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mercoledì 11 febbraio 2015

Strada obbligata. Un commento.

Di Jacopo Simonetta


In un precedente post, ho riportato la traduzione di un lungo articolo in cui John M. Greer sostiene come una volontaria regressione tecnologica sarebbe una strategia efficace di resilienza.   Tuttavia, l’arcidruido ammette che questa sia un’opzione che non ha alcuna speranza di essere attuata in quanto viola il principale tabù della nostra civiltà: il progresso.

In una sua conferenza di alcuni mesi fa a Pisa, S. Latouche aveva sostenuto qualcosa di simile.   Pur senza entrare nel merito del livello tecnologico, il professore ha infatti sostenendo che un ritorno ai consumi pro capite di 60 anni fa sarebbe sufficiente a riportare l’economia globale entro limiti di sostenibilità.

In linea con alcuni commenti che sono stati fatti, personalmente trovo che l’idea contenga elementi interessanti, ma che non potrebbe essere attuata a scala di nazioni o di super-nazioni.   E non solo per ragioni di tabù, peraltro consistenti ed evidenti. Qui vorrei fare cenno a due soli aspetti.

Il primo è la capacità militare che, da quando esistono gli eserciti, dipende sostanzialmente da due ordini di fattori: la capacità organizzativa e la tecnologia.   Semplicemente, un paese che riducesse il suo livello tecnologico si troverebbe alla mercé di chi questo non lo ha fatto e si tratta di un passaggio solo parzialmente e faticosamente reversibile.    In un contesto di decrescita complessiva, perdere posizioni è facile, riguadagnarne è invece molto difficile.

Il mondo contemporaneo ci offre numerosi esempi di paesi che, per varie ragioni, hanno avuto un esperienza simile.     Forse il caso più eclatante è stato lo smantellamento dell’Armata Rossa all'indomani del collasso dell’URSS.   Il risultato fu che pochi anni dopo la Russia fu sconfitta sul campo dalla Cecenia!

Una lezione che Mosca imparò bene.   Ma solo grazie a 20 anni di sforzi alimentati dal un elevato prezzo degli idrocarburi fossili, a loro volta spinti da enormi investimenti e tecnologie straniere, ha potuto risalire parzialmente la china.

In maniera meno brutale, qualcosa del genere è accaduto anche all'interno della NATO ed in altri casi ancora. Indipendentemente da altre considerazioni, in un contesto di contrazione economica, ridurre il proprio livello tecnologico è una strada a senso unico che comporta enormi rischi politici e militari. Rischi assolutamente intrattabili nel momento in cui, eventualmente, scoppia una crisi grave.

Un secondo ordine di fattori anche più grave negli effetti dipende dalla nostra capacità di estrarre dal Pianeta quanto ci serve. E’ vero che abbassando il livello tecnologico si abbasserebbero i consumi pro capite, ma si abbasserebbe anche la nostra capacità di accedere alle risorse i misura più che proporzionale.

Facciamo un esempio non a caso:  Riserve di petrolio estraibili con le tecnologie del 1950 praticamente non ne esistono più.   Già con sistemi anni ’70 rimarrebbe disponibile ben poco.    E lo stesso credo che valga più o meno per tutti i minerali, con un’importante eccezione, almeno parziale. Una drastica riduzione dei consumi pro capite dei materiali facilmente riciclabili (diversi metalli, vetro, ecc.)  potrebbe portarne il consumo a livelli gestibili, almeno per lungo tempo, recuperandone le immense quantità sepolte nelle discariche ed incorporate in oggetti che diventerebbero inutili.

Vi sono tuttavia problemi che diventerebbero necessariamente critici.    A parte l’energia cui si è fatto cenno, per fare un solo esempio, nel 1950 la popolazione mondiale ammontava a 2.500 milioni di persone, circa un terzo di adesso. La densità era di circa 18 abitanti per chilometro quadro, mentre oggi è di 52. Considerando solo i terreni in qualche misura agricoli, ognuno di noi dispone oggi di poco più di 2.000 mq contro poco meno di un ettaro di allora. La desertificazione si mangia oltre un milione di ettari ogni anno, la superficie forestale è più che dimezzata, i banchi di pesca sono spariti o ridotti, una miriade di specie di piante, insetti ed altri piccoli animali si sono estinte, il clima diviene sempre più ostile, le riserve idriche si prosciugano eccetera.    Si potrebbe andare avanti per pagine. Non che nel 1950 le cose andassero benissimo, ma eccettuate alcune zone molto circoscritte, la situazione ambientale e la disponibilità di risorse erano molto, ma molto migliori di oggi.

Oggi possiamo vivere in così tanti solo grazie al nostro attuale livello tecnologico.    Un livello che abbiamo raggiunto grazie ad una complessa retroazione fra tecnologia, economia, popolazione, sfruttamento delle risorse.    Invertire la tendenza facilmente potrebbe avviare una retroazione inversa.

D'altronde, con ogni probabilità, è proprio quello che ci accadrà, che lo si voglia  o meno.   Il livello tecnologico è infatti approssimativamente correlato con la disponibilità di energia e sappiamo che la pacchia è finita per sempre.   Esistono ancora grandi risorse energetiche, ma nessuna che sia qualitativamente comparabile a quella che avevamo fino a pochi anni or sono.   E non si può pensare che fonti energetiche scadenti e/o costose possano avere gli stessi effetti di fonti eccellenti ed economiche.   Molti suggeriscono che solo un ulteriore progresso tecnologico può farci uscire dalla trappola.   Ma da sempre il progresso tecnologico ha richiesto disponibilità di risorse di alta qualità, disponibilità di ecosistemi capaci di riciclare gli scarti, capacità della società di gestire una maggiore complessità.    Tre ordini di fattori sulla cui disponibilità futura è legittimo dubitare, dal momento che già ora cominciano a scarseggiare.

Del resto, in alcuni settori il “downgrade” si comincia a vedere.   Per esempio, il rallentamento delle esplorazioni spaziali, ma anche l’abbandono del programma “Space shuttle” e di quelli previsti in seguito per tornare a dei vettori di tipo tradizionale.   Oppure la mesta fine del Concorde, fino al boom di risciò nelle maggiori città europee.    Per non parlare della  parziale sostituzione del petrolio tornando al carbone o, addirittura, al legname!

