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sabato 22 luglio 2023

Finiremo tutti bolliti? Probabilmente si, ma forse ce lo meritiamo




Gira in rete un testo pubblicato su “Libero quotidiano” a firma di Fausto Gnesotto, professore all’Università di Trieste, dal titolo “Riscaldamento Globale, Perché i meteorologi sbagliano." Lo trovate a questo link 

Il testo di Gnesotto ha avuto un certo successo e si può capire anche perché. In un momento di smarrimento per una situazione climatica che si sta facendo drammatica, è un testo tranquillizzante che si basa su un'idea molto popolare: “il clima è sempre cambiato”. E’ anche scritto da qualcuno che, in linea di principio, potrebbe essere qualificato per parlare di certi argomenti. Va insieme ad altre esternazioni di persone sicuramente blasonate, anche se non esperti di clima. Per esempio, il premio nobel Carlo Rubbia ha parlato di clima in modo tranquillizzante sulla base di cose tipo gli elefanti di Annibale che attraversavano le Alpi.

Così, succede anche a persone intelligenti di veder passare il testo di Gnesotto sui social. A una rapida passata gli sembra interessante, e così cliccano su “condividi” e il testo si diffonde e va a far parte di quella nuvola di scetticismo che circonda la questione del clima oggi. 

Si, ma di cosa stiamo parlando? Lo so che ormai quando si cerca di spiegare certe cose si viene classificati immediatamente come parte del complotto globale ordito dal WEF, il World Economic Forum di Klaus Schwab, per farci mangiare insetti. Però, fatemi provare a ragionarci sopra un attimo.

Cosa dice Gnesotto? Beh, cose tipo, “Purtroppo i climatologi dell’Ipcc (che dettano legge) sono dei meteorologi che possono conoscere le temperature solo dal 1800 in poi, mentre gli unici scienziati idonei a tracciare una storia del clima sono i geologi”. Un attimo….. I climatologi sono dei meteorologi? Da quando? Senza dir male dei meteorologi, che hanno una loro specializzazione ben precisa, i climatologi NON sono meteorologi. Sono specializzazioni completamente diverse, che si sovrappongono solo parzialmente. 

Quanto poi a “conoscere le temperature solo dal 1800 in poi”, non si capisce nemmeno cosa voglia dire. Esiste un campo che si chiama “paleoclimatologia” dove lavorano scienziati con diverse specializzazioni – anche geologi, ma non solo. Ed è un campo che non parte certamente dal 1800. Spazia su miliardi di anni anche se, ovviamente, più si va indietro nel tempo, più le ricostruzioni di temperatura sono incerte.

Gnesotto dice anche che “gli unici scienziati idonei a tracciare una storia del clima sono i geologi ... coi loro carotaggi pollinici”. E, anche qui, onestamente non ci siamo proprio. Lo studio del polline è uno dei tanti strumenti usati per questi studi, ma solo uno. Senza troppo sforzarmi le meningi, ve ne posso elencare svariati altri, dalla dendrocronologia (lo studio degli anelli degli alberi) allo studio delle carote glaciali. E’ chiaro che Gnesotto è uno che a studiato pollini per tutta la vita, ma forse avrebbe dovuto o potuto prendere in considerazione che ci sono altri campi che vanno in parallelo col suo.

E qui arriviamo alla ricostruzione del clima che fa Gnesotto, parlando di “cicli di 400 anni” di caldo e di freddo. E’ “un fatto storico che il clima muta periodicamente ogni 400 anni circa.” Non è chiaro cosa intenda Gnesotto con “fatto storico” ma la sua ricostruzione è completamente sbagliata. Non esiste nessun ciclo di 400 anni nel clima terrestre, in particolare in Europa. Non vi sto a raccontare i dettagli, ma la storia che racconta Gnesotto, fra vichinghi in Groenlandia, la Peste di Giustiniano, e la piccola era glaciale, è un miscuglio di leggende raffazzonate che non hanno base quantitativa. 

