruttamento di quello che già si usava.   Ora ci si propone, con buoni argomenti, di replicare l’impresa aumentando l’efficienza nello sfruttamento del sole, dei suoli e dell’acqua in misura tale da poter archiviare perfino il petrolio.   Possibile che si possa ottenere un risultato di così vasta portata?   Forse, ma ciò che mi stupisce è che nessuno si pone la questione di cosa succederebbe se quest’utopia diventasse realtà.

Senza Rivoluzione Narrativa gli umani sarebbero rimasti meno di un milione nel mondo.   Senza quella agricola saremmo rimasti intorno a 5-6 milioni.   Senza Rivoluzione Industriale saremmo rimasti meno di un miliardo sul tutto il Pianeta.   E senza Rivoluzione Verde saremo ancora 3 miliardi o forse un po’ meno.   Se davvero la “Rivoluzione Bio” avesse il successo sperato, non osserveremo forse lo stesso identico fenomeno avvenuto nei casi precedenti?   Aumento della disponibilità di cibo, quindi aumento della popolazione e nuova crisi ad un livello più alto di stress sul sistema planetario?
Tutte le popolazioni animali aumentano finquando il numero dei morti non eguaglia quello dei nati.   Finora, aumentare la disponibilità di cibo è servito ad aumentare il numero di bocche, rilanciando questo gioco terribile per un altro giro.   Alzando però la posta, rappresentata dalla percentuale di Biosfera e di umanità che dovranno morire per ristabilire l’equilibrio.
I fattori limitanti sono quella cosa odiosa che, uccidendo gli individui, garantiscono la sopravvivenza delle popolazioni e degli ecosistemi.

Ci sarebbe, in teoria, una scappatoia.   Sarebbe infatti possibile rimuovere un fattore limitante (ad es. la fame) senza conseguenze nefaste a condizione che ne subentri subito un altro che impedisca comunque alla popolazione di crescere.   Cioè esattamente quello che era stato prospettato, a suo tempo, dai programmatori della Rivoluzione Verde: aumentare la produzione di cibo era una soluzione A CONDIZIONE che, contemporaneamente, si riuscisse a stabilizzare la popolazione sui livelli di allora o poco più.

Altrimenti, fu detto, l’intera operazione si sarebbe risolta in un disastro di proporzioni inimmaginabili.   All'epoca si pensava di poterci arrivare tramite uno stretto controllo delle nascite, ma è andata diversamente.

Ora stiamo cercando di rilanciare alzando la posta.   Abbiamo una vasta gamma di tecniche che forse possono nutrire 8 o 9 miliardi di persone anche a fronte di una ridotta disponibilità di energia fossile. OK, ma se funzionasse, come eviteremo di diventare 10 o 12 miliardi?

Se non si risponde a questa domanda in maniera credibile e continuiamo a pensare in termini di massima produzione siamo magari dei bravi agricoltori, ma non stiamo facendo nessuna contro-rivoluzione.


mercoledì 25 marzo 2015

Cambiamento climatico e fame nel mondo: come ingigantire i problemi invece di risolverli

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi

Risultati di una ricerca del termined “fame nel mondo” (world hunger) usando Google Ngram Viewer. E' chiaro che la percezione della fame come un grande problema mondiale è relativamente recente: ha raggiunto il picco negli anni 80 ed è rimasta ben radicata nella consapevolezza collettiva di oggi. Il cambiamento climatico mostrerà la stessa traiettoria in futuro? Se lo farà, questo significa che il problema può essere risolto? O non renderemo i problemi più grandi nel tentativo di risolverli


Di certo, si sta accumulando uno slancio verso qualche tipo di azione nei riguardi del clima, anche se il negazionismo sta ancora opponendo una forte resistenza. Quindi, in un certo senso, le cose vanno bene, ma è abbastanza? Abbiamo ancora tempo per un'azione significativa contro il cambiamento climatico? E se ci impegneremo in tale azione, prenderemo le decisioni giuste?

Di solito, la chiave del futuro sta nel passato e possiamo esaminare la nostra attuale situazione del clima alla luce di un problema più vecchio: la fame nel mondo, che è passata attraverso un percorso di percezione ed azione che potrebbe andare in parallelo col problema climatico.