In conclusione, il mio del tutto personale parere è che ancora esistano molte opzioni per mitigare la caduta della nostra civiltà, ma nessuna che la possa evitare.   E con la caduta della nostra civiltà molte cose che oggi diamo per scontate diventeranno rare, oppure scompariranno del tutto.   Ed ecco che il “downgrade” tecnologico, improponibile a livello di stati, diviene invece una strategia molto interessante a livello di famiglie e piccole comunità resilienti.  In un ambiente di grave e permanente crisi economica, disoccupazione cronica, disordini sociali e guerre locali, carenza di energia e ricambi, eccetera, certamente disporre di tecnologie e conoscenze ripescate da un passato più o meno remoto può rivelarsi un’eccellente opzione.


lunedì 9 febbraio 2015

Strada obbligata.

The one way forward
Di John M. Greer
Traduzione di Jacopo Simonetta.

Ho voluto tradurre questo lungo (un po’ troppo lungo) articolo dell’ineffabile Aci-druido perché mi pare che sia particolarmente interessante.   Fra l’altro, esprime posizioni molto simili a quanto sostenuto da Serge Latouche in una conferenza tenuta a Pisa nella primavera scorsa.
Io rimango scettico per varie ragioni che esporrò in un prossimo post, ma mi pare comunque un’idea interessante.

Nota sulla traduzione:   La prosa di Greer è molto lineare nei suoi libri, ma spesso contorta nei suoi post.   In queste pagine, mi sono preso la libertà di modificare leggermente la punteggiatura e qualche giro di frase che, tradotto pedissequamente in italiano, diventava illeggibile.


Tutto considerato, il 2015 non promette di essere una buona annata per chi crede nel “business as usual”.   Dopo il post della settimana scorsa sull’Archidruid report, il partito anti-austerity Syriza ha spazzolato le elezioni in Grecia, fra l’entusiasmo di partiti simili in tutta Europa e lo sconforto della gerarchia di Bruxelles.   Questa non può rimproverare altri che se stessa per questo evento.   Oramai per più di un decennio, le politiche EU hanno effettivamente protetto le banche ed i possessori di buoni del tesoro dalla salubre disciplina del mercato, prima di ogni altra considerazione.   Ivi compresa la sopravvivenza economica di intere nazioni.    Non dovrebbe sorprendere nessuno se questo non era un approccio vitale a lungo.

Nel frattempo, la bolla del fracking continua a sgonfiarsi.   Il numero di trivelle al lavoro nei campi petroliferi americani continua a cadere verticalmente di setimana in settimana.   I licenziamenti nel settore petrolifero stanno accelerando ed il prezzo del petrolio rimane a livelli che rendono ogni espansione del fracking un benvenuto esercizio matematico per il tribunale locale.   Quei pundit mediatici che stanno ancora parlando dell’industria del  fracking stanno insistendo che il calo del prezzo del petrolio prova che loro avevano ragione e che quei maledetti eretici che parlano di picco del petrolio devono avere torto. Ma evitano di spiegare come mai i minerali di ferro, rame e molti altri dei materiali principali stanno perdendo valore ancora più in fretta del greggio.   E neppure perché la domanda di petrolio negli USA sta declinando anche lei.

Il fatto è semplicemente che un’economia industriale costruita per correre con petrolio convenzionale a buon mercato non può funzionare a lungo con petrolio costoso senza schiacciarsi il naso per terra.   Dal 2008, le nazioni industriali del mondo hanno cercato di compensare la differenza inondando le loro economie con credito a buon mercato, nella speranza che questo avrebbe potuto compensare la rapidamente crescente quantità di ricchezza reale che deve essere dirottata dagli altri scopi, nello sforzo di mantenere il flusso di combustibili liquidi al loro livello di picco.   Ora però le leggi economiche hanno chiamato il loro bluff.    Le ruote si stanno fermando in una nazione dopo l’altra ed il prezzo del petrolio (come quello di altre risorse) è sceso ad un livello che non copre i costi dell’olio di scisto, delle sabbie bituminose e cose simili.   Ciò perché tutti questi frenetici tentativi di esternalizzare i costi della produzione di energia comportano che sia l’economia globale che riceve il colpo.

Naturalmente non è così che i governi ed i media spiegano la crisi che sta emergendo.   Del resto, non c’è carenza di pundit e di gente fuori dai corridoi del potere  che ignorano il collasso generale del prezzo delle materie prime.   Fissandosi sul petrolio al di fuori del più vasto contesto dell’ esaurimento delle risorse in generale, insistono che il cambio del prezzo del petrolio sia un atto di guerra, o quel che vi pare.

Questa è una logica che i lettori di questo blog hanno visto dispiegarsi molte volte nel passato.   Qualunque cosa accada deve essere stato deciso ed attuato da esseri umani.   Uno stupefacente numero di persone in questi tempi, sembra incapace di immaginare la possibilità che fattori totalmente impersonali come le leggi dell’economia, della geologia e della termodinamica possano da sole far accadere delle cose (grassetto mio ndt.).

Il problema che fronteggiamo ora è precisamente che l’inimmaginabile è la nostra realtà.   Per un po’ troppo tempo, troppa gente ha insistito che non bisogna preoccuparsi dell’assurdità di perseguire una crescita illimitata su di un delimitato e fragile pianeta,  perché “troveranno qualcosa”.   Oppure hanno pensato che chattare sui forum internet a proposito di questo o quel pezzo di fumo tecnologico sia fare qualcosa di concreto a proposito dell’imminente collisione della nostra specie con i limiti della crescita.   Viceversa, per appena un po’ troppo tempo, non abbastanza persone hanno voluto fare qualcosa in proposito ed ora i fattori impersonali hanno occupato la sedia del conducente, dopo aver malmenato tutti noi sette miliardi ed  averci ficcati nel bagagliaio.

Come ho segnalato nel post della settimana scorsa, questo pone dei severi limiti a quello che possiamo fare nel breve termine.   Con ogni probabilità, a questo stadio del gioco, ognuno di noi incontrerà l’onda della crisi con la preparazione che si è dato; sostanziale o trascurabile che questa sia.   Sono cosciente che un certo numero dei miei lettori non sono felici di questo, ma non possono essere aiutati.   Il futuro non è tenuto ad aspettare pazientemente finché siamo pronti.
Alcuni anni fa, quando postai un testo che riassumeva la strategia che proponevo, probabilmente avrei dovuto mettere più enfasi sulla parola principale dello slogan: adesso.   Oramai quel che è fatto è fatto.