Se volete capire qualcosa del clima del passato in Europa, potete consultare un articolo di Ulf Buentgen, che è un paleoclimatologo, fra le altre cose con qualifiche in geologia. Qui, trovate una ricostruzione delle temperature in Europa degli ultimi 2500 anni, e con tutta la buona volontà non ci troverete nessun ciclo di 400 anni. Se proprio vi volete divertire, potete dare un’occhiata a questo articolo del 2016 di Lüdecke e altri, che hanno fatto del loro meglio per analizzare i dati alla ricerca di cicli climatici. Forse c’è qualcosa con un periodo di 200 anni, ma niente a 400. La temperatura dell'Europa, durante questo periodo, è cambiata molto poco. Niente che abbia a che vedere con quello che sta succedendo adesso. 

Vedete quindi che con un po’ di buona volontà non è impossibile andare a capire se qualcuno parla sapendo di cosa parla, oppure no. Da notare che non sto mettendo in dubbio la competenza del Prof. Gnesotto nel suo campo, la palinologia, così come non mi azzarderei mai a mettere in dubbio la competenza di Carlo Rubbia nella fisica delle particelle. Mi sento però in grado di mettere in dubbio la competenza di Gnesotto nel campo generale della paleoclimatologia, come pure quella di Rubbia quando parla degli elefanti di Annibale.

Certo, questo richiede un minimo di lavoro e di competenza spicciola; anche solo sapere la differenza fra “meteorologo” e “climatologo” aiuta molto. Ma non basta, bisogna sapersi districare un attimo nella letteratura scientifica: se leggete che qualcuno parla di una “periodicità di 400 anni nel clima” non è che dovete essere dei paleoclimatologi esperti per andare a verificare se esiste oppure no. Però dovete essere in grado di leggere un articolo scientifico in Inglese e, se necessario, tirarlo fuori dal “paywall” dietro il quale gli scienziati lo hanno nascosto. Come se se ne vergognassero, un altro autogol della “Scienza”-

Il problema è che ben pochi hanno questo tipo di competenza. E allora, si ritorna al solito punto. Il dibattito si basa su concetti come “il tale professore ha detto questo” ma “il talaltro professore ha detto esattamente il contrario”. E quando qualcuno ti dice, " ma se gli scienziati ci hanno imbrogliato sul virus, perché dovrei credere a quello che ci raccontano sul clima?" non gli posso in coscienza dare torto. In pochi anni, la scienza ha rovinato la reputazione che si era costruita in un paio di secoli di lavoro, non solo col Covid, ma con tante altre cose.

E allora come ne usciamo? Francamente, non ne ho idea. Mi sa che se il dibattito rimane quello che è oggi, finiremo tutti bolliti. E, forse, ce lo meritiamo.

domenica 6 marzo 2016

Una seconda rispostina a Rubbia: un po' più di serietà e di rigore non guasterebbero



In un post precedente, intitolato "Una rispostina a Rubbia," Claudio della Volpe, dell'Università di Trento, ha commentato sulle molteplici inesattezze ed errori di un intervento a ruota libera di Carlo Rubbia al Senato. Della Volpe commenta soltanto sugli errori di climatologia, ma non sulle soluzioni che Rubbia tira fuori per il cambiamento climatico. Sfortunatamente, se Rubbia ha cominciato male il suo intervento lanciandosi in ardite speculazioni sugli elefanti di Annibale, lo finisce forse peggio con le sue considerazioni sul gas naturale che meritano decisamente un'ulteriore "rispostina."

Nel suo intervento, Rubbia sostiene che ci sono enormi riserve di  gas naturale, citando i clatrati di metano contenuti nel permafrost. Su questa base, Rubbia dichiara che le energie rinnovabili sono completamente inutili e che un processo che lui sta studiando ci permette di ottenere energia dal gas naturale senza emettere gas serra. Il processo consiste nel trasformare il metano in carbonio ("grafite," secondo Rubbia) e idrogeno.