Le carestie hanno una storia lunga e, in tempi antichi, venivano spesso percepite come “atti di Dio”. L'idea che si potesse fare qualcosa contro la fame impiegava del tempo a penetrare la consapevolezza del genere umano e forse possiamo trovarne un primo assaggio nel saggio satirico intitolato “Una modesta proposta” scritto nel 1729 da Jonathan Swift (più famoso per i suoi “Viaggi di Gulliver”), dove proponeva che gli irlandesi poveri dovessero vendere i loro figli come cibo agli inglesi ricchi. Leggendolo, si percepisce la frustrazione che sentiva Swift per il modo in cui venivano percepiti i problemi dell'Irlanda ai suoi tempi e, chiaramente, la fame non era una preoccupazione per l'élite di quel tempo. Uno dei risultati è stata la risposta lenta ed inefficace del governo britannico alle carestie irlandesi che sono sopravvenute in seguito, in particolare la grande carestia del 1845 che ha ucciso milioni di persone.

Le percezioni sulla fame nel mondo sono cambiate a metà del XX secolo e l'interesse per il problema è cresciuto rapidamente ed ha raggiunto un picco negli anni 80.Da lì in poi è diminuito, ma è rimasto un problema chiaramente visibile, una cosa sulla quale siamo tutti d'accordo che bisogna agire. Possiamo sperare per un'evoluzione simile del concetto di cambiamento climatico? Se usiamo Google Ngram viewer, possiamo confrontare i termini “fame nel mondo” (world hunger) e “cambiamento climatico” (climate change) ed ecco il risultato:



Non dovremmo prestare troppa attenzione alla grandezza relativa delle curve. Ciò che conta è che la curva del “cambiamento climatico” non si è ancora saturata, ma l'uso del termine sta crescendo rapidamente. La curva potrebbe impiegare ancora del tempo prima di raggiungere il picco, ma potrebbe arrivare un momento in cui l'importanza del cambiamento climatico diventa ovvia e nessuno lo negherà più.

Sono buone notizie, ma c'è un problema. Supponiamo che arrivi il momento in cui tutti sono d'accordo che il cambiamento climatico è un grosso problema e che dobbiamo fare qualcosa per questo. Verrà fatto qualcosa? Verrà fatto qualcosa sufficientemente in fretta? E verranno fatte le cose giuste? Su questo punto, ho paura che ci saranno problemi. Grossi problemi.

Torniamo alla fame nel mondo: la maggior parte delle persone oggi sembra essere d'accordo sul fatto che sia una storia finita bene e che il problema sia stato risolto dalla cosiddetta “rivoluzione verde,” ovvero con un forte aumento della produzione di cibo il tutto il mondo. E' stato sicuramente un notevole successo tecnologico, ma ha risolto il problema? O non ha semplicemente creato una folle corsa fra produzione di cibo e popolazione? In questo caso, rendiamo soltanto il problema più grande, al posto di risolverlo (un caso della trappola del “cigno nero”). E la rivoluzione verde è tutta basata sull'idea di trasformare i combustibili fossili in cibo. Ma se la popolazione continua ad aumentare, mentre le riserve di combustibili fossili possono solo diminuire, avremo grossi problemi. In realtà, problemi enormi. Non risolveremo mai il problema della fame se non riusciamo a stabilizzare la popolazione umana.

La reazione della specie umana al cambiamento climatico potrebbe essere la stessa cosa. Una volta che riconosceremo finalmente che è un problema, potremmo cercare alcune soluzioni tecnologiche rapide per risolverlo e questo potrebbe soltanto rendere il problema più grande. Pensate alle varie proposte di ingegneria climatica che comportano la diffusione di sostanze riflettenti nell'alta atmosfera. Se qualcuna di queste proposte fosse messa in pratica, potremmo continuare ad emettere gas serra senza generare riscaldamento atmosferico, e probabilmente lo faremmo. Quindi, con le emissioni che aumentano, avremo bisogno di più schermatura dei raggi del Sole e, con più schermatura, continueremmo ad emettere sempre di più. Sarebbe un'altra folle corsa fra emissioni e schermatura. E se qualcosa andasse storto con la gestione della radiazione solare? Qualcosa che non abbiamo previsto e che non abbiamo capito? Ci troveremmo in grossissimi guai (qualcuno ha detto “cigno nero?”). Non risolveremo mai il problema climatico se non riusciamo a stabilizzare la concentrazione di gas serra nell'atmosfera.

A nessuno piace di giocare il ruolo del catastrofista ma qui è chiaro che abbiamo un problema gigantesco. Non è tanto un problema fisico o tecnologico, è che non abbiamo mai sviluppato metodi per risolvere problemi complessi mondiali, tendiamo più che altro a peggiorarli. Succede sempre (solo come un altro esempio, viene in mente la situazione politica in Nord Africa e in Medio Oriente). Ci sono stati diversi tentativi di sviluppare modi nuovi e più efficaci per affrontare grandi problemi, come concentrarsi sui punti di leva del sistema. Questi metodi fanno veramente una differenza, ma ci sarà mai qualche decisore politico che vi presterà attenzione?