Questo non significa che siamo alla fine del mondo.    Significa che con tutta probabilità, cominciando in un qualche momento di questo anno e per parecchi anni a venire, molti dei miei lettori saranno indaffarati con gli impatti multipli di una martellante crisi economica sulla loro vita e su quella dei loro familiari, amici, comunità e datori di lavoro.   In un periodo in cui il sistema politico di gran parte del mondo industriale sarà grippato, le guerre latenti nel Medio Oriente ed in gran parte del terzo Mondo saranno in ebollizione più del solito ed il tramonto della Pax Americana spingerà  sia il governo USA che i suoi nemici ad un livello ancora maggiore di rischio.

Come esattamente questo accadrà nessuno lo sa, ma accadrà sicuramente.   E difficilmente sarà piacevole.

Intanto che ci prepariamo per il primo colpo, comunque, è utile parlare un poco a proposito di cosa accadrà dopo.    Per quanto sia lungo l’effetto domino sugli istituti finanziari coinvolti nella bolla del fracking, prima o poi cadrà l’ultimo e, dopo qualche anno, le cose torneranno ad una “nuova normalità”; anche se molto più in basso lungo la pendice della decrescita.   Non importa quante guerre per procura, colpi di stato, azioni segrete ed insurrezioni manipolate saranno lanciate dagli Stati Uniti e dai suoi rivali nella loro lotta per la supremazia; molti dei posti toccati da questi conflitti vedranno alcuni anni di guerra effettiva, con periodi di relativa pace prima e dopo. Le altre forze che guidano il collasso agiscono sostanzialmente allo stesso modo.  Il collasso è un processo frattale, non uno lineare.

Però sull’altro lato della crisi c’è qualcos’altro che “di più dello stesso”.   La discussione che vorrei cominciare a questo punto è centrata su quello che potrebbe valere la pena di fare una volta che le masse di macerie economiche, politiche e militari smetteranno di rimbalzare.   Non è troppo presto per pianificare questo. Se non altro, darà ai lettori di questo blog qualcosa cui pensare mentre staranno in coda per il pane o nascosti in cantina, mentre polizia e ribelli si scontrano in strada.   A parte questo beneficio, prima si comincia a pensare a quali opzioni saranno disponibili una volta tornata una certa stabilità, migliori saranno le probabilità di essere pronti ad agire, nella nostra vita o ad una più ampia scala.

Del resto, una delle interessanti conseguenze di ogni crisi davvero sostanziale è che ciò che era impensabile prima può non essere impensabile dopo. Leggete il brillante “The proud Tower” di Barbara Tuchman e vedrete quante delle indiscutibili certezze del 1914 erano finite nella compostiera della storia alla fine del 1945.   E quante delle idee che erano state appannaggio di frange ultraperiferiche  prima della prima guerra mondiale erano diventate buon senso comune dopo la seconda.   E’ un fenomeno comune ed io propongo qui di andare avanti lungo questa curva proponendo, come materiale grezzo di riflessione e nient’altro, qualcosa che è certamente impensabile oggi, ma che potrebbe diventare una necessità dieci o venti, o quaranta anni da ora.

Che cosa ho in mente?   Una intenzionale regressione tecnologica come politica pubblica.
Immaginate, per un momento, una nazione industriale che riduca la sua infrastruttura tecnologica approssimativamente a quel che era nel 1950.   Questo comporterebbe un drastico decremento dei consumi energetici pro-capite, sia direttamente  (la gente usava molto meno energia di tutti i tipi nel 1950), sia indirettamente ( anche la produzione di beni e servizi richiedeva molto meno energia allora).   Ciò comporterebbe parimenti una brusca riduzione dei consumi pro capite di molte risorse.    Comporterebbe anche un brusco incremento dei posti di lavoro per le classi lavoratrici.   A quei tempi, un sacco di cose oggi fatte dai robot erano fatte da esseri umani, cosicché c’erano molte più buste paga che andavano in giro il venerdì per pagare i beni e servizi che i consumatori normali comprano.   Dal momento che un flusso costante di stipendi ai lavoratori è una delle cose principali per mantenere un’economia stabile e vigorosa, questo sarebbe sicuramente un ovvio vantaggio, ma per adesso possiamo lasciare questo da parte.

Certamente il cambiamento proposto comporterebbe certi cambiamenti rispetto a come vanno adesso le cose.   Nel 1950 i viaggi in aereo erano estremamente costosi, i ricchi erano chiamati “il jet-set” perché erano gli unici che potevano comprare i biglietti.   Così tutti gli altri era costretti ad usare dei veloci, affidabili ed energicamente efficienti treni quando dovevano andare da un posto all’altro.   I Computers erano rari e costosi, il che significava, ancora una volta, che più gente aveva un lavoro.   E Significava anche quando chiamavate una ditta od un ufficio la vostra probabilità di trovare un essere umano per aiutarvi in qualunque vostro problema era considerevolmente più alta di oggi.
Mancando internet, la gente si doveva accontentare di un’ampia gamma di frequenze radio, migliaia di periodici generici o specializzati ed un sacco di librerie e biblioteche locali, zeppe di libri.  

Almeno in America, gli anni ’50 furono l’età d’oro delle biblioteche pubbliche e molte cittadine avevano delle collezioni che in questi giorni non trovate nemmeno nelle grandi città. Oh, e quelli a cui piace guardare foto di gente spogliata (che oggi hanno un grande e di solito non menzionato ruolo nel pagare internet) si dovevano accontentare di riviste indecenti che gli consegnavano in anonime buste marroni. Oppure andavano in negozietti di periferia.  Tutte cose che, comunque, non sembravano metterli in imbarazzo.

Come osservato prima, sono del tutto cosciente che un simile progetto è assolutamente impensabile oggi; che provocherebbe un’immediata reazione di superstizioso orrore.  Quindi, per prima cosa, parliamo delle obbiezioni più ovvie.  Sarebbe possibile? Sicuro.