Cominciamo dal fatto che nessuno è mai riuscito a estrarre metano dal permafrost, se non a livello di test sperimentali. Così, queste "enormi riserve" al momento, si trovano soltanto sulla carta. Di certo, se fossero facili da estrarre qualcuno le avrebbe già estratte.  Poi, il processo di combustione incompleta che trasforma metano in idrogeno e "carbon black" (detto normalmente "nerofumo" in italiano) è cosa nota da molto tempo. Il problema è che trasformare il gas naturale in questo modo è sfavorito dal punto di vista termodinamico, ovvero richiede energia invece di produrla. E' anche vero, tuttavia, che si può recuperare energia dalla combustione dell'idrogeno prodotto con un bilancio finale che è teoricamente positivo, ovvero produce energia. Ma bisogna vedere con quanta efficienza lo si può fare nella pratica. Dai dati disponibili, sembra che nella migliore delle ipotesi il processo non sia più efficiente di quello della "sequestrazione" tradizionale del CO2. Non per niente, questo processo non è mai stato utilizzato per produrre energia ma solo per produrre nerofumo e/o idrogeno.

Anche assumendo che ci sia qualche vantaggio energetico nella combustione incompleta del metano, ci sono comunque dei problemini sui quali Rubbia glissa alla grande. Supponiamo di realizzare questo processo su una scala tale da avere un effetto sul cambiamento climatico. Siamo a parlare di qualcosa come 10 miliardi di tonnellate di carbonio in forma di CO2 prodotte tutti gli anni dalla combustione dei combustibili fossili. Questa è la quantità che dobbiamo eliminare, o perlomeno ridurre sostanzialmente. Ora, se lo potessimo trasformare in carbonio solido, è vero che non genererebbe riscaldamento globale. Ma dove la cacciamo questa enorme massa di robaccia? Di certo, se siete preoccupati dell'inquinamento da nanoparticelle (e dovreste esserlo) non sembra proprio una buona idea crearne qualche miliardo di tonnellate in più; circa un fattore mille più grande dell'attuale produzione di nerofumo. E tenete conto che il nerofumo è un materiale tossico e potenzialmente cancerogeno. Forse lo potremmo trasformare in grafite, riducendone il volume e la pericolosità (questa sembra essere l'idea di Rubbia, che non menziona il nerofumo, ma solo la grafite). Ma questo richiede alte temperature e sarebbe un ulteriore costo energetico.
  
E, infine, che sia grafite o nerofumo, questa massa enorme di carbonio rimarrebbe comunque un materiale infiammabile. Dovunque ci possa venire in mente di metterlo, c'è il rischio di incendi. E se questa roba prende fuoco si trasforma in CO2 e siamo al punto di partenza: abbiamo lavorato tanto per niente - anzi, per fare di peggio. Potremmo forse mettere tutto questo carbonio sottoterra? Certo, aiuterebbe a ridurre il rischio, ma a un ulteriore costo energetico: vi immaginate le immense gallerie che dovremmo scavare? E, anche così, non vuol dire che il rischio di incendi verrebbe eliminato. Lo sapevate che ci sono delle miniere di carbone che sono in fiamme da decenni e non si riesce a spegnerle? Il problema degli incendi è un ostacolo fondamentale anche per altri schemi di rimozione del carbonio dall'atmosfera, per esempio per l'idea di trasformarlo in "biochar" e sparpagliarlo nel terreno. E' per questo che in questo campo si parla quasi esclusivamente di sequestro del CO2 che, pur con tutti i problemi associati, non rischia di prendere fuoco.

Alla fine dei conti, non è privo di senso esplorare l'idea di una combustione incompleta del metano che potrebbe essere utile per qualche scopo. Ma non la si può presentare come la soluzione ovvia al problema climatico, glissando su tutti i problemi associati e sostenendo nel contempo che le rinnovabili non servono a nulla. Insomma, in queste cose ci vorrebbe un po' più di serietà e di rigore, soprattutto da parte di un premio Nobel.