Molto di quello che deve essere fatto sono dei semplici cambiamenti nelle leggi fiscali.   Proprio ora, negli stati uniti, una galassia di perversi regolamenti penalizzano i datori di lavoro se assumono persone ed incentivano quelli che rimpiazzano gli impiegati con delle macchine. Cambiate questo in modo che spendere di più in stipendi abbia maggior senso finanziario che spendere per automatizzare, e sarete già a metà strada.

Una revisione della politica commerciale farebbe buona parte del resto che sarebbe necessario.   Malgrado le fideistiche pretese degli economisti, quello che viene scherzosamente chiamato “mercato libero” benefica i ricchi a spese di tutti gli altri e potrebbe essere rimpiazzato da ragionevoli tariffe per sostenere la produzione domestica, contro il mercantilismo predatorio che domina l’economia globale in questi giorni.   Aggiungete a questo alte tariffe sulle importazioni di tecnologia e togliete a qualsiasi tecnologia successiva al 1950 i sontuosi sussidi che ingrassano le aziende del “Fortune 500” e di base ci siete.

Quello che rende il concetto di regressione tecnologica così intrigante, e così utile, è che non richiede di sviluppare niente di nuovo. Sappiamo già come funzionava la tecnologia del 1950. Quali sono le sue necessità di energia e risorse; quali sarebbero vantaggi e svantaggi nell’adottarle.

Un’abbondante documentazione ed una certa frazione della popolazione che ancora ricorda come funzionava renderebbero la cosa facile.   Quindi sarebbe una cosa semplice fare una lista di quel che serve, quali sarebbero costi e benefici, e come minimizzare i primi massimizzando i secondi.   Non dovremmo fare quei tentativi alla cieca e quelle ipotesi arbitrarie che sono necessarie quando si sviluppa una nuova tecnologia.  Tanto per la prima obbiezione.

Seconda domanda: ci sarebbero controindicazioni ad una deliberata regressione tecnologica?  

Certamente! Ogni tecnologia e qualsiasi gruppo di opzioni politiche ha le sue controindicazioni.   In effetti, una comune fantasia odierna pretende che sia ingiusto prendere in considerazione le controindicazioni delle nuove tecnologie ed i vantaggi delle vecchie, quando si decide se rimpiazzare una tecnologia vecchia con una più nuova. Una illusione ancora più comune pretende che non devi nemmeno decidere. Quando una nuova tecnologia emerge, si presume che tu la segua belando come tutti gli altri, senza porre alcuna domanda.

La tecnologia corrente ha immense controindicazioni.  Le tecnologie future ne avranno anche loro.   E’ solo nelle pubblicità e nelle storie di fantascienza che le tecnologie non hanno difetti. Quindi, il mero fatto che anche le tecnologie del 1950 ponevano dei problemi non è una ragione valida per scartare la regressione tecnologica. Per quanto impensabile, la domanda da porre  è se, tutto considerato, sarebbe saggio accettare le controindicazioni della tecnologia del 1950 al fine di disporre di un complesso operativo di tecnologie in grado di funzionare con molto minori consumi procapite di energia e risorse. E dunque migliori speranze di attraversare l’età dei limiti che abbiamo davanti, piuttosto che con la molto più stravagante e fragile infrastruttura tecnologica odierna.

Probabilmente è necessario parlare anche di un particolare pezzo di paralogica che emerge ogniqualvolta qualcuno suggerisce la regressione tecnologica: la nozione che se torni ad un più vecchia tecnologia, devi assumere anche le pratiche sociali e le abitudini culturali di quei tempi. Ho ricevuto molti commenti di questo tipo l’anno scorso quando ho suggerito che una tecnologia a vapore di tipo vittoriano alimentata da energia solare potrebbe essere una forma di ecotecnica del futurro. Uno stupefacente numero di persone sembravano incapace di immaginare che questo fosse possibile senza reintrodurre anche usanza vittoriane quali il lavoro infantile ed il pudore sessuale.   Per quanto sciocche, idee simili hanno radici profonde nell’immaginario moderno.

Senza dubbio, come risultato di queste profonde radici, ci sarà un sacco di gente che risponderà alla proposta che ho appena fatto che le pratiche sociali e le abitudini culturali del 1950 erano orribili, e pretendendo che queste abitudini non possono essere separate delle tecnologie in questione. Posso rispondere osservando che il 1950 non aveva un solo set di pratiche sociali e culturali. Solo negli Stati Uniti, un viaggio da Greenwich Village alla Pennsylvania rurale nel 1950 vi avrebbe fatto incontrare con notevoli diversità culturali fra persone che usavano la medesima tecnologia.

Il punto si può ribadire notando che, in quell’anno,  la stessa tecnologia era in uso a Parigi, Djakarta, Buenos Aires, Tokyo, Tangeri, Novosibirsk, Guadalajara e Lagos. E non tutti questi avevano le stesse usanze degli americani, sapete. Ma sarebbe fiato sprecato. Per i veri credenti nella religione del progresso, il passato è un ribollente calderone di eterna dannazione da cui perpetuamente ci salva il surrogato messia del progresso. Ed il futuro è il radioso paradiso, le cui porte i fedeli sperano di varcare a tempo debito. Molte persone in questi giorni non vogliono discutere questa dubbia classificazione più di quanto un contadino medioevale non fosse disposto a dubitare del miracoloso potere che si supponeva emanasse dalle ossa di S. Ethelfrith (il fondatore del regno di Northumbria, attuale Inghilterra ndt).

Niente, ma niente suscita un più superstizioso orrore nella cultura dominante del dire, cielo aiutaci, “torniamo indietro”. Anche se la tecnologia di giorni precedenti è più adatta ad un futuro di scarsità di risorse e di energia, piuttosto che l’infrastruttura che abbiamo adesso.   Anche se la tecnologia di giorni andati effettivamente fa meglio il lavoro di molte cose che abbiamo oggi,  “Non possiamo tornare indietro!” è l’angosciato grido delle masse.   Sono stati così bene imbambolati dai propagandisti del progresso che non smettono mai di pensare questo.

C’è una ricca ironia nel fatto che i circoli alternativi e d’avanguardia tendono ad essere ancora più ossessivamente fissati col dogma del progresso lineare delle masse che si presumono conformiste.  

Questa è una delle più subdole caratteristiche del mito del progresso; quando le persone diventano insoddisfatte dello status quo, il mito le convince che la sola opzione che hanno è fare esattamente quello che tutti gli altri fanno. Così, quello che era cominciato come un moto di ribellione viene cooptato in un perfetto conformismo e la società continua a marciare stupidamente lungo la traiettoria corrente.   Come i lemming di un documentario Disney, senza nemmeno chiedere cosa ci dovrebbe essere in fondo.

Questo per quanto riguarda il progresso. La parola stessa significa “movimento continuo nella medesima direzione”.  Se la direzione era una cattiva idea all’inizio, o se ha superato il punto fino a cui aveva senso, continuare ad arrancare ciecamente in avanti in un’oscurità che si addensa potrebbe non essere la migliore idea del mondo.  Rompi questa camicia di forza mentale ed una gamma di futuri possibili si schiude immediatamente.

Ad esempio, potrebbe essere che una regressione tecnologica al livello del 1950 risulti impossibile da mantenere sui tempi lunghi. Se le tecnologie del 1920 possono essere supportate con un più modesto apporto di energia che possiamo recuperare dalle fonti rinnovabili, per esempio, qualcosa di simile alla tecnologia del 1920 potrebbe essere  mantenuta sul lungo termine, senza ulteriori regressioni.

Potrebbe invece emergere che qualcosa di simile alle macchine a vapore solari che ho menzionato prima sia il livello massimo che può essere sostenuto indefinitamente.   Un’ecotecnica equivalente alla tecnologia del 1820, con mulini a vento e ad acqua come motori dell’industria, canali navigabili come principale infrastruttura di trasporto e la maggior parte della popolazione che lavora in piccole fattorie di famiglia che supportano villaggi e cittadine.

Quest’ultima opinione sembra eccessivamente deprimente?   Comparatela con un altro scenario molto probabile e potrete trovare che questa ha i suoi vantaggi.   Ad esempio, immaginiamo che cosa accadrebbe se le società industriali del mondo scommettessero per la loro sopravvivenza su di un grande balzo avanti di una non provata fonte di energia che non ripaga i suoi costi, lasciando miliardi di persone a contorcersi nel vento, senza infrastruttura tecnologica di sorta.  

Se state guidando in un vicolo cieco e vedete un muro di mattoni davanti, potete ricordarvi che strillare “non possiamo tornare indietro!” non è esattamente una buona trovata.   In una simile situazione  (e voglio suggerire che questa è un’affidabile metafora della situazione in cui siamo proprio adesso ) tornare indietro, ricercando la strada percorsa  findove necessario, è un modo per andare avanti.





giovedì 30 ottobre 2014

I Limiti della Crescita descritti in termini narrativi


“Elaborazione standard” dall'edizione del 1972 de “I Limiti dello Sviluppo”

Di Ugo bardi

Nel 1972, “I Limiti dello Sviluppo” hanno presentato una serie di scenari per il futuro dell'umanità, che comportavano prevalentemente declino e collasso dell'economia mondiale. Questi scenari sono stati il risultato della soluzione di un insieme di equazioni differenziali accoppiate e, per la maggior parte della gente, le ragioni del comportamento dell'economia previsto è rimasto oscuro ed imperscrutabile. Di conseguenza, i risultati dello studio non sono stati né capiti né creduti. 

Come ho sostenuto in un post precedente, tendiamo a capire il mondo in termini narrativi. Pensiamo con parole, non con equazioni. E tendiamo ad usare le parole per adattare i concetti come se fossero attori che recitano in scena. Alla fine, non è un modo meno legittimo di usare equazioni per modellare il mondo. Così, ho trovato una descrizione eccelsa e compatta sul blog di John Michael Greer (“l'Arcidruido”) delle ragioni per le quali la civiltà tende al collasso. Ed ecco qua: nessuna equazione, nessun grafico, ma non poteva essere più chiaro di così.



L'Era Oscura dell'America: la fine del vecchio ordine

Di John Michael Greer

Da “The Archidruid Report”. Traduzione di MR

Ultimamente ho riletto alcuni dei racconti di H.P. Lovecraft. E' praticamente unico fra gli scrittori di horror americani, in questo suo senso del terribile sulla visione del mondo della scienza moderna. Lovecraft era un ateo convinto ed un materialista, ma a differenza di troppi credenti in quel credo, il suo atteggiamento verso il cosmo rivelato dalla scienza non era compiaciuta soddisfazione, ma terrore da brivido. Il primo paragrafo del suo racconto più famoso “Il richiamo di Cthulhu” è tipico:

“La cosa più misericordiosa del mondo è, penso, l’incapacità della mente umana di correlare tutti i suoi componenti. Viviamo in una placida isola di ignoranza in mezzo ai neri mari dell’infinito, e non siamo fatti per navigare lontano. Le scienze, ciascuna tesa nella propria direzione, ci hanno finora danneggiato poco; ma un giorno il mettere insieme di una conoscenza dissociata ci aprirà tali terrificanti visioni della realtà, e della nostra spaventosa posizione al suo interno, che o impazziremo per la rivelazione o fuggiremo dalla luce nella pace e nella sicurezza di un nuovo medioevo”.

E' del tutto possibile che questa intuizione di Lovecraft si rivelerà profetica e che una appassionata rivolta popolare contro le implicazioni – e forse di più, le applicazioni – della scienza contemporanea sarà una delle forze ci spingeranno nel medioevo prossimo. Tuttavia, questo è un tema per un post successivo di questa serie. Il punto che vorrei esprimere qui è che l'immagine di Lovecraft di gente avidamente in cerca di pace e sicurezza, come un'età oscura può loro fornire, non è ironica come potrebbe sembrare. Al di fuori delle élite, che hanno un destino diverso e considerevolmente più macabro degli altri abitanti di una civiltà in declino, è sorprendente raro che la gente debba essere forzata a scambiare la civiltà per la barbarie, che sia per l'azione umana o per la pressione degli eventi. Nell'insieme, per quando quella scelta arriva, la grande maggioranza è più che pronta a fare lo scambio e per una buona ragione.