lunedì 29 febbraio 2016

Una Rispostina a Rubbia


Questo articolo di Claudio della Volpe è una risposta ("rispostina") a un intervento di Carlo Rubbia dove, dispiace dirlo, il nostro premio nobel per la fisica si è trovato a tirar fuori una serie di affermazioni del tutto slegate da ogni realtà fattuale e basate su una serie di leggende, tipo quella che gli elefanti di Annibale avrebbero potuto passare le Alpi dato che il clima, a quel tempo, era molto più caldo di oggi. Purtroppo, la realtà è un altra cosa, come si può vedere nella figura qui sopra, da un articolo recente di Buentgen et al. discusso anche in un post precedente. Insomma, la lotta al cambiamento climatico non si fa con le leggende urbane, come ci spiega qui Claudio della Volpe

Una Rispostina a Rubbia


Di Claudio della Volpe


la chimica e l’industria | anno XCVIII n° 1 | GENNAIO/FEBBRAIO 2016, 63

Wilhelm Ostwald è uno di quei nomi che tornano ripetutamente nella nostra vita di chimici, non solo perché sviluppò alcune teorie od equazioni ancor oggi valide, dopo oltre un secolo, ma anche perché svolse un ruolo fondamentale nello sviluppo della “cultura” chimica e, più in generale, scientifica nel suo Paese e in tutto il mondo.

Ostwald vinse il Nobel per la Chimica nel 1909; eppure ancora pochi anni prima era un convinto assertore di una teoria energetica ed “anti-atomica” che aveva esposto e difeso a partire a  lmeno dalla famosa conferenza di Lubecca degli scienziati e medici tedeschi del 1895. Si convinse ad abbandonare quelle posizioni solo dopo gli esperimenti di J. Perrin, anch’egli Nobel nel 1926 per il suo lavoro sulla struttura discontinua della materia; aveva determinato fra l’altro il numero di Avogadro e la dimensione degli atomi.

Ma nessuno di noi si sentirebbe di criticare banalmente le asserzioni di Ostwald o di considerarlo “in ritardo” rispetto alle concezioni atomistiche moderne; era un periodo di grande fermento spirituale e scientifico in cui si gettarono le basi della meccanica quantistica e della scienza moderna e queste contraddizioni c’erano tutte: Boltzmann si era suicidato nel 1906 a Duino e non vinse mai il Nobel (come non lo vinse Poincaré, che pare non avesse scoperto nulla di cruciale); una veneziana come Agnes Pockels  ancora nel 1891 dovette rivolgersi a Lord Kelvin per pubblicare su Nature le prime misure di tensione superficiale fatte con l’antenato del trough di Langmuir e degne di questo nome (Fig. 1). Da allora ne è passata acqua sotto i ponti se per esempio oggi abbiamo come presidenti, attuale della Società Italiana di Fisica e prossima ventura di quella di Chimica, due donne.

Perché vi racconto questa storia? Perché anche  oggi abbiamo scienziati di indubbio valore, anche loro premi Nobel o comunque molto famosi, che però criticano alcuni dei risultati fondamentali della ricerca moderna; il 26 novembre 2014 per esempio Carlo Rubbia, Nobel per la Fisica nel 1984 per aver contribuito alla scoperta dei portatori della cosiddetta “interazione debole” e nominato successivamente Senatore a Vita della Repubblica, ha sostenuto in un intervento in Senato (http://www.senato. it/service/PDF/PDFServer/DF/309730.pdf) che

“Ai tempi dei Romani, ad esempio, Annibale ha attraversato le Alpi con gli elefanti per venire in Italia. Oggi non ci potrebbe venire, perché la temperatura della Terra è inferiore a quella che era ai tempi dei Romani. Quindi, oggi gli elefanti non potrebbero attraversare la zona dove sono passati inizialmente. C’è stato il periodo, nel Medioevo, in cui si è verificata una piccola glaciazione; intorno all’anno 1000 c’è stato un aumento di temperatura simile a quello dei tempi dei Romani. Ricordiamo che ai tempi dei Romani la temperatura era più alta di quella di oggi; poi c’è stata una mini-glaciazione, durante il periodo del 1500-1600. Ad esempio, i Vichinghi hanno avuto degli enormi problemi di sopravvivenza a causa di questa miniglaciazione, che si è sviluppata con cambiamenti di temperatura sostanziali.”