Cominciamo vedendo alcuni fondamentali. Come ho evidenziato in un saggio pubblicato online nel 2005 - un PDF è disponibile qui — il processo che alimenta il collasso delle civiltà ha una base sorprendentemente semplice: la discrepanza fra costi di capitale per la manutenzione e le risorse disponibili per soddisfare quei costi. Il capitale qui si intende nel senso più ampio del termine e comprende tutto ciò in cui una civiltà investe la propria ricchezza: edifici, strade, espansione imperiale, infrastrutture urbane, risorse di informazione, personale qualificato o quello che volete. Il capitale di ogni tipo deve essere mantenuto e mentre una civiltà aggiunge alla propria riserva di capitale, i costi di manutenzione aumentano costantemente, finché il fardello che pongono sulle risorse disponibili di una civiltà non può essere più sostenuto.

Il solo modo per risolvere il conflitto è di permettere che una parte del capitale sia convertito in rifiuti, di modo che i suoi costi di mantenimento scendano a zero ed ogni risorsa utile racchiusa nel capitale possa essere passata ad altri usi. Essendo gli esseri umani quello che sono, la conversione di capitale in rifiuti generalmente non viene portata avanti in modo calmo e razionale; piuttosto, i regni cadono, le città vengono saccheggiate, le élite dominanti vengono fatte a pezzi da folle urlanti e cose del genere. Se una civiltà dipende da risorse rinnovabili, ogni giro di distruzione di capitale è seguito da un ritorno ad un relativa stabilità e il ciclo ricomincia da capo. La storia della Cina imperiale è un buon esempio di come questo succede nella pratica.

Se una civiltà dipende da risorse non rinnovabili per funzioni essenziali, comunque, distruggere parte del proprio capitale genera soltanto un piccolo rinvio della crisi dei costi di mantenimento. Una volta che la base di risorsa non rinnovabile supera il punto in cui comincia ad esaurirsi, c'è n'è sempre meno disponibile ogni anno a seguire per soddisfare i costi di mantenimento rimasti e il risultato è lo schema a gradini di declino e caduta così familiare nella storia: ogni crisi porta ad un giro di distruzione di capitale, che porta ad una rinnovata stabilità, che apre la strada alla crisi quando la risorsa di base diminuisce ulteriormente. Ancora, essendo gli esseri umani quello che sono, questo processo non viene portato avanti in modo calmo e razionale; la differenza qui è semplicemente che i regni continuano a cadere, le città continuano a venire saccheggiate, le élite dominanti vengono massacrate una dopo l'altra in modi sempre più inventivi e coloriti, finché la contrazione finalmente abbia proceduto sufficientemente che il capitale rimasto possa essere sostenuto dalla riserva disponibile di risorse rinnovabili.

Questa è una descrizione sommaria della teoria del collasso catabolico, il modello di base di declino e caduta delle civiltà che sta alla base del progetto generale di questo blog. Incoraggerei coloro che hanno domande sui dettagli della teoria ad andare avanti e di leggere la versione pubblicata e linkata sopra. Nel cammino, spero di pubblicare una versione della teoria sviluppata molto più accuratamente, ma quel progetto è ancora nelle prime fasi proprio ora. Ciò che voglio fare qui è approfondire un po' di più le implicazioni sociali della teoria.

E' comune oggigiorno sentire la gente insistere che la nostra società è divisa in due e solo due classi, una classe di élite che riceve tutti i benefici del sistema e tutti gli altri, che ne portano tutti i fardelli. La realtà, nella nostra così come in ogni altra società umana, è parecchio più sfumata. E' vero, naturalmente, che i benefici si spostano verso il vertice della scala della ricchezza e del privilegio e i pesi vengono spinti verso il basso, ma in gran parte dei casi – il nostro incluso a pieno titolo – bisogna andare molto in giù sulla scala prima di trovare gente che non ha alcun beneficio.

Bisogna ammettere che ci sono state alcune società umane nelle quali la maggior parte della gente ha tali benefici dal sistema in quanto consentirà loro di continuare a funzionare finché non cadranno. I primi tempi della di schiavitù nelle piantagioni negli Stati Uniti e nelle isole dei Caraibi, quando la vita media di uno schiavo dall'acquisto alla morte era al di sotto dei 10 anni, ricadeva in quella categoria, come alcune altre – per esempio, la Cambogia sotto i Khmer Rossi. Questi sono casi eccezionali. Emergono quando il costo del lavoro non specializzato scende vicino allo zero e sia i profitti abbondanti sia le considerazioni ideologiche rendo il destino dei lavoratori una questione di indifferenza totale ai propri padroni.

Sotto una qualsiasi serie di condizioni, tali accordi sono antieconomici. E' più redditizio, nel complesso, consentire tali benefici aggiuntivi alla classe operaia in quanto permetterà loro di sopravvivere e metter su famiglia e per motivarli a fare più del minimo sindacale che sfuggirà alla frusta del sorvegliante. Questo è ciò che genera l'economia contadina standard, per esempio, in cui il povero contadino paga i proprietari terrieri col lavoro e con una parte della produzione agricola per avere accesso alla terra.

Ci sono moltissimi accordi simili, in cui le classi lavoratrici fanno il lavoro, le classi dominanti permettono loro l'accesso al capitale produttivo e i risultati vengono suddivisi fra le due classi in una proporzione che permette alle classi dominanti di diventare ricche e alle classi lavoratrici di cavarsela. Se ciò suona famigliare, deve. In termini di distribuzione di lavoro, capitale e produzione, le ultime offerte del mercato del lavoro odierno sono indistinguibili dagli accordi fra il proprietario terriero Egiziano e i contadini che piantavano e raccoglievano nei loro campi.

Più una società diventa complessa, più diventa intricato il sistema di caste che la divide e più vari sono i cambiamenti che vengono giocati su questo schema di base. Una società medievale relativamente semplice potrebbe tirare avanti con quattro caste – il modello feudale giapponese, che divideva la società in aristocratici, guerrieri, contadini e una categoria generica di commercianti, artigiani, intrattenitori e cose simili, è un esempio come un altro. Una società stabile prossima alla fine di una lunga era di espansione, per contro, potrebbe avere centinaia o persino migliaia di caste distinte, ognuna con la propria nicchia nell'ecologia sociale ed economica di quella società. In ogni caso, ogni casta rappresenta un equilibrio particolare fra benefici ricevuti e pesi pretesi e data una economia stabile interamente dipendente da risorse rinnovabili, un tale sistema può proseguire intatto per molto tempo.

Includiamo il processo di collasso catabolico, tuttavia, e un sistema altrimenti stabile diventa una fonte di instabilità a cascata. Il punto che deve essere afferrato qui è che le gerarchie sociali sono una forma di capitale, nel senso ampio menzionato sopra. Come le altre forme di capitale incluse nel modello del collasso catabolico, le gerarchie sociali facilitano la produzione e la distribuzione di beni e servizi ed hanno dei costi di manutenzione che devono essere soddisfatti, Se i costi di manutenzione non vengono soddisfatti, come con qualsiasi altra forma di capitale, le gerarchie sociali vengono trasformate in rifiuti; smettono di adempiere alla loro funzione economica e diventano disponibili per il recupero.

Questo suona molto diretto. Ecco come spesso, comunque, è il fattore umano che lo trasforma da semplice equazione alla materia prima della storia. Mentre i costi di manutenzione del capitale di una civiltà cominciano a salire verso il punto di crisi, gli angoli vengono tagliati e la negligenza maligna diventa l'ordine del giorno. Fra le varie forme di capitale, però, alcune danno benefici alla gente sulla scala della gerarchia sociale più che alla gente su altri livelli. Quando il bilancio di manutenzione si restringe, la gente di solito cerca di proteggere le forme di capitale che gli danno benefici diretti e spinge i tagli in forme di capitale che invece danno benefici ad altri. Siccome la capacità di ogni persona di influenzare dove vanno le risorse corrisponde in modo molto preciso alla posizione di quella persona nella gerarchia sociale, ciò significa che le forme di capitale che danno benefici alla gente in fondo alla scala vengono tagliate prima.

Ora naturalmente questo non è quello che sentite dire agli americani oggi e non è ciò che sentite dire dalla gente di una società che si avvicina al collasso catabolico. Quando la contrazione si instaura, come ho osservato qui in un post due settimane fa, la gente tende a prestare più attenzione a qualsiasi cosa sta perdendo che qualsiasi perdita più grande sofferta da altri. Gli americani della classe media che reclamano lo stato sociale per i poveri a pieni polmoni mentre chiedono che i finanziamenti per Medicare e Sicurezza Sociale rimangano intatti, sono all'altezza delle aspettative, così come, del resto, lo sono gli altri americani della classe media che denunciano gli eccessi dichiaratamente assurdi del cosiddetto 1% mentre trascurano con cura di osservare l'immenso differenziale di ricchezza e privilegio che li separano da coloro che si trovano ulteriormente in basso nella scala.

Questa cosa è inevitabile in una lotta per le fette di una torta che si restringe. Mettiamo da parte l'inevitabile retorica, comunque, e una società che si dirige verso il collasso catabolico è una società in cui sempre più persone ricevono sempre meno benefici dall'ordine esistente della società, mentre è previsto che si sostenga una sempre crescente quota dei costi di un sistema barcollante. Per coloro che hanno pochi benefici o nessuno in cambio, i costi di manutenzione del capitale sociale diventano rapidamente un fardello intollerabile e mentre la fornitura di benefici ancora disponibili da un sistema barcollante diventa sempre più appannaggio delle parti alte della gerarchia sociale, quel fardello diventa un fatto politico esplosivo.

Ogni società per la propria sopravvivenza dipende dall'acquiescenza passiva della maggioranza della popolazione e dal sostegno attivo di un'ampia minoranza. Quella minoranza – chiamiamola classe sorvegliante – sono le persone che manovrano i meccanismi della gerarchia sociale: i burocrati, il personale dei media, la polizia, i soldati ed altri funzionari che sono responsabili del mantenimento dell'ordine sociale. Non provengono dalla élite dominante. Nell'insieme, provengono dalle stesse classi che dovrebbero controllare. E se la loro parte di benefici dell'ordine esistente barcolla, se la loro parte di fardelli aumenta in modo troppo visibile, o se trovano altre ragioni per fare causa comune con chi al di fuori della classe sorvegliante contro la élite dominante, allora la élite dominante si può aspettare la scelta brutale fra la fuga in esilio ed una brutta morte. La discrepanza fra i costi di mantenimento e le risorse disponibili, a sua volta, rende alcune di tale svolte degli eventi estremamente difficili da evitare.

Una élite dominante che affronta una crisi di questo tipo ha almeno tre opzioni a disposizione. La prima e di gran lunga la più facile, è quella di ignorare la situazione. Sul breve termine, questa è in realtà l'opzione più economica. Richiede il minore investimento di risorse scarse e non richiede di armeggiare con sistemi sociali e politici potenzialmente pericolosi. Il solo svantaggio è che una volta che finisce il breve termine, questa praticamente garantisce un destino orribile per i membri della élite dominante e, in molti casi, questo è un argomento meno convincente di quanto si possa pensare. E' sempre facile trovare un'ideologia che insista sul fatto che le cose si rivelano diversamente e siccome i membri di una élite dominante sono generalmente ben isolati dalle realtà spiacevoli della vita della società che presiedono, di solito è molto facile per loro convincersi della validità di una qualsiasi ideologia che decidano di scegliere. Vale la pena di dare un'occhiata al comportamento dell'aristocrazia francese negli anni che anno portato alla Rivoluzione Francese, in questo contesto.

La seconda opzione è quella di provare a rimediare alla situazione aumentando la repressione. Questa è l'opzione più costosa e generalmente è anche meno efficace della prima, ma le élite dominanti con una passione per gli stivali militari tendono a cadere nella trappola della repressione piuttosto spesso. Ciò che rende la repressione una cattiva scelta è che questa non fa niente per affrontare le fonti dei problemi che cerca di sopprimere. Inoltre, aumenta i costi di manutenzione della gerarchia sociale in modo drastico – polizia segreta, meccanismi di sorveglianza, campi di prigionia e cose del genere non sono a buon mercato – e impone il minimo comune denominatore di obbedienza passiva mentre fa molto per scoraggiare l'impegno attivo della gente al di fuori della élite nel progetto di salvare la società. Uno studio del destino delle dittature comuniste dell'Europa dell'Est è un buon antidoto all'illusione che una élite con sufficienti spie e soldati possa restare al potere a tempo indeterminato.