Ora a parte le testimonianze di livello liceale di Polibio e Livio sulla neve incontrata da Annibale sulle Alpi, i dati climatologici (fra gli altri la famosa mummia del Similaun o i dati glaciologici di Gabrielli) raccontano storie del tutto diverse. La temperatura al tempo dei Romani non era assolutamente maggiore che nel nostro periodo, anzi era inferiore (un solo elefante dei 37 di Annibale sopravvisse all’inverno padano) ma soprattutto il periodo caldo medioevale e la cosiddetta piccola età glaciale difficilmente avrebbero potuto dare fastidio ai Vichinghi, la cui epopea si situa tutta fra l’800 e il 1066 [U. Büntgen et al., 2500 Years of European Climate Variability and Human Susceptibility, Science, 2011, 331, 579] (Fig. 2).

Dice ancora Rubbia “Vorrei ricordare ad esempio- chiedo al Ministro conferma di questo - che dal 2000 al 2014, la temperatura della Terra non è aumentata: essa è diminuita di -0,2 °C e noi non abbiamo osservato negli ultimi 15 anni alcun cambiamento climatico di una certa dimensione. Questo è un fatto di cui tutti voi dovete rendervi conto, perché non siamo di fronte ad un’esplosione esplosiva della temperatura: la temperatura è montata fino al 2000: da quel momento siamo rimasti costanti, anzi siamo scesi di 0,2 °C. È giusto, Ministro?”.

Nessun climatologo si arrischierebbe a definire “climatico” un trend di soli 14 anni, per altro riportato in modo sbagliato: la temperatura media della Terra, secondo i dati più accettati (http://data.giss.nasa.gov/gistemp/graphs_v3/Fig.A.txt) nel 2000 era superiore di 0,57 °C alla media 1951-1980 mentre nel 2014 lo era di 0,89 °C, ossia 0,32 °C IN PIÙ.

Rubbia non è un caso isolato; sono sulla stessa linea parecchi colleghi fisici o chimici famosi, alcuni dei quali scrivono comunemente su questa rivista; ma anche la presidente della SIF, Luisa Cifarelli, allieva di Zichichi, che recentemente si è rifiutata di sottoscrivere un documento che dichiarava che è certo che l’umanità abbia un effetto sul clima e che è estremamente probabile che sia essa all’origine dell’attuale riscaldamento globale. Ora, mi dirà qualcuno che conosco, dove è la differenza fra il diritto di Ostwald di rifiutare la teoria atomica e quello della Cifarelli di rifiutare la teoria climatologica attuale o di Rubbia di stravolgere la storia del clima?

Beh, è presto detto. Ostwald era uno dei protagonisti della chimica e della fisica della sua epoca, era uno che pubblicava cose che sono rimaste dopo più di 100 anni proprio nel settore in cui esprimeva poi dissenso e la scienza del primo Novecento viveva grandi contrasti. Oggi, viceversa, non ci sono climatologi attivi che neghino l’evidenza del ruolo umano sul clima o che neghino almeno la possibilità che il ruolo dell’uomo sia decisivo; viceversa nessuno dei colleghi italiani che negano tale ruolo pubblica attivamente nel settore climatologico; anzi, a dire il vero, la cultura italiana del settore è abbastanza indietro; basti pensare che in Italia, unico Paese in Europa, non c’è una laurea in meteorologia o in climatologia, le previsioni e perfino i dati meteo passano ancora obbligatoriamente per l’aeronautica militare; si tratta di una situazione di arretratezza culturale che si paga duramente e che è alla base di polemiche così prive di fondamento.

Anche noi chimici non abbiamo fatto un gran figurone sul tema della COP21 durante la sua preparazione; comunque la SCI nel Consiglio Direttivo del 12 dicembre ha deliberato di costituire un gruppo di lavoro allo scopo di redigere un documento sul tema dei cambiamenti climatici che possa rappresentare la posizione ufficiale della SCI.

E questa decisione mi fa piacere! In attesa di leggere il documento, voi che ne pensate?