Ciò lascia alla terza opzione, che richiede che la élite dominante sacrifichi parte dei propri privilegi e prerogative di modo che coloro che sono più in giù nella scala sociale abbiano ancora una buona ragione per sostenere l'ordine della società esistente. Questo non è comune, ma succede. E' successo negli Stati Uniti negli anni 30, quando Franklin Roosevelt ha condotto i cambiamenti che hanno risparmiato agli Stati Uniti il tipo di conquista fascista o di guerra civile avvenuti in così tante altre democrazie fallite dello stesso periodo. Roosvelt ed i suoi alleati fra i molti ricchi si sono resi conto che riforme piuttosto modeste sarebbero state sufficienti per convincere gran parte degli americani che avevano più da guadagnare nel sostenere il sistema di quanto avessero da guadagnare nel rovesciarlo. Alcuni progetti per creare lavoro e misure di alleggerimento del debito, alcuni programmi di assistenza e alcune visite in carcere ai più palesi dei truffatori dell'era precedente e il ripristino di una senso di unità collettiva abbastanza forte da vedere gli Stati Uniti in una guerra globale per il decennio successivo.

Ora, naturalmente Roosvelt ed i suoi alleati avevano vantaggi enormi che nessun progetto comparabile sarebbe in grado di replicare oggi. Nel 1933, anche se ostacolata da un sistema finanziario collassato e dal declino ripido del commercio internazionale, l'economia degli Stati Uniti aveva ancora l'infrastruttura industriale più produttiva e grande del mondo ed alcuni dei più ricchi depositi di petrolio, carbone e molte altre risorse naturali. Ottanta anni dopo, l'infrastruttura industriale è stata abbandonata decenni fa in un'orgia di delocalizzazioni motivate dalla ricerca del profitto a breve termine e quasi ogni risorsa che la terra americana offriva in abbondanza è stata estratta o pompata fino all'ultima goccia. Questo significa che un tentativo di imitare le imprese di Roosvelt nelle condizioni attuali avrebbe di fronte ostacoli molto più irti e richiederebbe anche che la élite dominante rinuncia ad una parte molto più grande delle proprie attuali prerogative e privilegi di quella necessaria ai giorni di Roosvelt.

Potrei sbagliarmi, ma non penso nemmeno che verrà tentata questa volta. Proprio in questo momento, la consorteria litigiosa dei centri di potere in competizione che costituiscono la élite dominante degli Stati Uniti sembra impegnata in un approccio a metà strada fra le prime due opzioni che ho delineato. La militarizzazione delle forze di polizia interne statunitensi e la spirale in aumento di violazione dei diritti civili portata avanti con entusiasmo da entrambi i partiti politici mainstream ricadono nel lato repressivo della scala. Allo stesso tempo, per tutti questi gesti in direzione della repressione, l'atteggiamento generale dei politici e dei finanzieri americani sembra essere che non possa realmente succedere loro o al sistema che fornisce loro il potere e la ricchezza niente di così brutto.

Si sbagliano, e a questo punto probabilmente è una scommessa sicura che un gran numero di loro morirà per questo errore. Di già, una grande percentuale di americani – probabilmente la maggioranza – accetta la continuazione dell'ordine esistente della società negli Stati Uniti solo perché deve ancora emergere una alternativa praticabile. Mentre gli Stati Uniti si avvicinano al collasso catabolico e il fardello di puntellare uno status quo sempre più disfunzionale preme sempre più intollerabilmente su sempre più persone al di fuori del circolo ristretto di ricchezza e privilegio, l'asta che ogni alternativa deve saltare sarà posta sempre più in basso. Prima o poi, qualcosa farà quel salto e convincerà sufficientemente la gente che c'è una alternativa fattibile allo status quo e l'acquiescenza passiva dalla quale dipende il sistema per la propria sopravvivenza non sarà più qualcosa che si possa dare per scontata.

Per una tale alternativa non è necessario essere più democratica o più umana dell'ordine che cerca di sostituire. Può esserlo considerevolmente di meno, basta che imponga costi minori sulla maggior parte della gente e distribuisca i benefici più ampiamente di quanto non faccia l'ordine esistente. E' per questo che negli ultimi giorni di Roma, così tanta gente dell'impero al collasso ha accettato così prontamente la legge dei signori della guerra barbari al posto del governo imperiale. Quel governo era diventato irrimediabilmente disfunzionale al tempo delle invasioni barbariche, centralizzando l'autorità in centri burocratici lontani non in contatto con la realtà corrente e imponendo fardelli fiscali sui poveri così pesanti che molte persone erano costrette a vendersi come schiavi o a fuggire in zone spopolate di campagna per intraprendere una vita incerta da Bacaudae, mezzi guerriglieri e mezzi banditi, e ricercati dalle truppe imperiali, quando avanzava loro del tempo dalla difesa delle frontiere.

Al contrario, il signore della guerra locale barbaro poteva essere brutale e capriccioso, ma era sulla scena e così era improbabile che mostrasse il sereno distacco dalla realtà così comune negli stati burocratici centralizzati al temine della loro vita. Inoltre, il signore della guerra aveva una buona ragione per proteggere i contadini che mettevano pane e carne sulla sua tavola e il costo del suo sostentamento e del suo seguito nel relativamente modesto stile della monarchia barbara era considerevolmente meno caro del fardello di sostenere le complessità barocche della burocrazia del tardo Impero Romano. Ecco perché i contadini e gli schiavi agricoli del tardo mondo Romano hanno accondisceso così silenziosamente all'implosione di Roma ed alla sua sostituzione con un mosaico di piccoli regni. Non era solo un mero cambiamento di padroni, era che in un gran numero di casi i nuovi padroni erano un peso considerevolmente minore di quanto fossero stati quelli vecchi. .

Possiamo aspettarci che si dispieghi più o meno lo stesso processo in Nord America, in quanto gli Stati Uniti attraversano la propria traiettoria di declino e caduta. Prima di tracciare i modi in cui potrebbe funzionare il processo, comunque, sarà necessario passare in rassegna alcune idee sbagliate comuni  e ciò ci richiede di esaminare i modi in cui le élite dominanti distruggono sé stesse. Ce ne occuperemo la prossima settimana.